LO SPIRITO DI ADOZIONE DI DIO

In greco antico la parola ànemos (anemos) sta per "vento, soffio";(cfr. p. es. il termine derivato: anemometro= strumento per misurare il vento).

L'equivalente ebraico è "ruàh", che si traduce ancora con "vento, soffio", ma che ha anche il significato di "Spirito", il cui equivalente in greco non è però ànemos ma "pneuma" (pneuma), (che ha ancora il valore di soffio, vento; letteralmente: "aria"; cfr. p. es. il termine: macchina pneumatica, cioè mossa dall'aria o che utilizza l'aria, ecc.).

Nella letteratura poetica, filosofica, religiosa, ecc., il termine ha però la valenza di "Spirito" per il carattere "immateriale" che (attraverso l'incorporeità dell'aria) gli è indirettamente connesso).

P. es. nel passo (3, 8) di S.Giovanni, che riferisce il celebre colloquio di Gesù con Nicodemo venuto ad interrogarlo nella notte, si incontrano, nel testo originario greco, ambedue i significati di vento e di Spirito: "Gesù gli rispose: il vento spira dove vuole, ma non sai d'onde venga nè dove vada; cosi è di chiunque che è nato dallo Spirito".

Anima (latino, lingua italiana, àme in francese, ecc.) deriva da ànemos (non da psyche nè da pneuma) perchè è vista in connessione al concetto di "soffio", in quanto tutto ciò che vive era considerato, secondo gli antichi, in connessione col "respiro".

La cessazione del respiro (= soffio) corrisponde infatti al morire, al non essere più un essere vivente (cfr. p. es. in italiano: esalare l'ultimo respiro). Da qui la distinzione fra esseri viventi ed esseri inanimati (le cose, i minerali).

Ánemos, ruàh, Spirito, pneuma, anima, àme in francese, Geist in tedesco, sono dunque parole con significati correlati ed in qualche modo interscambiabili e "quasi-equivalenti", ma che traggono il loro significato esatto, in gran parte, dal contesto in cui di volta in volta esse sono inserite, un senso che, talora, diventa lontanissimo dall'originario valore linguistico delle parole.

P. es. nella tecnica delle funi si chiama "anima" il trefolo di canapa, od altro materiale, intorno a cui vengono attorti i trefoli esterni (p. es. di acciaio); funi incordate senza il trefolo centrale si chiamano del tipo "senza anima". Similmente nell'ingegneria strutturale si parla talora di elementi (p. es. in calcestruzzo, in legno, ecc.) contenenti al loro interno, per tutta la lunghezza, un singolo elemento metallico (p. es. un tubo di acciaio) che perciò viene detto "anima" (tubolare), ecc.

In questi casi anima è il sostegno interno del corpo, di cui rende possibile l'esistenza e la funzionalità.

Si scorge così perchè S. Tommaso definì l'anima "la forma del corpo", forma nel senso della Filosofia Scolastica, non cioè di "figura" (come l'intendiamo oggi noi) ma nel senso di ciò che dà la forma, la "potenza" cioè che consente alla materia (sub-stantia) di avere la forma che ha.

Non così pensava, prima di S. Tommaso, S. Alberto di Bollstädt o di Colonia, come lo dicevano i suoi contemporanei, detto anche S. Alberto Magno, che consolidò il concetto dell'infusione dell'anima umana, operata da Dio direttamente, individuo per individuo, quando il corpo è già perfetto", ormai formato "da natura" nel seno della madre. Dante ha tradotto questo concetto in una celebre terzina.

Quest'idea dell'infusione dell'anima ha ispirato l'iconografia medioevale, come p. es. è raffigurata nel Liber Scivias conservato alla Buch Handlung di Rudesheim da cui è tratta la fotocopia allegata; immagine "poetica" certo, che ha il sapore ingenuo dell'infanzia, ma che sorregge in realtà la nostalgia di una sorta di "filiazione" dell'uomo da parte di Dio.

In ogni tempo e luogo tutte le religioni hanno condiviso il concetto di anima nel senso di Spirito, concetto talora esteso anche ad esseri assolutamente materiali (p. es. lo Spirito del Grande Fiume, lo Spirito della Montagna di Fuoco, ecc.). In tutte le Religioni l'anima umana o Spirito (psyche in greco) è constantemente concepita dotata della capacità di esistenza anche "separata" dal corpo, ed in grado persino di trasmigrare da un corpo all'altro (metempsicosi, nelle Religioni Orientali), o di ascendere (od essere trasportata) sino alle Dimore Divine (Religioni nordiche, Walhalla, Empireo, Paradiso nella Religione cristiana ed in quella mussulmana), o di vagare in un non meglio definito Al di là (l'Ade dei Greci, degli Etruschi, dei Latini, opp. il Regno dei Morti della Religione Egizia e di quella Micenea).

Questa caratteristica di separabilità dal corpo eppure di sopravvivenza dell'anima al di là della morte dell'individuo (immortalità dell'anima) è presente in tutte le Religioni.

Tutte meno la Religione ebraica, la quale propose, in luogo della immortalità dell'anima, il concetto straordinario della resurrezione dell'individuo quale evento specifico liberamente operato dalla Potenza di Dio.

Questo concetto è custodito nel Cristianesimo, ove è centrale e vi corona, con la Promessa di Cristo, l'Antico Testamento.

Là dove l'immortalità dell'Anima è un pensiero della mente umana inteso ad indicare "una proprietà di natura", una "caratteristica specifica" dell'anima, la Resurrezione "è predicata" quale azione di Dio, un suo dono libero operato con Potenza.

Non dunque una proprietà specifica (o un diritto) dell'uomo ma un'azione salvifica di Dio, verso la creatura di cui Egli non tollera, per Amore (misericordia, letteralmente: cuore per i miseri), la cancellazione dal libro della vita:

"Ecco, io scoperchio le vostre tombe e vi faccio risalire dai vostri sepolcri, o popolo mio, e vi riconduco nella terra di Israele. Voi conoscerete che sono Io il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi farò risalire dai vostri sepolcri o popolo mio. Io porrò in voi il mio Spirito; voi rivivrete e vi farò riposare nella V/s Terra; e voi conoscerete che Io sono il Signore; l’ho detto e lo farò" (Ezech. 37,12-14).

Fra immortalità e resurrezione corre dunque un divario totale ed assoluto.

L'una è presentata all'intelletto come una "proprietà" dell'anima, qualcosa che fa parte della sua natura spirituale; l'altra è "proclamata" come un'azione misericordiosa e salvifica, operata con potenza da Dio, gratis e per amore. (Cfr. l'aggettivazione "mio" posposta per ben due volte al sostantivo "popolo" nel passo citato di Ezechiele, per indicare l'appartenenza, il possesso, e l'amorevolezza di Dio verso la creatura).

Il "sogno" dell'immortalità traduce però, secondo me, non solo la speranza fondamentale dell'uomo, di sfuggire o di credere di poter sfuggire, almeno in parte, alla morte totale, ma esprime primariamente il sogno straordinario di sentirsi in qualche modo "imparentati" con Dio.

Etichetterò questo aspetto come una sorta "di nostalgia per Lui", che trascende la limitatezza dell'io e la stessa speranza della sopravvivenza ed ogni altro aspetto "personale", ma solo desidera Lui, vorrebbe vivere in Lui, perdersi in Lui.

Questo carattere dell'innamoramento per Dio, il cui termine tecnico è "misticismo", è antichissimo, e diffuso presso tutti i popoli, e non è limitato solamente all’ebraismo ed al cristianesimo, come spesso erroneamente si crede, ma è una costante universale dell'uomo in tutti i tempi ed i luoghi.

Molti miti antichi esprimono questo sogno della parentela con Dio sotto forma di "filiazione" o cioè generazione, misteriosa e straordinaria, almeno di singoli individui (gli eroi) che vengono perciò descritti (con il linguaggio e con la mentalità dell’epoca) generati dall'unione di un Dio con un essere umano (donna o uomo).

Guardando i famosi "bronzi di Riace" non si può p. es. non restare colpiti da questa nostalgia (in questo caso della cultura greca) nei riguardi dell'uomo-semidio, nato appunto da una simile unione. L'eroe considerato "progenie divina" è mito antico quanto la scrittura stessa e le sue tracce letterarie ed archeologiche sono sparse su tutta la terra. E non si tratta (si badi bene) di sola affabulazione, di "paganesimo" erroneo, o di finzione letteraria. Si tratta di un'autentica nostalgia dell'animo umano per Dio, e del tentativo di "dar corpo" a questa nostalgia in una forma comprensibile dalla mente; si tratta di una "spiegazione causale" del potersi considerare in qualche modo imparentati con Dio.

Quel che distanzia l'Antico Testamento, e successivamente il Cristianesimo, da tali forme primitive di Fede è che anche essi posseggono questa "passione per Dio" e questa nostalgia di una "parentela con Lui"; ma essa non è proclamata sotto l'aspetto riduttivo della generazione causativa, ma sotto quello dell'adozione, una forma di parentela meno stretta, ma "spirituale", basata su una libera scelta di Dio per impulso di amore verso la creatura ed estesa ad ogni uomo che voglia accoglierla:

"voi infatti avete ricevuto uno spirito di adozione che grida Abbà (Padre)".

In correlazione con ciò l'anima non si manifesta come una "parte" dell'essere umano concepito in maniera duale in due segmenti separati, l'elemento corporeo e l'elemento spirituale (questa maniera di intendere condusse storicamente all'eresia del manicheismo); ma si manifesta come relazione (o rapporto) d'amore fra Dio e la creatura, un legame di "appartenenza reciproca" sancito dall’"adozione" spirituale offertale da Dio.

S.Luca riferisce al riguardo "il proclama" straordinario ed ineguagliabile, pronunziato da Maria, un cantico d'amore e di gioia, di passione e di donazione:

"l'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore perchè ha considerato l'umiltà della sua serva". (Luc. 1, 46)

Siamo così davanti ad un legame che è "iniziato" da Dio; è Lui cioè che, come sempre, fa la prima mossa, così come è indicato simbolicamente dal Suo alitare il proprio soffio (ruàh) in Adamo, primo uomo; soffio cui corrisponde da parte della creatura uno spirito di nostalgia e di desiderio per Lui.

Nostalgia dunque di Lui, filiazione adottiva, rinascita dallo spirito come dice il colloquio di Nicodemo, con estensione data a tutti che vogliano riceverla, fino alle isole più lontane, site in attesa al di là del mare, a che ogni uomo veda la Salvezza di Dio, ed abbia, in Lui, la Vita Eterna.

Ing. Calogero Benedetti

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ultimo aggionamento 05 maggio, 2005