STUDI

 

Giovanni Paolo II

 

Congregazione per il Clero

Riflessioni e preghiere sul Sacerdote e la Misericordia di Dio alla luce della Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2001.

 

Sacerdote, sei mistero di misericordia

 

 

Il 22 giugno, Solennità del Sacro Cuore, si è celebrata la “Giornata mondiale per la santificazione del sacerdote”., Per l’occasione la Congregazione per il clero ha curato il sussidio “Sacerdote, sei mistero di misericordia” /Libreria Editrice Vaticana), che cita e commenta brani della Lettera del Papa per il Giovedì Santo del 2001, mentre nella seconda parte offre preghiere e meditazioni sulla misericordia di Dio e sul sacramento della Confessione. Una rilettura della vocazione e del mistero sacerdotale alla luce del mistero della misericordia divina. Come comanda il Vangelo di Luca: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”. Ne riproponiamo, sulla nostra Rivista, la prefazione del Cardinale Prefetto della Congregazione per il clero e alcuni passi.

(N.d.R.)

La prefazione del Cardinale Prefetto

Carissimo amico Sacerdote, spero che possa esserti di qualche utilità questo libretto intitolato “Sacerdote, sei mistero di misericordia”.
La scelta della tematica è stata operata in sintonia con il Santo Padre, che ci ha indirizzato la preziosa Lettera, lo scorso Giovedì Santo, sul tema del sacramento della Riconciliazione, come via fondamentale della nostra santificazione.
Questa Sua Lettera ci esortava a riscoprire il nostro Sacerdozio quale mistero di misericordia e ciò ci ha incoraggiato a percorrere con te un cammino tutto incentrato sulla misericordia di Dio. Lo faremo commentando con semplicità, insieme a te, i passi salienti della suddetta Lettera, alla luce della Parola di Dio e dell’esperienza cristiana.
Non è forse la via dell’amore misericordioso, come ci indicano innumerevoli Santi, la strada più immediata e semplice per raggiungere la santità?
Il Grande Giubileo ha impresso nei nostri cuori un più grande desiderio di riconciliazione con il Signore e fra noi tutti; forse questo è il frutto più sensibile, che è stato avvertito anche da coloro che credenti non sono: oggi si sente un diffuso bisogno di trovare nuove vie che appianino quelle troppo disastrate dalle conflittualità. Si invoca da ogni parte la pace e il Vangelo ci testimonia che la pace è frutto del perdono ricevuto e donato.
Il Signore risorto porta a ciascuno di noi il dono inesauribile del Suo perdono. Egli ci mostra le Sue piaghe (cfr Gv 20,20) per invitarci ad avere fiducia nel Suo indicibile amore per noi. Egli nulla si è risparmiato per sollevarci dalle nostre miserie. Ognuno di noi si sente a volte come Tommaso, l’incredulo, ma Tommaso diventa l’adoratore del Signore Dio, dopo che ha fatto l’esperienza della Sua misericordia (cfr Gv 20, 27-29). E’ una conversione che si è operata in lui e che Gesù vuole operare in tutti noi, nella misura della nostra fede nella onnipotenza della Sua misericordia.
Nel Sacramento del perdono troviamo lo spazio per eccellenza dove fare esperienza della divina misericordia. Questo Sacramento ci è donato, a noi è stato confidato, perché come Sacerdoti ne facessimo esperienza in prima persona, imitando gli apostoli, che hanno incontrato il Signore risorto nel cenacolo (cfr Gv 20,19-23).
Ci vogliamo rinnovare proponendoci la frequenza regolare nella nostra confessione e la disponibilità eroica nella confessione degli altri.
Vogliamo essere i fedeli e gli apostoli della confessione, ben sapendo che nessuna nuova evangelizzazione sarà possibile senza far rifiorire i nostri confessionali dai quali si dipartono i fiumi della misericordia rigenerante e, quindi, della pace e dell’amore.
A questo ci invitano le parole del Santo Padre: “È bello poter confessare i nostri peccati, e sentire come un balsamo la parola che ci inonda di misericordia e ci rimette in cammino. Solo chi ha sentito la tenerezza dell’abbraccio del Padre, quale il Vangelo lo descrive nella parabola del figliol prodigo — “ gli si gettò al collo e lo baciò “ (Lc 15, 20) — può trasmettere agli altri lo stesso calore, quando da destinatario del perdono se ne fa ministro.” (Lettera di Giovanni Paolo II ai Sacerdoti per il Giovedì Santo, 2001).
Nello spazio evangelico della Parabola del Figliol Prodigo (cfr Lc 15, 11-32), si potrebbe dire che è contenuto lo spazio sconfinato della misericordia del Padre. In questa straordinaria parabola tutta l’umanità è compresa, colpevole di immense colpe ma confrontata con l’assoluta gratuità dell’amore divino che, a contatto col peccato del mondo, si rivela amore misericordioso.
Se per assurdo ci mancasse l’esperienza della divina misericordia, come potremmo essere in comunione vitale con il Padre, ricco di misericordia? Non saremmo tralci vivi ma tralci secchi, separati dalla vite (cfr Gv 15,6).
La vocazione sacerdotale si comprende e si spiega proprio come tralcio totalmente unito alla vite che è Cristo (cfr Gv 15,5); questa è la sua essenza: “alter Christus”! In questa vite scorre una linfa che dà la vita: la misericordia del Padre. Senza misericordia le anime diventano come una terra arida, dove il deserto avanza implacabilmente, divorando la speranza e il cuore dell’uomo assomiglia allora ad una caverna solitaria ed oscura.
Gesù risorto, invece, vuole entrare nella nostra vita, impregnare di sé tutta la nostra dimensione umana e spirituale; come Sacerdoti Egli ci vuole inondare di bontà e di compassione. La pietra dal sepolcro, il Risorto l’ha rotolata via per sempre e la luce della Sua misericordia si è diffusa nei cuori di coloro che confidano in Lui.
Nessuno può trattenere questa luce, niente la può limitare, essa si effonde su tutti gli uomini di buona volontà, che restano aperti, nell’umiltà, alla potenza dell’amore misericordioso di Gesù, che si sprigiona dalle Sue piaghe gloriose.
Il mio augurio, oggi a te, caro Sacerdote, è quello di fare esperienza sempre più profonda ed efficace della bontà del Signore, che ti ha scelto ed unto come Suo consacrato e di essere tu stesso spazio di misericordia per ogni confratello e per ogni uomo!
Dal Vaticano, 13 maggio 2001

Darío card. Castrillón Hoyos
Prefetto della Congregazione per il Clero

 

Premessa

Caro amico sacerdote, su questo cammino di riflessione sarai accompagnato da brani tratti dalla Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II a noi indirizzata in occasione del Giovedì Santo di questo anno. Ad essi seguiranno dei commenti, che desiderano essere d’aiuto a meditare sulla tua vocazione tutta immersa nella divina misericordia, che ti ha concepito come sacerdote e che ti vuole costantemente nutrire, sostenendo ogni tuo passo verso il Cielo, dove guidi le anime a te affidate.
A noi ministri del Vangelo, il Vangelo comanda: “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). In questa frase è racchiusa tutta la nostra perfezione: diventare come il Padre celeste! “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).
La misericordia di Dio è la sua perfezione e deve diventare anche la nostra perfezione sacerdotale.
“La Chiesa vive una vita autentica – ci dice il Santo Padre - quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e Redentore e quando accosta gli uomini alla fonte della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 13)
“Accostare gli uomini alla fonte della misericordia del Salvatore”; non è forse questo il tuo più sublime compito?
Possano queste pagine esserti di aiuto per un desiderio sempre più profondo di glorificare Dio, glorificando la sua infinita misericordia.

 

1 - Sacerdote: sei prezioso agli occhi di Dio

«Penso… al lavoro che svolgete ogni giorno, lavoro spesso nascosto, che, pur non salendo alla ribalta delle cronache, fa avanzare il Regno di Dio nelle coscienze. Vi dico la mia ammirazione per questo ministero discreto, tenace, creativo, anche se rigato talora di quelle lacrime dell’anima che solo Dio vede e “raccoglie nel suo otre” (cfr Sal 56, 9). Ministero tanto più degno di stima quanto più provato dalle resistenze di un ambiente ampiamente secolarizzato, che espone l’azione del sacerdote all’insidia della stanchezza e dello scoramento. Voi lo sapete bene: questo impegno quotidiano è prezioso agli occhi di Dio».
Quanto è prezioso il tuo lavoro dinanzi a Dio: non in primo luogo per quello che tu fai, ma per quello che tu sei. Come sacerdoti siamo infatti Cristo, lo siamo realmente e per sempre. Questo, a volte, ci incute quasi una certa paura, il timore di trovarci davanti a qualcosa di talmente grande, troppo grande per un povero uomo. Per questo, forse, il Signore ha rivolto proprio ai primi chiamati, più di una volta, l’incoraggiamento che oggi rivolge anche a noi: “Coraggio, sono io, non abbiate paura” (Mt 14,27).
“Non temere, sono io”, questa parola del Signore deve entrarti dentro, soprattutto nei momenti di sconforto e abbattimento, la devi lasciare dimorare in te, fino a percepirla con la tua coscienza, come rivolta proprio a te, non solamente agli Apostoli di un tempo.
Curare la propria interiorità resta sempre la priorità. E’ il primato dell’essere sull’agire.

 

7 - “ Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo “

“Mistero grande, carissimi Sacerdoti: Cristo non ha avuto paura di scegliere i suoi ministri tra i peccatori. Non è questa la nostra esperienza? Toccherà ancora a Pietro di prenderne più viva coscienza nel toccante dialogo con Gesù, dopo la risurrezione. Prima di conferirgli il mandato pastorale, il Maestro pone l’imbarazzante domanda: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” (Gv 21, 15). L’interpellato è colui che qualche giorno prima lo ha rinnegato per ben tre volte. Si comprende bene il tono umile della sua risposta: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (ivi, v. 17). È sulla base di questo amore esperto della propria fragilità, un amore trepidamente quanto fiduciosamente confessato, che Pietro riceve il ministero: “Pasci i miei agnelli”, “pasci le mie pecorelle” (ivi, vv. 15.16.17). Sarà sulla base di questo amore, corroborato dal fuoco della Pentecoste, che Pietro potrà adempiere al ministero ricevuto».
Quanto coraggio ci infonde la stessa fragilità di Pietro, che fa riflettere ancora di più lo splendore della misericordia di Dio e non illude l’uomo, tentato altrimenti di credere che potrebbe cavarsela da solo. “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5); questo ripete il Signore anche a te oggi e ti offre la pienezza della Sua misericordia, per essere tralcio fecondo allacciato a Lui, la vite, per portare molti frutti.
“La nostra attenzione si sofferma sul gesto del Maestro, che trasmette ai discepoli timorosi e stupefatti la missione di essere ministri della divina Misericordia. Egli mostra le mani e il costato con impressi i segni della passione e comunica loro: “Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi” (Gv 20,21). Subito dopo “alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23). Gesù affida ad essi il dono di “rimettere i peccati”, dono che scaturisce dalle ferite delle sue mani, dei suoi piedi e soprattutto del suo costato trafitto. Di là un’onda di misericordia si riversa sull’intera umanità… Anche a noi quest’oggi il Signore mostra le sue piaghe gloriose e il suo cuore, fontana inesausta di luce e di verità, di amore e di perdono” (Giovanni Paolo II, 22 aprile 2001).
Il Santo Padre ha parlato con questi accenti commoventi, nell’omelia del 22 aprile 2001, seconda Domenica di Pasqua, in cui è stata celebrata la “festa della Misericordia di Dio” (Regina Coeli, 22 aprile 2001). Giovanni Paolo II, aveva infatti proclamato, per tutta la Chiesa, la seconda Domenica di Pasqua, “Domenica della Divina Misericordia” (omelia del 30 aprile 2000). Nel messaggio a Santa Faustina Kowalska, Gesù promette per questa Domenica: “In quel giorno sono aperte le viscere della mia misericordia, riverserò tutto un mare di grazia sulle anime che si avvicinano alla sorgente della mia misericordia. L’anima che si accosta alla confessione ed alla santa Comunione, riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto” (Diario, QII, pag. 267).
Dal costato trafitto di Cristo era scaturito il sangue e l’acqua (cfr Gv 19,34). Giovanni nel contemplare questo flusso sovrabbondante di misericordia, vi aveva trovato la forza per rimanere fedele al Signore. Per questo lo credette risorto prima di Pietro (cfr Gv 20,8) e poi, sul lago di Galilea, lo riconobbe, dicendo “è il Signore”, mentre lo scorgeva da lontano sulla riva (cfr Gv 21,7).
Giovanni, imitando la Vergine Maria, la Madre di Gesù, si era lasciato conquistare dall’amore misericordioso di Cristo, al quale non aveva fatto resistenza. Giovanni aveva imparato a fidarsi della parola del Maestro, il suo atteggiamento era diventato quello di un bambino, come il Signore lo aveva chiesto ai Suoi: “se non vi convertirete e diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3).
Accade oggi anche a noi la stessa cosa: chi ha il cuore pieno di fiducia nel Signore penetra rapidamente nel cuore di Dio, discerne con semplicità gli innumerevoli segni del Suo amore e della Sua presenza, percepisce i Suoi desideri e li realizza insieme a Lui. Gli altri, pur facendo l’esperienza della fragilità umana, non confessano però al Signore, con fiducia e trepidazione, il loro amore e ne restano come esclusi. Per loro è come se Cristo non avesse mai lasciato il sepolcro, non fosse mai risorto e non potesse avvolgerli con la potenza della Sua resurrezione. La storia si ripete anche oggi: Cristo manifesta la potenza della Sua misericordia solo a coloro che si abbandonano a Lui incondizionatamente.
Ecco perché, per alcuni di noi, è così difficile fare l’esperienza trasformante della misericordia di Dio. Questa grande e autentica esperienza, che hanno fatto gli Apostoli di Cristo risorto, se non lo è già diventata, può e deve diventare anche la tua.

 

8 - Avvolti dalla misericordia

«E non è dentro un’esperienza di misericordia che nasce anche la vocazione di Paolo? Nessuno come lui ha sentito la gratuità della scelta di Cristo. Il suo passato di accanito persecutore della Chiesa gli brucerà sempre nell’animo: “Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio” (1 Cor 15, 9). E tuttavia questa memoria, lungi dal deprimere il suo entusiasmo, gli metterà le ali. Quanto più si è stati avvolti dalla misericordia, tanto più si sente il bisogno di testimoniarla e di irradiarla».
La misericordia non è qualcosa ma è Qualcuno: Gesù Cristo, come ci dice Giovanni Paolo II (cfr Redemptor Hominis, n. 9). Tu puoi capire la misericordia soltanto se fai esperienza di Lui nella tua vita. Questa esperienza, come per Pietro e Paolo, si chiama innanzitutto “riconciliazione”, “perdono”. Cristo è la Porta, in quanto misericordia incarnata del Padre, per introdurci nel mistero del Regno di Dio.
Come è avvenuto per Pietro e Paolo, anche a noi Dio vuole mettere le ali dell’entusiasmo per lo straordinario ministero di riconciliazione che ci è stato affidato, con la confessione sacramentale, non in virtù dei nostri meriti ma per la sovrabbondante carità del Cuore di Cristo.
Quanto allora acquistano valore, soprattutto per noi sacerdoti, le parole di Gesù: “siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”. (Lc 6,36-38)”!

 

10 - Riscoprire il sacramento della Riconciliazione

«Nella Novo millennio ineunte ho additato l’impegno di santità come il primo punto di una saggia “programmazione” pastorale. È impegno fondamentale di tutti i credenti, quanto più dunque deve esserlo per noi (cfr nn. 30-31)!
A questo scopo, è importante che riscopriamo il sacramento della Riconciliazione come strumento fondamentale della nostra santificazione. Avvicinarci a un fratello sacerdote, per chiedergli quell’assoluzione che tante volte noi stessi diamo ai nostri fedeli, ci fa vivere la grande e consolante verità di essere, prima ancora che ministri, membri di un unico popolo, un popolo di “salvati”».
A volte anche noi sacerdoti andiamo a cercare lontano soluzioni a problemi esistenziali, che sono invece a portata di mano. Non è forse un “problema” esistenziale quello di diventare santi?
Il Santo Padre ci fa il dono inestimabile di confermarci nella fede, anche per quanto attiene al sacramento della Riconciliazione, che, come egli dice, è: “strumento fondamentale della nostra santificazione”.
Che cosa c’è di più semplice che ricevere il perdono gratuito di Gesù, farlo diventare sovrabbondante nella nostra vita sacerdotale? Il Papa ci invita a cercarlo frequentemente nella confessione sacramentale, per la quale, a volte, o non abbiamo il tempo, o la riduciamo ad un atto vissuto superficialmente, poco preparato, come non poche confessioni di routine che noi ascoltiamo.

 

11 - La tenerezza dell’abbraccio del Padre

«È bello poter confessare i nostri peccati, e sentire come un balsamo la parola che ci inonda di misericordia e ci rimette in cammino. Solo chi ha sentito la tenerezza dell’abbraccio del Padre, quale il Vangelo lo descrive nella parabola del figliol prodigo — “gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15, 20) — può trasmettere agli altri lo stesso calore, quando da destinatario del perdono se ne fa ministro».
Non può certo accadere per noi sacerdoti di diventare come il fratello maggiore della parabola del figliol prodigo: era sempre nella Casa del Padre, lo serviva e si sforzava di fare tutto secondo la disciplina ricevuta, ma non faceva esperienza della sua bontà. Era uno scettico, non poteva credere che il Padre era tanto buono, di una bontà inverosimile (cfr Lc 15,28-29). Eppure stava sempre con lui e si era illuso di conoscerlo!
Un giorno Gesù ad un tale “fratello maggiore” dirà: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”. (Lc 7,44-47)

 

12 - Con il cuore stesso di Cristo

«Ricorriamo assiduamente, carissimi Sacerdoti, a questo Sacramento, perché il Signore possa purificare costantemente il nostro cuore rendendoci meno indegni dei misteri che celebriamo. Chiamati a rappresentare il volto del Buon Pastore, e dunque ad avere il cuore stesso di Cristo, dobbiamo più degli altri far nostra l’intensa invocazione del Salmista: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Sal 51, 12). Il sacramento della Riconciliazione, irrinunciabile per ogni esistenza cristiana, si pone anche come sostegno, orientamento e medicina della vita sacerdotale».
Sacerdote, sei mistero di misericordia! Sei esperto del Vangelo, diventa esperto del sovrabbondante perdono che esso rivela.

* * *

«Il sacerdote che fa pienamente l’esperienza gioiosa della riconciliazione sacramentale avverte poi del tutto naturale ripetere ai fratelli le parole di Paolo: “Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20)».
Il Santo Padre proseguendo nella Lettera, dopo aver richiamato quella crisi della confessione derivante da molteplici fattori, primo fra tutti l’attenuazione del senso del peccato, ci rivolge un invito:

* * *

«Forse dobbiamo riconoscere che talvolta può aver giocato a sfavore del Sacramento anche un certo indebolimento del nostro entusiasmo o della nostra disponibilità nell’esercizio di questo esigente e delicato ministero. Occorre invece più che mai farlo riscoprire al Popolo di Dio. Bisogna dire con fermezza e convinzione che è il sacramento della Penitenza la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei peccati gravi commessi dopo il Battesimo. Bisogna celebrare il Sacramento nel migliore dei modi, nelle forme liturgicamente previste, perché esso conservi la sua piena fisionomia di celebrazione della divina Misericordia».
Celebrare la divina misericordia! Che bella espressione per descrivere quello che avviene nel segreto di ogni confessionale. Quante volte lo avrai sperimentato, sia amministrando ai fedeli il sacramento della Riconciliazione, sia nel riceverlo dalle mani di un confratello. Nessuna istituzione umana può rimettere i peccati. Solo la Chiesa fondata da Cristo su Pietro, la roccia, e quindi di istituzione divina, ha il potere di rimettere i peccati. E’ lunghissima la schiera di coloro che nel corso dei secoli hanno difeso, anche a prezzo della loro vita, le prerogative divine del sacramento della Riconciliazione. Abbiamo i martiri dell’Eucarestia e quelli della Confessione, come ad esempio S. Giovanni Nepomuceno.
Purtroppo la secolarizzazione e l’indifferenza religiosa, cercano di corrodere le fondamenta anche di questo sacramento. Come ci ricorda lo stesso Vicario di Cristo, a volte, la tentazione è di ridimensionarlo, facendogli perdere la prima e fondamentale dimensione trascendentale: confessare, pentiti, i propri peccati, per ricevere dal Signore il perdono e con il perdono la grazia santificante. Essere riconciliati con Dio per vivere riconciliati con i fratelli, essere in pace intimamente per divenirne operatori.

 

15 - Riconciliazione e messaggio evangelico

«Resta poi il fondamentale problema di una catechesi sul senso morale e sul peccato, che faccia prendere più chiara coscienza delle esigenze evangeliche nella loro radicalità. C’è purtroppo una tendenza minimalistica, che impedisce al Sacramento di portare tutti i frutti auspicabili. Per molti fedeli la percezione del peccato non è misurata sul Vangelo, ma sui “luoghi comuni”, sulla “normalità” sociologica, che fa pensare di non essere particolarmente responsabili di cose che “fanno tutti”, tanto più se sono civilmente legalizzate.
L’evangelizzazione del terzo millennio deve fare i conti con l’urgenza di una presentazione viva, completa, esigente del messaggio evangelico. Il cristianesimo a cui guardare non può ridursi ad un mediocre impegno di onestà secondo criteri sociologici, ma deve essere un vero tendere alla santità».
Il Vangelo deve ridiventare l’unico metro di misura delle nostre intenzioni e azioni. Solo così potrà fiorire la santità tra i cristiani, che il Santo Padre tanto auspica e promuove nel suo infaticabile ministero apostolico, anche e soprattutto, attraverso le numerose beatificazioni e canonizzazioni.
Solo il Vangelo ci dona l’esatta proporzione tra peccato e grazia, colpa e perdono. Gesù infatti è venuto nel mondo per perdonare i nostri peccati.
Una volta forse, in taluni ambienti, si temeva il castigo di Dio e allora si restava distanti dalla sua misericordia, non credendovi fino in fondo. Oggi, invece, si banalizza il peccato e si resta distanti dal perdono di Dio, perché non si sente la necessità di riceverlo. Siamo un po’ tutti contaminati da questa mentalità e vale anche per noi la parola di Paolo: “non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
Paura e indifferenza, due atteggiamenti estremi, contrapposti, che tentano l’uomo nei confronti della misericordia divina. Il Signore ci aiuti a non cadere in queste terribili tentazioni, che vanificano il Sangue di Cristo! Anche agli Apostoli questa tentazione non venne risparmiata: a volte hanno avuto paura o sono restati indifferenti all’amore di Gesù per loro. Per questo, allora come oggi, dobbiamo accostarci con fiducia al Cuore misericordioso di Dio, da dove scorre ininterrotto il flusso della Sua misericordia e davanti al costato trafitto di Cristo possiamo pregare: “O Sangue e Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù, come sorgente di misericordia per noi, confido in te” (Santa Faustina Kowalska).

 

16 - Nella gioia del nostro ministero

«Andiamo avanti, cari fratelli Sacerdoti, nella gioia del nostro ministero, sapendo di avere accanto a noi Colui che ci ha chiamati e che non ci abbandona. La certezza della sua presenza ci sostenga e ci consoli».


Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti.

(1Pt 2, 24)

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ultimo aggionamento 17 agosto, 2001