PROFILI DI MADRE SPERANZA – 27

Bartolomeo Sorge s.j.
Gualtiero Bassetti Arcivescovo di Perugia-Citta della Pieve

 

«Madre Speranza si è fidata di Dio»

Nel 30° anniversario della morte di Madre Speranza Collevalenza, 8 febbraio 2013

Edizioni "L'Amore Misericordioso" - 2013

 

Bartolomeo Sorge S.J.

«VARCARE LA PORTA DELLA FEDE»
CON MADRE SPERANZA NEL 30°
DELLA NASCITA AL CIELO

Nel diario della Madre leggiamo: «Oggi, 5 novembre del 1927, mi sono distratta, cioè ho percorso parte della notte fuori di me e molto unita al buon Gesù, e lui mi diceva che io devo darmi da fare perché gli uomini lo conoscano non come padre offeso dall'ingratitudine dei suoi figli, ma come un padre pieno di bontà che cerca in tutti i modi di poter confortare, aiutare e far felici i suoi figli, e che li segue e li cerca con amore instancabile, quasi che non potesse essere felice senza di loro»1.

Tra le molte descrizioni che la Madre ci ha lasciate della missione che Dio ha affidato a lei e alla sua famiglia religiosa, questa del lontano 1927 è forse la più esplicita. Dio, cioè, ha affidato a M. Speranza il carisma dell'Amore misericordioso per ricordare alla Chiesa e al mondo il vero volto di Dio rivelatoci da Gesù, correggendo le tante contraffazioni che ne circolano, anche all'interno della comunità cristiana.

La Madre ha compiuto questa sua missione non ricorrendo a complesse elaborazioni teologiche, ma attraverso la sua parola semplice e la testimonianza della sua fede: «Faticheremmo invano – scrive il padre Aurelio Pérez –, se cercassimo negli scritti di madre Speranza l'elaborazione di un pensiero o di un messaggio teologico-spirituale a proposito del perdono o della misericordia divina. In lei si è data, fondamentalmente, un'esperienza»2, un'esperienza di fede. E' bello ricordare la fede eroica della Madre nel XXX° anniversario della sua nascita al Cielo, che coincide con l'Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI nel 50° dall'inizio del Concilio Vaticano II.

Il richiamo all'«esperienza» ripropone la questione di fondo che affiora ogni volta che si parla della fede: bisogna prima capire per credere oppure bisogna prima credere per capire, intelligo ut credam o credo ut intelligam? La teologia spiega che la fede è una conoscenza «relazionale» (intesa, cioè, come una relazione o un rapporto esistenziale); non è primariamente una conoscenza «intellettuale», logica o puramente razionale. In realtà, la fede, intesa come conoscenza «relazionale» (o rapporto fiduciario) è l'inizio – potremmo dire la porta, per usare l'espressione di Benedetto XVI – di ogni conoscenza umana: sia di quella di Dio sul piano soprannaturale, sia di ogni altra conoscenza sul piano naturale. Infatti, il bambino inizia a conoscere attraverso la fede nella mamma; poi, crescendo, capirà. Lo studente inizia a imparare credendo (attraverso un rapporto fiduciario, di fede) nel maestro o nel professore; poi ragionando con l’intelligenza rafforzerà quanto ha imparato credendo. L’infermo ha fede, si fida del medico, anche quando non comprende le ragioni della diagnosi, né la terminologia spesso inintelligibile della terapia e delle medicine che gli prescrive.

La stessa cosa avviene per quanto riguarda la conoscenza di Dio che si rivela: essa inizia credendo alla sua Parola (la fede è la porta); il rafforzamento razionale «intellettuale» della fede è importante, ma viene dopo. Per credere non devo prima capire; ma prima credo, per poter poi comprendere. Credo ut intelligam. E' esattamente ciò che insegna il Concilio Vaticano II: «A Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede (cfr Rom 16,26), con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente prestandogli "il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui. Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità"»3. Certo, per poter credere alla rivelazione di Dio, abbiamo bisogno della grazia soprannaturale e degli aiuti dello Spirito Santo; tuttavia il «Sì» della fede (il varcare la porta) rimarrà sempre un atto libero della volontà, come il «Sì» di Maria alla Parola dell’Angelo. Credo, quia volo, dirà san Tommaso.

Ora, la cultura moderna ha invertito i termini del rapporto tra fede e ragione: prima si deve capire, poi si potrà credere. Si antepongono, cioè, i ragionamenti umani alla Parola di Dio, la fiducia nella ragione a quella nella fede. Ovviamente Dio, rispettoso della nostra libertà, lascia fare. Certamente egli chiama tutti alla fede, ma lascia a ognuno la responsabilità di varcarne volontariamente la porta. Nessuno è obbligato a credere. La fede non si può mai imporre a nessuno. Credere è sempre un atto libero di volontà e di amore, sebbene nello stesso tempo è un dono di Dio, a ricevere il quale ci possiamo solo disporre con il desiderio e con la preghiera.

Chiarita questa questione di fondo, sarà più facile ora approfondire il significato della missione di madre Speranza: cioè, l'invito pressante da lei rivolto a tutti di varcare con coraggio la porta della fede, per riscoprire il vero volto di Dio, Padre infinitamente buono, «Amore misericordioso».

Perciò, faremo tre passi: 1) anzitutto, vedremo come il mondo moderno, sovrapponendo la ragione alla fede, ha finito con il generare l'attuale «società senza padre», nella quale la conoscenza «intellettuale» si sovrappone alla conoscenza «relazionale», con l'effetto non solo di darci un'immagine contraffatta del volto di Dio, ma di svalutare le relazioni familiari, filiali e paterne, anche sul piano naturale; 2) in secondo luogo, vedremo qual è il vero volto di Dio, rivelatosi in Cristo, che madre Speranza ha riproposto con tutta la sua forza carismatica come «amore misericordioso»; 3) infine, alla luce dell'«esperienza» di Madre Speranza, vedremo che l'amore fraterno è il modo più efficace di annunziare l'amore misericordioso alla nostra «società senza padre».

1. La «società senza padre»

La nostra è stata definita una «società senza padre»4, orfana. Il clima antiautoritario degli anni '60 non solo ha messo in crisi la concezione gerarchica e autoritaria di società, ma ha portato anche al rifiuto delle relazioni interpersonali, avendo ridotto il concetto autentico di persona, come essere-in-relazione, a quello debole di individuo come monade chiusa in se stessa. Ha generato così un'infanzia senza padri, con gravi conseguenze sul futuro delle nuove generazioni. Le radici lontane di questo rifiuto delle relazioni interpersonali, e di quella paterna in particolare, si possono far risalire all'illuminismo, quando la ragione umana si autodefinì «dea» e prese il posto di Dio. L'uomo – si disse – è padrone della sua vita e del mondo; è lui che fa la storia e la dirige. Che bisogno c'è della paternità di Dio, a cui fare riferimento e da cui dipendere? L'individuo, con la sua ragione, basta a se stesso. Così, la conoscenza «razionale» si sovrappose alla conoscenza «relazionale», mettendo in discussione la stessa paternità naturale.

La storia ha dimostrato quanto fosse insensato il tentativo di emanciparsi dalla paternità di Dio. I numerosi «idoli», che seguirono alla prima deificazione della ragione, si sono dimostrati falsi surrogati e sono finiti tutti in frantumi: la «dea ragione» si è dissolta nel nichilismo, giungendo fino a negare che la verità si possa conoscere; il «progresso», l'idolo nato con la rivoluzione industriale, si è infranto contro le crescenti disuguaglianze sociali causate dalla logica di mercato lasciata a se stessa; i «nazionalismi» ideologici della prima metà del novecento hanno condotto a forme disumane di totalitarismo e di dittatura, spianando la via a guerre mondiali e a genocidi spaventosi; il mito della «liberazione», secondo cui l'uomo avrebbe sciolto con le sue sole mani tutte le catene, è rimasto sepolto sotto le macerie del muro di Berlino; l'idolo dello «sviluppo economico indefinito» si è infranto contro gli scogli dell'individualismo, della crisi finanziaria e di quella ecologica.

In una parola, il tentativo dell'individualismo moderno di costruire una «società senza padre», prescindendo da Dio e dai rapporti interpersonali, è risultato fallimentare. Ciò spiega perché la nostra generazione oggi sia delusa e sfiduciata e abbia perduto il senso anche della paternità naturale e delle relazioni familiari. «Soprattutto nel mondo occidentale – commenta Benedetto XVI –, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l'invasione distraente dei mass media all'interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto [la conoscenza «relazionale»] tra padri e figli. La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritativo e inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a lui con fiducia»5. Così, anche molti cristiani, si sono costruita un'immagine falsa di Dio, percepito non più come Padre, ma come padrone, giudice e sovrano.

Ebbene, Madre Speranza è stata inviata da Dio per ricordare a questa «società senza padre», e a tanti cristiani che l'hanno dimenticato, che il vero volto di Dio è quello di un Padre infinitamente misericordioso. Infatti, nell'immaginario collettivo, anche di molti credenti, Dio assume spesso i tratti di un padrone severo, che impone obblighi e divieti incomprensibili; di un sovrano rigido che fa pesare la propria autorità sotto la minaccia di terribili castighi; di un giudice inflessibile dal volto corruscato, facile all'ira con chi non obbedisce ai suoi comandamenti e pronto a punire chi sbaglia. Cosicché oggi anche molti cristiani hanno perduto il «Padre», sono rimasti «cristiani orfani».

Madre Speranza è venuta a dirci che non è affatto questo il volto del Padre che Gesù ci ha rivelato. Il Dio di Gesù è un Padre amorosissimo che sa dare solo cose buone ai figli che gliele chiedono (Mt 7, 9-11); che ama l'uomo molto più degli uccelli del cielo, ai quali non fa mai mancare il cibo, e dei fiori del campo, che riveste splendidamente, nonostante durino solo un giorno (Mt 6,26ss.); che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45). E' un Padre «misericordioso», che ama con viscere insieme paterne e materne, indistintamente tutti i suoi figli, anche i ribelli. E' il Padre che, vedendo da lontano il figlio prodigo «si commuove»; la sua, però, non è la solita commozione, ma l’originale greco è molto più forte: usa il verbo «esplangnìsthe» che indica l’amore viscerale e intimo della mamma per il suo bambino. E' un Padre che non vuole salariati al suo servizio, ma figli che stiano con lui, che condividano la sua stessa vita: «Figlio mio tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15, 31). Sono le identiche parole che Gesù usa nella preghiera sacerdotale per indicare il suo rapporto familiare di comunione con il Padre: «Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie» (Gv 17, 10).

Quanto è diverso il vero volto di Dio, amore misericordioso, dall'immagine falsa che molti ne hanno, come padrone, gendarme e giudice che fa paura e impone gioghi pesanti, difficili da portare! La missione di Madre Speranza è proprio questa: ricordare alla «società senza padre» il vero volto di Dio Padre, amore misericordioso, come l'ha rivelato Gesù; risvegliare i cristiani di oggi e gridar loro: «non siete orfani»!

2. Il vero volto di Dio

Vediamo, dunque, più da vicino in che cosa consiste questo «amore misericordioso», di cui M. Speranza è banditrice e apostolo.

Per comprenderlo è necessario riandare brevemente al lungo cammino, durante il quale Dio si è progressivamente fatto conoscere, attraverso gli eventi storici e i profeti, di cui parlano i libri della Bibbia. Fu un cammino lento e faticoso, a causa della durezza di cuore degli Israeliti. Dio non si è rivelato subito, fin dall'inizio, come Padre e come amore misericordioso. Ha seguito una sapiente pedagogia, per liberare a poco a poco, progressivamente, il popolo eletto da ogni residuo di mentalità pagana con prove e grazie straordinarie, per immunizzarlo contro la tentazione di ricadere nell'idolatria. Pertanto, all'inizio, Dio mostra il volto del giudice severo e terribile, che non esita a distruggere Gomorra con il fuoco; si fa conoscere come liberatore, che combatte in favore d'Israele per liberarlo dalla schiavitù, colpendo gli egiziani con piaghe terribili e distruggendo i popoli nemici; si fa conoscere come rigido sovrano che punisce duramente le infedeltà e le continue violazioni dell'alleanza da parte del popolo, durante i 40 anni di traversata del deserto; un Dio irato per i peccati, fino al punto di pentirsi di aver creato l'uomo e di volerlo sterminare dalla terra (cfr Gen 6, 3-7); che chiede riparazione con sacrifici, vittime e olocausti. Dunque, è comprensibile che gli israeliti vivessero nella paura, tanto da dire a Mosè: «"Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!"» (Es 20, 19).

Nei testi più antichi dell'Antico Testamento, non si dice mai che Dio «ama» l'uomo e il suo popolo: il verbo «amare», applicato a Dio nei confronti d'Israele, all'inizio, non c'è. Tuttavia, Dio non è lontano, né distaccato o indifferente, ma vivamente coinvolto nelle vicende del suo popolo. In fondo, i suoi duri interventi, che altro sono se non segni d'amore, e la prova che, nonostante tutto, Dio non si dimentica mai del suo popolo?

La prima volta che il verbo «amare» nell'Antico Testamento viene attribuito esplicitamente a Dio nei confronti del popolo eletto si trova nel Deuteronomio: «Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli –, ma perché il Signore vi ama» (Dt 7, 7s). Da allora, la manifestazione del volto amoroso di Dio, diviene sempre più chiara e splendente. Osea, introduce l'immagine dell'affetto coniugale per descrivere l'amore appassionato di Dio verso Israele. Isaia e Geremia parlano di un amore misericordioso che non è soltanto hesed, cioè forte e fedele, ma anche rachamim, cioè materno e viscerale: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49, 15s.). La rivelazione di Dio amore misericordioso, però, raggiungerà la sua pienezza solo in Cristo. «In tal modo – commenta Giovanni Paolo II – ereditiamo dall'Antico Testamento – quasi in una sintesi speciale – non soltanto la ricchezza delle espressioni usate da quei libri per definire la misericordia divina, ma anche una specifica, ovviamente antropomorfica "psicologia" di Dio. La trepidante immagine del suo amore, che a contatto con il male e, in particolare con il peccato dell'uomo e del popolo, si manifesta come misericordia»6.

Insieme alla parabola del figliol prodigo, nella quale la rivelazione dell'amore misericordioso tocca il vertice, Gesù fa un'aggiunta essenziale, quando ci dice che esso si manifesta pienamente nell'amore fraterno: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). E ancora: «Siate misericordiosi come Dio, vostro Padre è misericordioso» (Lc 6, 36). Il testo greco è molto forte: «ghìnesthe oiktìrmones», il cui senso letterale è: «diventate materni tra di voi, come Dio vostro Padre è materno con voi». Infatti, oiktirmòs è spesso accompagnato dal sostantivo splàgkna (viscere materne), come esorta san Paolo: «vestitevi di viscere (materne) di misericordia» (cfr Col 3,12).

L'amore misericordioso, dunque, ci fa conoscere non solo il vero volto di Dio come Padre, ma anche il vero volto dell'uomo come fratello: se in Cristo risplende il volto del Padre, così nei fratelli, nei poveri, nei sofferenti, nei deboli risplende il volto di Cristo. Ecco, dunque, che cosa è l'amore misericordioso. Commenta Benedetto XVI: «In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annunzio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo e indispensabile contatto col divino [quella prima «conoscenza relazionale»] capace di farci "innamorare dell'Amore", per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri»7. Chi sperimenta l'Amore misericordioso lo vive e lo testimonia egli stesso, e lo comunica agli altri. Si restaura, così, quel «rapporto relazionale» tra i fratelli, che è andato perduto nell'attuale «società senza padre». Si realizza così pienamente la promessa di Gesù ai suoi nell'ultima cena: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14, 18).

Questo è il carisma di Madre Speranza. Ciò che maggiormente colpisce nella sua vita non sono tanto l'unione profonda con Dio e le grazie straordinarie di cui è stata favorita, quanto il fatto di aver mostrato il vero volto di Dio Padre, attraverso la sua umanità e il suo amore materno, rivestita com'era delle viscere materne dell'Amore misericordioso. Ella non ha aggiunto nulla al messaggio dell'amore misericordioso contenuto nella Parola di Dio e in Cristo, ma l'ha annunziato e testimoniato in modo nuovo ed efficace, adeguandolo alla nostra «società senza padre», ai numerosi «cristiani orfani» dei nostri giorni.

3. Portare l'Amore misericordioso alla «società senza padre»

Questo dunque è l'insegnamento della Madre: l'amore misericordioso, più che essere descritto a parole, va fatto vedere con la vita: «La nostra specifica missione nella Chiesa – scrive – consiste nel far conoscere al mondo intero l’Amore e la Misericordia del Signore non con parole eloquenti ma con la nostra vita di amore, di sacrificio, di abnegazione, di carità verso tutti gli uomini e in modo specifico verso i più peccatori e i più abbandonati: in questo modo trasmetteremo il Vangelo dell’Amore di Dio Padre che in Gesù si è caricato di tutte le miserie dell’uomo»8. Dobbiamo essere «padri» e «madri» di tutti, far capire soprattutto ai poveri e ai sofferenti che «nessuno è orfano»!

Benedetto XVI spiega che l'amore e il servizio del prossimo è il cammino sia per conoscere l'amore misericordioso del Padre, sia per annunziarlo e comunicarlo al mondo: «Il "sì" della fede segna l'inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta la nostra esistenza», fino a trasformarci in Lui; ma, se «con la fede si entra nell'amicizia del Signore», tuttavia, – spiega il Papa – «con la carità si vive e si coltiva questa amicizia (cfr Gv 15, 14s.). […] La fede ci fa riconoscere i doni che Dio buono e generoso ci affida [«sapersi amati da Dio»]; la carità li fa fruttificare [«saper amare Dio e il prossimo»] (cfr Mt 25, 14-30). […] la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa»9.

Per questo Madre Speranza ha voluto che il comandamento dell’Amore: «Amatevi gli uni gli altri», fosse scolpito in caratteri chiari ai piedi dell'Amore misericordioso crocifisso. E, per rendere visibile questo amore attraverso il servizio agli ultimi, Madre Speranza ha fondato due Congregazioni religiose, le Ancelle e i Figli dell'Amore misericordioso, unite in un’unica Famiglia, al cui interno vi fossero pure i Fratelli, le Signorine e i sacerdoti diocesani con voti. Quest’unica Famiglia, legata alla storia e all'immagine del Crocifisso custodito nel Santuario di Collevalenza, è stata suscitata nella Chiesa per comunicare al mondo intero, alla «società senza padre», che Dio si è rivelato in Gesù come Padre e Amore Misericordioso, testimoniandolo attraverso una predilezione tutta speciale verso i più poveri, i peccatori, i sofferenti e gli infelici. Come non vedere nel carisma della Madre una evidente risposta di Dio al vuoto spirituale della «società senza padre»? Lo rilevano esplicitamente le Norme Applicative delle Costituzioni dei Figli dell’Amore Misericordioso: «Convinte che il nostro carisma racchiude in sé una ricchezza di viva attualità […], ciascuna delle nostre comunità lo trasmetterà aprendosi alle necessità dell’uomo […], testimoniando la dignità di ogni persona e impegnandosi costantemente per il suo sviluppo integrale"10. Nessuno è orfano!

E' importante, perciò che l'intera Famiglia dell'Amore Misericordioso – per prima – offra questa testimonianza, assumendo sempre più la «mentalità della pigna» (come direbbe la Madre): «Unitevi tutti, figli miei, nell’amore e nella carità del buon Gesù, affinché, pieni di questo amore, possiate diffondervi nel mondo intero ed essere luce per tutti quelli che trattano con voi». L'esperienza dell'Amore misericordioso, fatta nella fede e vissuta nella carità, è dunque la condizione essenziale per irradiare il carisma di madre Speranza nella Chiesa e nella società. Lo sottolinea il primo paragrafo delle Norme Applicative delle Costituzioni, con il quale è bello concludere: «La vocazione religiosa ci ha riunito per formare nella Chiesa una Congregazione il cui titolare è Gesù Amore Misericordioso, fonte della nostra spiritualità, centro del nostro carisma, anima della nostra comunione fraterna, Tutta la nostra vita deve essere un inno di lode al nostro Dio, sull’esempio di Maria, sua prima ancella»11.


1 Cit. in A.M. VALLI, Gesù mi ha detto. Madre Speranza testimone dell'Amore Misericordioso, Ancora, Milano 2011, p. 111.

2 Cit., ibidem.

3 CONCILIO VATICANO II, costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 5.

4 A. MITSCHERLICH, Verso una società senza padre, Feltrinelli, Milano 1977.

5 BENEDETTO XVI, Udienza generale, 30 gennaio 2013.

6 GIOVANNI PAOLO II, enciclica Dives in misericordia, n. 4, nota 52.

7 BENEDETTO XVI, Messaggio per la Quaresima 2013, n. 3.

8 Costituzioni delle Ancelle dell'Amor Misericordioso, n. 15.

9 BENEDETTO XVI, Messaggio per la Quaresima 2013, cit., nn. 2.4.

10 Norme Applicative delle Costituzioni dei Figli dell’Amore Misericordioso.

11 Ivi, 1.1.

 

 

Gualtiero Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Citta della Pieve

 

"CANTERÒ IN ETERNO LA
MISERICORDIA DEL SIGNORE"
(Salmo 88,2)

Incontro a Collevalenza in occasione del 30°
Anniversario della morte della Venerabile
Serva di Dio, Madre Speranza di Gesù

 

Un caro saluto ai Figli e alle Ancelle dell’Amore Misericordioso, e a tutti i pellegrini convenuti presso il Santuario di Collevalenza per ricordare il XXX Anniversario della morte della venerabile Serva di Dio Madre Speranza di Gesù, al secolo Josefa Alhama Valera.

È definito infatti "carme nazionale", una specie di inno che tutti, nell’antico Israele, conoscevano e che veniva usato per le grandi celebrazioni delle feste mosaiche. Come scrivono padre Turoldo e mons. Ravasi, esso è da iscriversi nella serie dei salmi regali o «messianici». La struttura del poema raccoglie una complessa riflessione sulle promesse divine, che talvolta, purtroppo, nel corso dei secoli, sembrano essere svanite.

Iniziando il salmo con la solenne esclamazione: "Canterò in eterno la misericordia del Signore", l’autore, non solo intende magnificare la grandezza e la potenza di Dio, ma vuole assolutamente riaffermare che le promesse del Signore non sono vane, non vengono meno, nonostante le infedeltà degli uomini. Cantare in terno la misericordia del Signore vuole dire, allora, riaffermare nei secoli i la sua fedeltà, nonostante tutto

Contesto storico

Il salmo è dunque una supplica comunitaria, ovvero una preghiera con la quale l’orante fa memoria delle grandi opere compiute da Dio nel passato, a favore del suo popolo, memoria che diventa ora un appello alle sue antiche promesse: «Dove sono, Signore, le tue misericordie di un tempo?», si chiede, con una drammatica domanda, il salmista al versetto 50. La linea che collega tutto il salmo – scrive Ravasi – «è quella della promessa davidica, così come è limpidamente formulata nel celebre oracolo di Natan nel secondo libro di Samuele», giocata tutta sul termine simbolico "casa": a Davide, che voleva costruire un tempio per Dio, risponde il Signore che sarà lui a fare a Davide una casa (2Sam 7,11). È a questa promessa che, ancora una volta, l’orante si può appellare, confidando dunque nella fedeltà di Dio. La promessa di Dio, però, come vedremo subito, sembra essersi interrotta nell’arco della storia.

L’ebraico in cui è stato scritto il Salmo ci porta a tradurre il versetto pensando alla misericordia di Dio. Questa parola – hesed – ricorre ben 7 volte in tutto il Salmo. La parola hesed, "misericordia", è estremamente importante nella riflessione biblica. La prima volta che ricorre, nel libro della Genesi, è sulla bocca di Lot, che ringrazia il Signore che lo sta risparmiando dalla distruzione di Sodoma e Gomorra, e dice «Il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato grande misericordia verso di me, salvandomi la vita» (Gen 19,19).

Ma questo termine ha un significato ulteriore. Hesed – commenta ancora Ravasi – è infatti il termine classico della teologia dell’alleanza e della fedeltà di Dio. Al versetto 2 si trova al plurale (per questa ragione si può tradurre, come abbiamo visto, con «grazie»: «le grazie del Signore canterò in eterno» versetto 2), perché allude alle azioni salvifiche disseminate da Dio nella storia della salvezza. «C’è una catena ininterrotta di "grazie", di atti di fedeltà che Dio effonde per il suo popolo come segni di amore e che hanno un vertice nella promessa davidica». Con questi atti di fedeltà Dio esprime il suo amore: un amore che «non si spegne mai», e per questo il salmista dice che per sempre, in eterno, canterà le meraviglie del Signore. L’amore di Dio e le sue misericordie sono affidabili anche, e soprattutto, nelle situazioni difficili, e nel momento della prova più grande.

Inno alla misericordia e alla fedeltà di Dio

Il salmo, infatti, come già notava il grande rabbino medievale David Kimchi (RadaK, +1235), sarebbe stato composto durante l’esilio. Poiché l’esilio aveva comportato la scomparsa per molti anni del regno della casa di Davide, il salmista dedicava il suo lamento al fatto che da tempo non esiste più il re della discendenza davidica. Per questo dice «le misericordie del Signore canterò in eterno», per ricordare agli esiliati, nel momento dello sconforto, che Dio è fedele. Anche il più grande commentatore medievale ebreo, Rashi, arriva alla stessa conclusione: «Farò conoscere, o Dio, – dice il salmista – che tu mantieni la tua promessa e sei fedele alle tue parole». La memoria delle misericordie che Dio ha usato verso il suo popolo è segno della speranza nella prova (cf. David Kimchi, Commento ai Salmi, Città Nuova 1995, 403).

È proprio nel momento della prova, meglio, nel lungo persistere della prova, che il salmista scrive la sua professione di fede. Quando le difficoltà perdurano, è utile ritornare col cuore, con la mente, e con la preghiera, al ricordo delle misericordie di Dio. Kimchi commentava: «Il salmista mostra stupore per la lunghezza dell’esilio, ma non afferma che Dio – benedetto Egli sia – è venuto meno al suo giuramento». Anzi, è convinto che nemmeno durante la schiavitù babilonese sia stato negato il giuramento di Dio. Solo, esso deve essere ritrovato anche nell’apparente maledizione

A questo riguardo, possiamo ancora riferirci alla tradizione giudaica, per ricordare che essa vede nella misteriosa figura che compare al versetto 1 del Salmo, Etan l’Ezraita («Salmo. Di Etan, l’Ezraita»), la persona di Abramo. L’autore del Salmo 88 sarebbe dunque il patriarca (cf. anche J. Costa, La Bibbia raccontata con il Midrash, Paoline 2008, 322). Egli stesso, per ben dieci volte, secondo il racconto del libro della Genesi, sarebbe stato messo alla prova, ma non cessò mai di cercare nelle sue sofferenze la presenza di Dio. Ci tornano alla memoria le parole di commento alle prove di Abramo pronunciate da Benedetto XVI nell’Udienza dello scorso 23 gennaio, sul tema della fede del patriarca:

«La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero; e l’unico possesso della terra che gli sarà consentito sarà quello di un pezzo di terreno per seppellirvi Sara (cfr Gen 23,1-20). Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose».

Israele in esilio – mentre recita con Abramo il salmo sulle misericordie di Dio – si trova nella stessa situazione paradossale del patriarca: anche se vede la "maledizione" della prova, deve andare al di là delle apparenze per scorgervi la presenza di Dio. In questo modo Israele, insieme ad Abramo (l’autore del Salmo, come detto), e in fondo ogni credente, può continuare a lodare Dio anche nel paradosso della sofferenza.

La misericordia genera la lode:
il «Magnificat» di Maria

Dopo tanti secoli, quando ormai molti non ci speravano più, le promesse del Signore Iddio tornano a farsi realtà. Le promesse diventano "carne" vera. Nella pienezza del tempo, con l’incarnazione di Gesù, l’Eterno Padre realizza tutte le promesse antiche. Il seme di Davide torna a regnare su Israele e questo regno veramente non avrà mai fine.

Il tramite per cui le promesse di Dio si fanno "carne" è Maria di Nazareth, la madre di Gesù. Maria, attenta alle parole dell’Angelo, le accoglie e risponde al progetto divino, manifestando la sua piena disponibilità: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua volontà». Maria, proprio per l’atteggiamento interiore di ascolto, è capace di leggere la propria storia, riconoscendo con umiltà che è il Signore ad agire. In visita alla parente Elisabetta, Ella prorompe in una preghiera di lode e di gioia, di celebrazione della grazia divina, che ha colmato il suo cuore e la sua vita, rendendola Madre del Signore. Nel cantico del Magnificat, Maria non guarda solo a ciò che Dio ha operato in Lei, ma anche a ciò che ha compiuto e compie continuamente nella storia. Sant’Ambrogio, in un celebre commento al Magnificat, invita ad avere lo stesso spirito nella preghiera e scrive: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio».

La Vergine Maria, che ha sperimentato al massimo livello il mistero dell’amore fedele di Dio, può esclamare come l’autore del salmo 88: "Di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono" (Lc 1,50). Tramite il suo sì alla chiamata di Dio, ella ha contribuito alla manifestazione dell’amore divino tra gli uomini, al compiersi definitivo delle antiche promesse, dell’antica alleanza.

Maria è anche colei che, in modo particolare ed eccezionale – come nessun altro –, ha sperimentato la misericordia e al tempo stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina. Tale sacrificio è strettamente legato alla croce del Figlio, ai piedi della quale ella doveva trovarsi sul Calvario. Questo suo sacrificio è una singolare partecipazione al rivelarsi della misericordia, cioè alla fedeltà assoluta di Dio al proprio amore, all'alleanza che egli ha voluto fin dall'eternità ed ha concluso nel tempo con l'uomo, con il popolo, con l'umanità; è la partecipazione a quella rivelazione che si è definitivamente compiuta attraverso la croce.

Cristo Gesù rivela il volto di Dio:
Dives in misericordia

«Dove sono le tue misericordie di un tempo, Signore? Dove le nascondi? Quando verranno? Noi cristiani vediamo con i nostri occhi che queste misericordie antiche sono state compiute nel nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo» (Eusebio di Cesarea). La storia della salvezza, che culmina nell’Incarnazione di Gesù e trova pieno compimento nel Mistero pasquale, è una splendida rivelazione della misericordia di Dio. Nel Figlio è reso visibile il "Padre misericordioso" (2 Cor 1,3), che, sempre fedele alla sua paternità, "è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato" (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 6).

La misericordia divina non consiste solamente nella remissione dei nostri peccati: essa consiste anche nel fatto che Dio, nostro Padre, ci riconduce, talvolta non senza dolore, afflizione e timore da parte nostra, sulla via della verità e della luce, perché non vuole che ci perdiamo (cfr Mt 18,14; Gv 3,16). Questa duplice manifestazione della misericordia divina mostra come Dio è fedele all’alleanza sigillata con ogni cristiano nel Battesimo. Rileggendo la storia personale di ciascuno e quella dell’evangelizzazione dei nostri Paesi, possiamo ripetere anche noi, oggi, con il salmista: "Canterò in eterno l’amore del Signore".

Sono molti i passi dell'insegnamento di Cristo che manifestano l'amore-misericordia sotto un aspetto sempre nuovo. È sufficiente avere davanti agli occhi il buon pastore, che va in cerca della pecorella smarrita (Mt 18, 12-14; Lc 15, 3-7), oppure la donna che spazza la casa in cerca della dramma perduta (Lc 15, 8-10). L'evangelista che tratta particolarmente questi temi nell'insegnamento di Cristo è Luca, il cui Vangelo ha meritato di essere chiamato «il Vangelo della misericordia».

Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità. Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la «condizione umana» storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell'uomo, sia fisica che morale.

Cristo – quale compimento delle profezie messianiche – divenendo l'incarnazione dell'amore che si manifesta con particolare forza nei riguardi dei sofferenti, degli infelici e dei peccatori, rende presente e in questo modo rivela più pienamente il Padre, che è Dio «ricco di misericordia». Contemporaneamente, divenendo per gli uomini modello dell'amore misericordioso verso gli altri, Cristo proclama con i fatti ancor più che con le parole quell'appello alla misericordia (Dives in misericordia, 3).

Nelle parole di S. Paolo, nella Lettera agli Efesini, troviamo la sintesi della misericordia che è salvezza per l’uomo mediante Cristo: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (Ef 2, 4-7).

«Il mistero di questo salmo 88, allora, si estende alla passione di nostro Signore: nel Cristo la misericordia eterna è stata fondata e questo edificio non è fatto da mani d’uomo, ma dallo Spirito santo. La verità di questo edificio è il giuramento fatto a Davide di un messia della sua stirpe, che sarà re universale e vincitore. Dio non ha voluto per lui l’aiuto della spada: "Rimetti la spada nel fodero" (Mt 26,52); non gli ha mandato i suoi ausiliari, le legioni di angeli; ha abbreviato i giorni della sua vita; l’ha talmente abbeverato di umiliazioni che è stato annoverato tra i malfattori ed appeso al patibolo della croce tra due assassini. Or questo non è ira, ma misericordia; colui che abbiamo pianto nella sua passione, noi l’acclamiamo risuscitato dai morti e camminiamo alla luce del suo volto». (Arnobio il giovane)

Testimoni di misericordia nella società contemporanea

Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio «Padre delle misericordie» (2 Cor 1, 3) ci consente di «vederlo» particolarmente vicino all'uomo, soprattutto quando questi soffre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità. Ed è per questo che, nell'odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio. Essi sono spinti certamente a farlo da Cristo stesso, il quale mediante il suo Spirito opera nell'intimo dei cuori umani. Rivelato da lui, infatti, il mistero di Dio «Padre delle misericordie» diventa, nel contesto delle odierne minacce contro l'uomo, quasi un singolare appello che s'indirizza alla Chiesa.

Gesù Cristo ha insegnato che l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma che è pure chiamato a «usar misericordia» verso gli altri: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia». L'uomo giunge all'amore misericordioso di Dio, alla sua misericordia, in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di tale amore verso il prossimo. Il Concilio Vaticano II quando, parlando ripetutamente della necessità di rendere il mondo più umano, individua la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo appunto nella realizzazione di tale compito: il mondo può diventare sempre più umano solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insieme alla giustizia, quell'«amore misericordioso» che costituisce il messaggio messianico del Vangelo. Disse Giovanni Paolo II, qui a Collevalenza, il 22 novembre 1981.

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e risorto, nello spirito della sua missione messianica che continua nella storia dell'umanità, eleviamo la nostra voce e supplichiamo perché, in questa tappa della storia, si riveli ancora una volta quell'amore che è nel Padre, e per opera del Figlio e dello Spirito Santo si dimostri presente nel mondo contemporaneo e più potente del male: più potente del peccato e della morte. Supplichiamo, carissimi fratelli e sorelle, per intercessione di Colei che non cessa di proclamare «la misericordia di generazione in generazione», ed anche di coloro per i quali si sono compiutamente realizzate le promesse di Dio nella loro vita, come la venerabile Serva di Dio Madre Speranza di Gesù, e possono esclamare con gioia: "canterò in eterno la misericordia del Signore"!

Grazie per la vostra attenzione.

 

NEL 30° ANNIVERSARIO DELLA
MORTE DI MADRE SPERANZA DI GESÙ

«E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono»
(Lc 5,11)

 

Carissimi Fratelli e Sorelle, qui convenuti anche da diverse parti d’Italia, siate i benvenuti nel Santuario dell’Amore Misericordioso, dove il Signore – secondo la promessa fatta a Madre Speranza – aspetta tutti gli uomini, non come un giudice severo, ma come un padre ricco di misericordia, che perdona e dimentica le offese dei suoi figli. In questo tempio, ogni persona deve poter sperimentare che, al di là di ogni male, vi è l’amore di Dio che tutto copre, tutto purifica e tutto rinnova. Amore che ci fa degni di essere suoi discepoli ed eredi.

Il tema che accomuna le tre letture bibliche che abbiano appena ascoltato è quello della "chiamata", della vocazione a seguire il Signore, rendendosi disponibili e utili all’edificazione del suo Regno, che ha inizio su questa terrà ma che troverà pieno compimento nell’infinito di Dio.

Sono tre i personaggi che la Sacra Scrittura ci pone dinanzi, come esempi di uomini carichi di affanni, di paure e di miserie, ma che, affascinati dalla chiamata del Signore, lasciano tutto per mettersi alla sua sequela: il profeta Isaia, l’apostolo Paolo e l’apostolo Pietro.

Isaia, rapito in estasi mentre era in preghiera nel Tempio di Gerusalemme, si ritrova addirittura al cospetto dell’Altissimo, in uno scenario straordinario, con stuoli di serafini che cantano la gloria di Dio. Il Profeta avverte tutto il suo nulla e la sua impurità a stare dinanzi alla santità dell’Eterno, ma l’angelo lo tocca con il fuoco del braciere dell’incenso e lo purifica, così egli è pronto, e può dire il suo sì alla missione che il Signore vuole affidargli.

Anche Paolo, nella lettera ai Corinzi, manifesta l’indegnità a farsi chiamare apostolo di Cristo, egli che un tempo aveva addirittura perseguitato la Chiesa nascente. Ma dopo che Gesù stesso gli era apparso sulla via di Damasco, si era completamente trasformato, divenendo il più strenuo annunciatore del Vangelo e così può affermare in tutta verità che: «Per grazia di Dio, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana».

Infine, Simon Pietro, si dichiara anch’egli peccatore e non meritevole della fiducia del Signore, perché ha dubitato della sua parola e non voleva riprendere la pesca. Ma, di fronte al miracolo delle reti piene, si arrende alla volontà di Dio, lascia le barche sulla riva e va dietro a Gesù, divenendo il capo della prima comunità cristiana.

Tre belle figure di uomini e di discepoli che, nonostante i loro limiti – di cui sono ben consapevoli – si fidano della parola del Signore, lasciano tutto, e lo seguono. Tra di esse possiamo inserire oggi a buon diritto anche Madre Speranza di Gesù, fondatrice di questo santuario.

Madre Speranza si è fidata di Dio fino in fondo. Ha corrisposto alla chiamata del Signore, che si era chinato su di lei fin da quando, da bambina, abitava nella casa del parroco della sua cittadina natale, Santomera, nella regione spagnola di Mursia. Oggi Santomera è una ridente e industriosa città, ma all’epoca della Madre, la povertà regnava ovunque e il vivere non era facile, per molti si trattava solo di sopravvivere.

Tra questi vi era anche la famiglia Alhama-Valera, tanto che la piccola Josefa fu affidata alle cure della sorella del parroco. Fin da giovane il Signore le fece intendere quale sarebbe stata la sua vita; l’attirò a sé, infondendole un grande amore verso l’Eucaristia; con segni anche soprannaturali le indicò la vita futura, che doveva passare, nella consacrazione religiosa, attraverso molte prove, ma anche grandi opere!

Quando lasciò la famiglia per entrare in convento – ella racconta – il cuore le batteva forte che quasi le si spezzava, ma ebbe la forza di spiegare alla mamma ammalata e addolorata: "Vado a farmi santa, grande santa". Quel giorno era la festa di Santa Teresa d’Avila, fino ad oggi, la più grande santa di Spagna!

Dopo la Fondazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, nel Natale 1930, a Madrid, iniziò per la Madre un fervido periodo di lavoro con l’apertura di molte case religiose e opere di carità in varie città della Spagna. Arrivò però anche il periodo della persecuzione: sia di quella messa in atto dal regime repubblicano anticlericale sia di quella scatenata da molti che, anche all’interno della Chiesa, non mancarono di calunniarla e accusarla di ogni male.

Trasferitasi a Roma, durante la seconda guerra mondiale, si prodigò in ogni modo per aiutare la popolazione civile, duramente provata dai bombardamenti e dalla fame.

Negli anni cinquanta, dopo la Fondazione della Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e la sua venuta a Collevalenza, iniziarono gli anni floridi dell’edificazione di questo grande santuario e dell’espansione delle due Congregazioni in vari paesi del mondo.

Madre Speranza ha terminato la sua vita terrena accanto a questo santuario la mattina dell’8 febbraio del 1983, tra la commozione delle sue figlie e dei suoi figli spirituali e di tantissima gente che, per quasi una settimana, giorno e notte, venne a venerare le sue spoglie mortali.

Il 24 aprile 1988 è iniziato il processo di beatificazione che si è concluso, a livello diocesano, l’11 febbraio 1990. Nel 2002 la Chiesa, dopo aver riconosciuto le sue virtù eroiche, l’ha proclamata venerabile. Perciò possiamo dire che Madre Speranza, seguendo la chiamata del Signore, ha praticato con vera eroicità le virtù teologali e anche quelle cardinali.

È vissuta sempre di fede, ricevuta come dono dal Signore e coltivata nella vita di preghiera e di pietà. Da grande mistica qual era, per lei le realtà di fede erano un fatto quasi oggettivo e tangibile. Chi l’ha conosciuta perla della Madre come di una persona "dalla fede viva , profonda e tenace", fede che non le è mai venuta meno e che l’ha sorretta nei duri momenti della prova. In lei non è mancata mai la speranza nelle promesse che il Signore le ha fatto lungo tutta la vita e nell’assistenza della Beata Vergine. La speranza in Dio l’ha portata alla scoperta della forza nella debolezza, della gioia nella prova, dell'arricchimento nella rinuncia. È il progresso trionfante del cristiano, di cui parla San Paolo: "La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5, 2-5).

Fede e speranza sono state in lei fonte di autentica carità e di amore, in primo luogo per il Buon Gesù e poi per tutti coloro che l’hanno avvicinata. Tutto ciò che la Madre ha realizzato lo ha fatto per amore di Dio e per sovvenire al bisogno del prossimo, in particolare dei sacerdoti in difficoltà.

Si è impegnata in molte attività temporali per il bene delle due Congregazioni e per aiutare la povera gente, agendo sempre con prudenza, senza rimanere invischiata nelle piccolezze umane. Ha praticato la giustizia, verso di sé, verso le sue figlie e i sui figli e di quanti ricorrevano al suo aiuto. È stata una donna forte. Il suo coraggio non è mai venuto meno dinanzi alle persecuzioni, alle calunnie, agli abbandoni e ai tradimenti. Ha vissuto sempre in maniera sobria e ha praticato la temperanza e la moderazione, in qualsiasi attività abbia dovuto affrontare.

Ella è stata pertanto una donna e una religiosa degna di ammirazione di venerazione! Alla sua intercessione sono ricorse e ricorrono molte persone, ottenendo grazie a favori celesti. Siamo in questi mesi in trepida attesa per l’esito del processo sul presunto miracolo, che permetterebbe di arrivare alla solenne beatificazione.

L’intero episcopato umbro, che qui oggi rappresento, ha inviato a suo tempo una lettera al Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi per sollecitare una conclusione veloce di tale processo. Speriamo che arrivino presto buone notizie.

Voglia il buon Dio concederci la grazia di vedere realizzato il sogno di una giovane di ventuno anni, che partì da casa con il cuore in gola perché la mamma era a letto malata, per "farsi santa, una grande santa!".

Iddio ce lo conceda al più presto! Amen.