PROFILI DI MADRE SPERANZA – 23 Mons. José Luis Gutiérrez Il Padre Misericordioso nella spiritualità di Madre Speranza Edizioni Amore Misericordioso - 1999 |
Relazione tenuta da Mons. José Luis Gutiérrez
in Collevalenza l’8 febbraio 1999, in occasione
del 16° anniversario della morte di Madre Speranza
Desidero esprimere il mio più sentito ringraziamento ai Reverendissimi P. Maximiano Lucas e M. Mediatrice di Gesù Berdini, Superiori Generali, e a tutta la Famiglia dell’Amore Misericordioso per la nuova opportunità che mi è stata offerta di recarmi in questo Santuario, presso le venerate spoglie della Serva di Dio, Madre Speranza di Gesù, nell’ambito delle celebrazioni in occasione del 16° anniversario del suo pio transito in Cielo, che ricorrerà domani, 8 febbraio. Il tema sul quale sono stato invitato a dettare questa conversazione è "Dio Padre Misericordioso nella spiritualità di Madre Speranza", e mi pare particolarmente adatto, perché dallo scorso 29 novembre, prima domenica di Avvento, siamo entrati in quello che il Papa, Giovanni Paolo II, ha proclamato Anno del Padre, in preparazione al Grande Giubileo del 2000, ormai alle porte.
I. Figli di Dio
Uno dei Libri dell’Antico Testamento, nel quale si racconta la storia di Ester, narra come il re Assuero di Babilonia avesse promosso Amàn, suo ministro, alla più alta dignità del Regno (Est. 3,1). Un giorno, lo stesso Assuero chiese ad Amàm: «Che si deve fare ad un uomo che il re voglia onorare?». Amàn pensò: «Chi mai vorrebbe il re onorare, se non me?». Quindi Amàn rispose: «Per l’uomo che il re vuole onorare, si prenda la veste reale che suole indossare il re e il cavallo che suole cavalcare il re e sulla sua testa sia posta una corona reale; si consegni la veste e il cavallo a uno dei principi più nobili del re; si rivesta di quella veste l’uomo che il re vuole onorare, gli si faccia percorrere a cavallo le vie della città e si gridi davanti a lui: Ciò avviene all’uomo che il re vuole onorare» (Est. 6, 6-9). Amàn pensa che l’onore è destinato a se stesso, lascia volare la sua immaginazione e ritiene di aver raggiunto il vertice quando si sogna acclamato dal popolo, con la testa coronata, rivestito delle vesti reali e cavalcando il cavallo del re.
Dio, Padre di Misericordia, "che in tutto ha potere di fare più di quanto possiamo domandare o pensare" (Ef. 3,20), ci ha elargito i suoi doni in una misura che oltrepassa quanto avrebbe potuto concepire la più fertile delle immaginazioni. In effetti: "a quanti hanno accolto Gesù, ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12). Ciò fa esclamare a San Giovanni che ha meditato a lungo e con profonda gratitudine questa verità: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" (Gv 3,1). Figli di Dio! Chi avrebbe mai pensato che l’amore di Dio sarebbe arrivare a tanto! E lo siamo realmente: non è, dunque un titolo nobiliare, la più alta onorificenza che può essere concessa ad una persona, ma è, invece, una condizione che riguarda tutto il nostro essere e di cui Dio Padre ci ha voluto far dono. "Infatti – ricorda San Paolo – tutti quelli che sono guidati dallo Spirito Santo, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo Figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo" (Rom. 8, 14-17).
Davanti a questo panorama di amore di Dio verso di noi, Madre Speranza apporta la sua testimonianza personale, maturata non attraverso lo studio di libri nei quali venga esposta scientificamente una verità astratta, ma in un rapporto vitale con Gesù Cristo nell’intimità della sua orazione contemplativa, che si semplifica sempre più fino a diventare un dialogo a tu per tu con Gesù, amato al di sopra di ogni cosa, e, per Lui, con il Padre e con lo Spirito Santo, sotto la guida e la protezione di Maria santissima, Madre di Dio e Madre nostra. Leggiamo la sua testimonianza, breve e semplice: "Credo che per elevare il cuore a Dio non siano necessari tanti argomenti: ci può bastare la convinzione che Dio è nostro Padre… Fra tutti i sentimenti, quello che può rimanere più a lungo nel cuore e nella mente, fino al punto di diventare un’idea fissa è il poter chiamare Padre Dio stesso!.
Un’idea fissa, perché la condizione di figli di Dio permea tutta la nostra vita e qualsiasi attività che svolgiamo: ogni istante della nostra giornata può e deve portare l’etichetta "di un figlio di Dio" e, lo ripetiamo, non come un titolo esterno, ma come un indicatore del contenuto. Così, possiamo affermare che la nostra preghiera è l’orazione di un figlio di Dio che si rivolge fiduciosamente e semplicemente ad un Padre amorevole, interessato a tutto quanto ci accade e sempre disposto ad ascoltarci senza che gli dobbiamo chiedere appuntamento. Gesù Cristo stesso c’insegna ad indirizzarci a Dio nella nostra preghiera, chiamandolo Padre (cfr. Mt 6,9).
Parimenti la vita di famiglia e i rapporti di amicizia di un cristiano sono quelli di un figlio di Dio, e lo stesso titolo si deve applicare al lavoro, al riposo, alla gioia e alle legittime preoccupazioni, a tutto, insomma, perché non c’è un solo momento della nostra esistenza quotidiana, neppure quello che può sembrare a prima vista insignificante o addirittura triviale, al quale non spetti di diritto la qualifica "di un figlio di Dio". Ugualmente, quella santità alla quale tutti siamo chiamati senza distinzione di età, di classe, di condizione sociale, di stato o di professione, è la santità di un figlio di Dio: chiediamo al Signore che questa giornata trascorsa nel Santuario dell’Amore Misericordioso ravvivi in noi la coscienza della nostra vocazione alla santità; proponiamoci di rispondere generosamente alla chiamata amorevole del Signore, senza lungaggini e senza rimandare la nostra decisione ad un domani utopico.
Un santo sacerdote che conobbe Madre Speranza negli anni ’30, il beato Josemaría Escrivá, racconta il seguente episodio: «"Padre – mi diceva quel ragazzone, bravo studente universitario (che sarà di lui?) – pensavo a quello che lei mi ha detto…: pensavo che sono figlio di Dio! E per la strada mi sono sorpreso, ad un tratto, impettito e superbo…: figlio di Dio!". Gli consigliai con coscienza sicura, di fomentare la "superbia"». Lo stesso beato consiglia: "la migliore manifestazione di gratitudine a Dio è amare appassionatamente la nostra condizione di figli suoi".
Come logico corollario della comune condizione di figli dello stesso Padre deriva la fratellanza tra tutti i cristiani, anzi, tra tutti gli esseri umani, perché creati da Dio e chiamati senza eccezione a godere dell’eredità dei figli. Col rischio di ripeterci, dobbiamo affermare che neppure in questo caso diamo un titolo onorifico ai nostri simili quando li chiamiamo fratelli e ci comportiamo di conseguenza con loro. Per questo motivo, Madre Speranza insegna: "Padre è il titolo che conviene a Dio, perché a Lui dobbiamo quanto è in noi nell’ordine della natura e in quello soprannaturale della grazia che ci fa suoi figli adottivi. Vuole che lo chiamiamo Padre perché, come figli, lo amiamo, gli obbediamo e lo onoriamo, e per ravvivare in noi l’amore e la fiducia di ottenere quanto gli domandiamo.
Nostro, perché avendo Dio un solo Figlio naturale, nella sua infinita carità ne volle avere molti adottivi ai quali comunicare le sue ricchezze e perché avendo tutti lo stesso Padre ed essendo fratelli, ci amassimo gli uni gli altri". Amore di Dio e amore del prossimo si fondono inscindibilmente in un unico Amore. Scrive in proposito San Giovanni: "In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". E, con piena logica, conclude: "Carissimi, se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri" (1 Gv 4,9-11). L’amore di Dio non porta l’uomo a rinchiudersi nella torre d’avorio di un rapporto a due, ma, al contrario, lo spinge a scoprire nel prossimo un campo sconfinato nel quale può riversare quello stesso amore che egli nutre per Dio.
La spiritualità cristiana è radicalmente una sola, perché consiste nell’accogliere il messaggio di Gesù Cristo, uguale per tutti. Anzi consiste nell’accogliere Cristo stesso, Figlio Unigenito del Padre, per essere con Lui figli nel figlio. Egli, in effetti, ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Ma, al tempo stesso, la spiritualità cristiana è ricca di sfaccettature, giacché Dio, Uno e Trino, è infinito nelle sue perfezioni e la nostra capacità limitata percepisce ed evidenzia in maniera particolare ora l’una ora l’altra di esse: è come un paesaggio magnifico, che può essere contemplato da tante prospettive, con diverse tonalità di luce e di ombre. Esiste, dunque, una molteplicità di forme di spiritualità, che concorrono insieme ad abbellire il volto della Chiesa e costituiscono altrettante vie verso la comune meta, tutte ugualmente legittime e degne di rispetto.
"Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18). Conosciamo Dio non in base ad un ragionamento astratto, ma sempre attraverso quell’unico cammino che è la contemplazione amorevole dell’Umanità Santissima di Gesù Cristo, che ha voluto incarnarsi, farsi uomo come noi, e renderci così manifesto Dio attraverso le sue opere e il suo insegnamento. Filippo, uno dei dodici apostoli, rivolgendosi a Cristo, disse: "Signore, mostraci il Padre e ci basta"; e Gesù gli rispose: "Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi ha conosciuto?... Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14, 8-9).
Nella sua orazione, Madre Speranza meditò a lungo la vita e le parole di Gesù Cristo – del "Buon Gesù", come ella amava dire – e si sforzò al tempo stesso per compiere in ogni momento la volontà di Dio. Man mano che progrediva in questa via, le apparve in modo sempre più evidente quello che sarebbe stato in seguito il nucleo della sua spiritualità: e cioè, la convinzione che l’amore di Dio verso di noi è misericordioso. Madre Speranza s’inserì così in una corrente di spiritualità, promossa dalla Provvidenza divina con il concorso di persone senza alcun legame apparente fra di loro che, soprattutto dall’inizio del presente secolo, faceva perno sulla Misericordia divina.
Sono frammentari gli scritti della Madre nei quali ella racconta l’itinerario interiore attraverso il quale giunse a questo traguardo, ma possediamo i dati sufficienti per affermare che fu un cammino d’intensa orazione, di sacrificio e di fedeltà alla grazia divina.
Arrivò così una domenica, il 30 ottobre 1927, data precisa in cui Madre Speranza ricevette l’ispirazione di contribuire a diffondere la devozione all’Amore Misericordioso. A partire da questo momento, la sua vita mirerà esclusivamente e fino all’ultimo istante a compiere il compito che le è stato affidato.
Come compì la Madre questa missione? Innanzitutto, si dedicò con tutte le sue forze a coltivare in sé e a propagare dappertutto la devozione all’Amore Misericordioso. Ma il carisma ricevuto non era un dono esclusivamente personale; era, invece, destinato a perpetuarsi nella fondazione di due Congregazioni religiose, le Ancelle dell’Amore Misericordioso e i Figli dell’Amore Misericordioso, uniti in una Famiglia che si ramifica poi in altre componenti.
Percepì Madre Speranza fin dal primo momento il modo concreto in cui doveva mettere in pratica la sua missione? Dai suoi scritti apprendiamo che già negli anni 30 aveva un’idea precisa delle opere che avrebbe dovuto realizzare con il tempo. Tuttavia, parlando in termini generali, possiamo dire che, in questo come in altri casi, il carisma fondazionale si è andato manifestando nella pratica in forma di un abbozzo, che, con l’impulso della grazia, in continuità con la percezione iniziale e contando sempre sull’obbedienza della fede di colei che era stata scelta come strumento, acquista con il tempo contorni sempre più nitidi, per rimanere infine delineato in maniera indelebile. Con un’immagine, potremmo dire che in molti casi la realizzazione pratica di un carisma assomiglia al Santuario in cui ora ci troviamo: per costruirlo, è stato necessario scavare fondamenta profonde, poi sono spiccati qua e là alcuni dei suoi elementi e solo alla fine è apparsa la mole maestosa dell’edificio.
Pertanto, il carisma, ossia lo spirito vissuto dalla Serva di Dio e trasmesso in eredità ai suoi Figli e alle sue Figlie, deve essere considerato da due punti di vista, che si rilevano complementari: esso può essere esaminato, in primo luogo, nel suo sviluppo concreto, seguendo i diversi momenti della sua realizzazione pratica, vale a dire concentrando l’attenzione sul modo in cui si è manifestato nel tempo attraverso le parole e le opere intraprese dalla Fondatrice; in secondo luogo, può e deve essere studiato così come appare plasmato e sancito dall’Autorità della Chiesa mediante l’approvazione dei due Istituti.
Ho detto che questi due approcci sono complementari, ma aggiungo ora che il primo, e cioè la considerazione dello sviluppo del carisma nella sua concreta messa in pratica, è fondamento necessario del secondo (vale a dire, dello studio della spiritualità così come appare plasmata oggi), che, altrimenti, verrebbe ridotto all’autopsia eseguita su un corpo senza vita.
Come dalla cima di una montagna, la spiritualità di Madre Speranza, oggetto di questa nostra conversazione, si riversa su due versamenti: innanzitutto, sulla risposta da lei personalmente data all’azione di Dio nella sua anima; e, inseparabilmente, sui Figli e sulle Ancelle dell’Amore Misericordioso, che, secondo il disegno di divino, costituiscono il prolungamento naturale del carisma. Pertanto chi cerca di approfondire la spiritualità della Madre deve tener presenti non solo i suoi insegnamenti, ma anche le sue opere; in effetti, senza un riferimento preciso a coloro che sono i continuatori, qualsiasi discorso su di essa rimarrebbe incompiuto.
Ora, mi pare di poter dire che, in una percezione sempre incentrata sull’amore Misericordioso, la grazia di Dio ha spinto la Fondatrice, durante i primi anni, in un senso che potrebbe essere chiamato antropocentrico od orizzontale, vale a dire, l’ha portata verso la realizzazione di opere di misericordia tendenti ad esprimere e a rendere tangibile la misericordia che il Signore ha per gli uomini.
Ricordiamo a questo proposito gli inizi a Madrid con le ragazze povere, l’accoglienza di orfani di guerra a Bilbao, l’assistenza di tante persone bisognose in Via Casilina, durante i bombardamenti di Roma e nell’ambiente di penuria nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Poi, gradualmente, si è manifestata la dimensione teocentrica o verticale: avvicinare gli uomini all’Amore Misericordioso di Dio e rendere gli stessi uomini partecipi non già di opere concrete di misericordia, ma della sua sorgente inesauribile: la corrente di Amore Misericordioso parte da Dio e viene accolta dagli uomini mentre le opere di misericordia sono segno e manifestazione adeguata di questo Amore di Dio. Se mi si chiede ora di segnalare quali sono, a mio parere, i momenti salienti di questa manifestazione della dimensione verticale, penso di poterli individuare nella fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e, a coronamento dell’edificio, nella costruzione del Santuario nel quale ci troviamo ora. Non si è trattato, dunque, di evoluzione di un carisma, ma di sviluppo organico e manifestazione graduale dello stesso, fino ad apparire in maniera totalizzante. Lo apprendiamo dalle parole, scritte il 5 novembre 1927, con le quali la Madre stessa descrive la sua missione, che già allora le si presenta non come chiamata a praticare alcune concrete opere di misericordia in favore dei poveri e dei diseredati – cosa che sarà sempre un mezzo necessario –, ma come donazione totale di se stessa per diffondere dappertutto l’Amore Misericordioso di Dio. Leggiamo nel suo Diario: "Ho trascorso parte della notte fuori di me e molto unita al Buon Gesù. Egli mi diceva che devo far sì che gli uomini lo conoscano, non come Padre offeso dalle ingratitudini dei suoi figli, ma come Padre pieno di bontà che cerca con ogni mezzo di confortare, aiutare e rendere felici i suoi figli, e che li segue e li cerca con amore instancabile, come se Egli non potesse vivere senza di loro".
Resta quindi scolpito il carisma nella sua completezza e nelle sue due dimensioni inscindibili e necessariamente complementari, alle quali possiamo applicare le parole che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha scritto in riferimento a tutta la Chiesa nell’Enciclica Dives in misericordia: "Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull’uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientandosi in Gesù Cristo verso il Padre" (n. 1).
Su questa base sarà possibile un continuo approfondimento del carisma fondazionale di Madre Speranza, in armonia con quanto stabilito dal Concilio vaticano II: "fedelmente si interpretino e si osservino lo spirito e le finalità proprie dei fondatori, come pure le sane tradizioni: tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun istituto". Lo stesso Concilio auspica che tutti gli istituti religiosi "abbiano in ogni modo a crescere e a fiorire secondo lo spirito dei fondatori". Lo spirito della Fondatrice è e sarà sempre, per la Famiglia dell’Amore Misericordioso, punto di riferimento, oggetto di meditazione, segno di autenticità e condizione di efficacia nella risposta alla propria vocazione.
Abbiamo ricordato un momento fa le parole di Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9). Meditiamo, dunque, le sue parole e le sue opere, "per scoprire in Lui ancora una volta il volto del Padre che è misericordioso e Dio di ogni consolazione" (2 Cor. 1,3).
Rifulge la tenerezza di Gesù in tanti momenti della sua vita: così, alla vista del dolore di una vedova che accompagna verso la sepoltura il figlio unico "mosso da misericordia", Egli restituì la vita al morto e lo consegnò alla madre (cfr. Lc 7, 11-17).
Lo contempliamo pure commosso per la morte dell’amico Lazzaro (cfr. Gv 11,33), pieno di compassione per la folla che lo seguiva senza cibo per sfamarsi (cfr. Mt 15, 32-39; Mc 8, 1-9) e in una situazione di abbandono simile a quella delle pecore senza pastore (cfr. Mt 9, 39). Ascoltiamo dalle sue labbra parole d’amore e di misericordia quando, inchiodato alla croce, esclama: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23, 34).
Il Santo Padre Giovanni Paolo II indica l’Eucaristia e il sacramento della penitenza come fonti privilegiate da cui attingere la misericordia.
Meditiamo la tenerezza di Gesù nella promessa e nell’istituzione dell’Eucaristia. Per farlo, seguiremo il racconto di San Giovanni nel cap. 6 del suo Vangelo. Gesù parla alla folla radunata nella sinagoga di Cafàrnao (v. 60) e annunzia "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (v. 51.
Di fronte a questa donazione di Se stesso, sarebbe da aspettare che la reazione della folla presente fosse stata di meraviglia e di gratitudine: è possibile, Signore, che il tuo amore arrivi fino al punto di voler restare per sempre con noi, di rinchiuderti sotto la specie del pane e del vino, di metterti totalmente a nostra disposizione?
Invece, la reazione fu ben altra: «I Giudei si misero a discutere tra di loro: "come può costui darci la sua carne da mangiare?"» (v. 52). Non solo: "Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui" (v. 66)... Gesù si rivolge ai Dodici e chiede loro: "Forse anche voi volete andarvene?" (v. 67)… È un fiasco completo, tutti lo abbandonano scandalizzati e restano con Lui solo i dodici Apostoli, uno dei quali lo tradirà (cfr. vv. 68-70).
Tuttavia, i nostri continui rifiuti sembrano non avere altro effetto che quello di accrescere l’amore di Dio per noi. Ascoltiamo Madre Speranza: "Da dove scaturisce tanta misericordia divina? Da dove ha origine questa tenera compassione, umanamente inspiegabile verso i peccatori. Quale ne è la causa? La causa è che Gesù moltiplica il suo amore in proporzione alla miseria dell’uomo. A me sembra che tutti gli attributi di Dio siano al servizio dell’amore".
Quindi Gesù, "nella notte in cui veniva tradito" (1 Cor. 11, 23), "sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1-2), e, come leggiamo nel racconto di San Paolo ai Corinzi, "prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse «questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me»" (1Cor 11, 23). Egli anticipò il suo sacrificio sulla croce, volle che fino alla fine dei tempi, esso venisse rinnovato ogni giorno sui nostri altari e che noi avessimo la possibilità di nutrirci del Suo Corpo e del Suo Sangue, affinché dimoriamo in Lui e Lui in noi (cfr. Gv 6, 56). Né fu di ostacolo sapere che, nel corso dei secoli, sarebbero stati pochi quelli che lo avrebbero ricevuto con il desiderio di amarlo quanto Egli merita di essere amato, e che molti, invece, avrebbero partecipato al suo sacrificio e alla sua mensa con indifferenza e che perfino alcuni lo avrebbero disprezzato e oltraggiato. Come se ciò non bastasse, decise di rimanere continuamente prigioniero nei tabernacoli, tante volte in solitudine e abbandonato da tutti, quasi mendicando la nostra compagnia e il nostro amore.
Ricordiamo pure il sacramento della Misericordia, la confessione, nel quale Egli perdona i nostri peccati tutte le volte che, pentiti, ci rivolgiamo a Lui, come il figlio prodigo, per dirgli: "padre, ho peccato" (Lc 11, 18). In ogni nostra confessione ascoltiamo la voce del sacerdote, che ci conforta: "Dio Padre di Misericordia che ha riconciliato a sé il mondo ed effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati ti conceda mediante il ministero della Chiesa il perdono e la pace" E, in seguito, impersonando Cristo stesso, il sacerdote aggiunge: "E io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Esorta Madre Speranza: "Non abbiamo timore di andare a confessare le nostre miserie; confessiamole senza ambiguità. Anche se noi non lo vediamo Gesù sta a lato del sacerdote per darci, come il padre del figlio prodigo, il suo perdono e il suo abbraccio".
Ben si comprende, dunque che il papa Giovanni Paolo II si sia voluto recare in questo Santuario poco dopo la promulgazione della sua Enciclica Dives in misericordia, nella quale aveva scritto: "Se alcuni teologi hanno affermato che la misericordia è il più grande fra gli attributi e le perfezioni di Dio, la Bibbia, la tradizione e tutta la vita di fede del popolo di Dio ne forniscono peculiari testimonianze".
Noi, da parte nostra, sapendoci bisognosi della Misericordia del Padre, dobbiamo esser disposti ad accoglierla. Deve essere il nostro un atteggiamento di sincero pentimento per le nostre mancanze, che acquistano la loro vera dimensione quando vengono viste alla luce dell’Amore di Dio verso di noi. Il pentimento sincero comporta necessariamente il desiderio di conversione: "L’autentica conoscenza del Dio della misericordia – sono ancora parole del Papa – dell’amore benigno, è un’inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione… Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo "vedono", non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui. Vivono, dunque, in stato di conversione".
"Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te", "I Signore mi ha detto: tu sei mio figlio: io ti ho generato oggi" (Sal. 2, 7). Il Padre di Misericordia non si accontenta di farci figli suoi una volta per tutte. Ogni giorno della nostra esistenza su questa terra risuona nel più intimo del nostro essere il suo invito a ritornare da lui, come il figlio prodigo, che si butta tra le sue braccia, per rinascere. Né deve sorgere in noi il dubbio di Nicodemo: "come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere? (Gv 3, 4). Nei nostri rapporti con Dio ciò è possibile non già una seconda volta, ma tante volte quanti sono i giorni della nostra esistenza sulla terra, e più volte ancora ogni giorno: sempre, cioè, che, con animo contrito, fiduciosi del suo aiuto e disposti a comportarci da figli di quel nostro Padre che ci ama con tenerezza, siamo pronti a fare un passo avanti nel cammino del suo amore.
Ma, perché il nostro proposito sia efficace, deve rendersi concreto. Il santuario dell’Amore Misericordioso ci indica la via da seguire: accostarci frequentemente a quella sorgente di vita che è il sacramento della penitenza, amare sempre più il Sacrificio di Gesù sulla croce rinnovato e reso presente nella santa Messa. E, di conseguenza, vivere coerentemente da figlio di Dio e al servizio dei nostri fratelli ogni momento e circostanza della nostra esistenza quotidiana, in modo che il Padre nostro misericordioso possa ripetere per noi ciò che disse a Gesù: "questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,15; 17, 5).
L’Amore Misericordioso del Padre richiede di essere accolto con gratitudine e con l’atteggiamento permanente di conversione al quale ci siamo riferiti. Sarebbe, invece, una sua triste caricatura quella di chi si forgia un Dio bonaccione, lontano da noi, sempre disposto a chiudere un occhio sulla nostra remissività e al quale possiamo rivolgerci in caso di necessità per chiedergli grazie, quasi sempre materiali. Ciò equivarrebbe a ridurre l’Amore Misericordioso a mero devozionismo vuoto, a tessera di libera circolazione per la nostra poltroneria, restia ad assumere un impegno serio e ad oltrepassare i limiti della mediocrità.
Questo modo di intendere è stato descritto con efficacia da Francisco de Quevedo, uno dei più grandi scrittori del seicento spagnolo, il quale narra un sogno, nel corso del quale egli visita l’inferno in compagnia di un diavolo che gli fa da guida. Ad un dato momento, questi indica un gruppo di condannati, e spiega: «Costoro sono quelli di "Dio è misericordioso"». Sentite queste parole, l’autore esclama: "Dio sia con me! Come mai può essere possibile che la misericordia condanni, quando ciò è proprio della giustizia? Voi parlate da quel diavolo che siete".
«E voi – disse il maledetto – parlate da ignorante; non sapete forse che una buona metà di quelli che stanno qui si sono condannati per la misericordia di Dio? E se non mi volete credere, vedete quanti sono quelli che, quando fanno il male e vengono ripresi, rispondono "Dio è misericordioso e non bada a queste minuzie; per questo è così grande la sua bontà!". E così, mentre loro, facendo del male aspettano tutto da Dio, noi diavoli li aspettiamo".
«― E allora non si deve sperare in Dio e nella sua misericordia? chiese lo scrittore?».
«― Tu non capisci niente – mi fu risposto ―. Bisogna sì, fidarsi della bontà di Dio, che aiuta i buoni desideri e premia le buone opere, ma senza perseverare nell’ostinazione. In questo modo se ne beffano le anime che considerano la misericordia di Dio come qualcosa che serve per nascondere le malvagità e si aspettano una misericordia fatta su misura del loro desiderio, e non com’è la realtà, purissima e infinita nei santi e in quanti si rendono capaci di accoglierla; perché, appunto, coloro i quali più si fidano di essa sono quelli stessi che meno l’adoperano per loro rimedio. Non merita la pietà di Dio chi, sapendo che è tanta, la converte in licenza di far ciò che vuole e non in profitto spirituale».
Ascoltiamo anche l’ammonimento di Madre Speranza: "Dio non ci parla per dilettarci, ma per santificarci; e la sua Chiesa non ci riunisce nei templi ad ascoltare la parola di Dio per darci un contentino spirituale, ma per farci rientrare in noi stessi, e, rinfacciandoci i nostri disordini, portarci pentiti davanti al Signore e stimolarci alla penitenza. Avendo compreso questo […], cerchiamo di non rendere vana la forza della divina parola, non abusiamo del dono di Dio".
Affidiamo alla Vergine Santissima le sante ispirazioni e i propositi concreti suscitati nei nostri cuori dalla meditazione della Misericordia di Dio Padre.
A Lei, che cantò la misericordia di Dio di generazione in generazione (cfr. Lc 1, 50) e che è non già Madre di misericordia, ma Madre della Misericordia stessa, chiediamo: "Volgi a noi i Tuoi occhi misericordioso". Le rivolgiamo questa preghiera nella convinzione che Ella non ha bisogno di volgere i suoi occhi, perché il suo sguardo è sempre fisso su noi, suoi figli. Facciamo tesoro, pure in questa occasione, dell’insegnamento di Madre Speranza: "amiamo e invochiamo Maria Mediatrice; se desideriamo essere devoti di una Madre così dolce dobbiamo affidarci interamente a Gesù, a Dio, per mezzo di Maria".
Concludiamo dicendole: «Madre nostra, tienici per mano e guida i nostri passi nel cammino che porta all’incontro con l’Amore!».
Collevalenza, 7 febbraio 1999