ESPERIENZE
 

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S. Ecc. Mons. Giovanni Bianchi

in occasione del suo 60° di sacerdozio

 

Ringrazio il Signore che mi ha chiamato

 

 

 


Il 23 giugno S. Ecc. Mons. Giovanni Bianchi ha celebrato i 60 anni di sacerdozio nella sua ex Diocesi Pescia-Montecatini. Ci hanno detto che è stato un momento di grandissima partecipazione. I sacerdoti e la gente l’hanno voluto salutare con affetto e gratitudine.
Noi abbiamo ringraziato con lui l’Amore Misericordioso il 1° luglio. Nell’omelia ha ricordato le grazie del Signore, compresa quella di “sbarcare” qui a Collevalenza, sette anni fa “perchè avevo bisogno di misericordia”. Grazie, Eccellenza, delle lezioni di vita umana, cristiana e religiosa! Grazie dell’esempio di vita comunitaria, della disponibilità alle confessioni, della sapienza discreta.
Molto volentieri pubblichiamo una parte della sua Omelia. (N.d.R.)

Ringrazio il Signore che mi ha chiamato e ringrazio anche di un dono che potrà sembrare strano, ma non lo e. Il Signore mi ha chiamato nella povertà, nella quale vivevo insieme con i miei familiari. La ritengo un dono, perché nella povertà ho capito che è Lui che lavora, è Lui che opera e che chiede a noi generosità di dono.

Vorrei ringraziare in modo particolare mio padre e mia madre. Mio padre che per diciannove anni infermo, cieco, ha vissuto prima un po’ in maniera ribelle ma, al momento della conversione, si e donato totalmente a Dio. Lui che era contrario ha voluto offrire la sua vita per me. Il Signore misteriosamente lo ha esaudito: infatti è morto quindici giorni prima della mia ordinazione sacerdotale. E con il babbo la mamma, che è stata veramente martire dell’amore e della sofferenza perché ha portato avanti la famiglia con l’umile suo lavoro. E quando si e trattato per Giovanni di entrare in seminario ha cercato qualche denaro per potermi mantenere. Misteriosamente e provvidenzalmente là, in quella pensione Banchi, che ora è la Casa della Gioventù a Firenze, ha chiesto ai pensionanti un aiuto; una signorina americana ha detto subito «pagare tutto io». Non mi ha voluto conoscere perché diceva «non voglio che Giovanni sia umiliato». Cosi sono potuto arrivare, dopo il periodo del seminario, al sacerdozio: 6 luglio 1941, Ed è iniziato per cinque anni il mio ministero, nella furia della guerra, degli orrori, delle stragi, dei bombardamenti, delle deportazioni, periodo terribile nel quale la provvidenza di Dio mi ha salvato, ha salvato mia madre, mia zia Anita che mi ha seguito sempre, ha salvato i miei fratelli Eliseo, Mario, riportandoli dalla guerra fuggiaschi e per un anno e mezzo sono rimasti nascosti da me. Soltanto in quell’anno e mezzo hanno avuto da me qualcosa, dopo no; mi hanno amato teneramente, delicatamente, ma non hanno mai chiesto nulla a me; semmai io molte volte sono ricorso a loro, quando ormai era passato il clima pauroso della guerra. Poi ci fu il periodo nel quale la violenza nascosta stava esplodendo. Esplodeva a volte in maniera dura, in maniera terribile. Il mio predecessore parroco Mons. Leone Crocetti il giorno dell’attentato di Palmiro Togliatti fu ammazzato di botte: era un gruppo di donne. Poi iniziò il periodo della ricostruzione, il periodo nel quale si sentiva il bisogno di eliminare tanto odio, tante difficoltà, tanti rancori. Il Signore, lui solo, mi fece capire che in quel momento era necessaria un’educazione, una formazione all’amore, e iniziai, insieme con i miei collaboratori sacerdoti, le suore, tante anime buone e soprattutto la sofferenza e la preghiera di tanti malati che coinvolgevo nell’opera di educazione all’amore che stavo facendo nella mia parrocchia, Castelfiorentino, in cui restai undici anni.
Pensavo di continuare in quel clima di risurrezione di vita, quando il Cardinale Elia Dalla Costa, servo di Dio mi chiamò e mi disse che mi voleva accanto a sé come Vicario Generale nella diocesi. Fu un momento durissimo per me, ma altrettanto dura fu la decisione del Cardinale Arcivescovo. Piangendo lasciai la mia parrocchia, scesi a Firenze e ho iniziato il mio servizio di fratello dei miei sacerdoti; e quando nel 1964 è arrivato l’altro ordine che dovevo essere Vescovo ausiliare, cercai di rifiutare, di respingere questa che poteva essere un’offerta gratificante. Fu irremovibile l’Arcivescovo e 1’8 settembre 1964 fui ordinato Vescovo ausiliare e inizio un lavoro sereno, un lavoro nel quale offrii me stesso al Signore come strumento di quell’amore che Egli voleva portare nella diocesi di Firenze. Pensavo di rimanere li, in quel clima di fraterno amore, in quel clima di serenità, in quel clima di rinnovata fiducia in Dio e nel medesimo tempo rispetto e amore verso se stessi. Purtroppo non era così. Dopo essere passato anche attraverso prove dure venne il momento di lasciare Firenze, la mia Firenze, nella quale ero nato, battezzato, cresimato, ordinato sacerdote e parroco e la mia destinazione fu in mezzo a voi, a Pescia, e feci l’ingresso qui in questa Cattedrale. C’erano tante persone, ma dentro di me c’era una sofferenza perché pensavo che altri miei confratelli sacerdoti, che meritavano più di me e certamente brillavano in santità e scienza più di me, mi parve che fossero stati trascurati. Ma donai me stesso al Signore e ricordando il mandato di Cristo «andate e insegnate, andate e annunciate il mio Vangelo» fu quello il mio impegno, e voi ne siete testimoni. Catechismo, incontri, varie esortazioni, vari momenti di approfondimento della Parola di Dio: quello sentivo essere il mio compito, a cui non potevo e non volevo rinunciare.
Sono così passati diciassette anni. Scattò il fatidico settantacinquesimo anno di età quando ogni Vescovo deve deporre nelle mani del Pontefice il mandato della diocesi che gli è stata consegnata. Ci soffrii, ma l’ho fatto serenamente. Mi è stata prolungata ancora di dieci mesi la permanenza qui a Pescia in attesa del mio successore Mons. De Vivo. Poi, direi in maniera inconsueta, in maniera vorrei dire strana, ma misteriosa ho approdato a Collevalenza, tramite quel santo religioso che era Gino Capponi. Ed ho iniziato il mio compito delicato, stupendo dell’amore di Dio, amore di Dio che perdona, amore di Dio che dimentica, amore di Dio che ama. Quante persone sono approdate a Collevalenza! Inginocchiati alla tomba di Madre Speranza chiedevano la pace, la serenità interiore chiedevano di accettare le prove che il Signore permetteva loro. Ed io, che molte volte forse avevo sfuggito l’incontro totale con il Signore, io che molte volte, devo riconoscerlo, forse non ho amato Dio e i fratelli come dovevo, mi sono dato con impegno al servizio pastorale della confessione. Quanti momenti di gioia, quanti momenti di conforto, di consolazione, quante volte ho ripetuto al Signore grazie, perché mi ha chiamato a questo ministero. Ma se è giusto che io ringrazi il Signore permettete che io chieda perdono al Signore, perché in questi sessanta anni non sempre sono stato all’altezza del mio ministero, del mio compito. Io che dovevo amministrare la misericordia di Dio, forse avevo bisogno proprio io di misericordia e ne ringrazio per questo il Signore. Permettete poi che io mi rivolga alla Madonna, che è stata al centro della mia vita spirituale, che mi ha aiutato tante volte in maniera concreta, lei che ho sentito vicino particolarmente nei due anni del Concilio Vaticano II, una grazia eccezionale. La Madonna che invoco affinché per me e per voi continui ad essere mamma, mamma nelle vicende della vita, che per noi tutti sono spesso difficili, mamma nel momento supremo, quando, isolati da tutti, ci troviamo di fronte alla nostra realtà umana più volte macchiata di peccato e abbiamo paura di presentarci al Signore. Permettete allora che io dica per me e per voi: Mamma del cielo prendici sempre per mano, sii presente in quel momento difficile, quando stiamo per presentarci dinnanzi al Signore. Siamo tuoi figli, perché Gesù ti ha regalato come mamma per ciascuno di noi. E in quel momento supremo presentaci tu a Gesù, nascondi con il tuo materno aiuto e con la tua misericordia quello che di negativo c’è in noi, in modo che possiamo trovare misericordia e perdono dinnanzi al Signore e così entrare a far parte della tua gioia, della tua felicita del tuo amore. La Madonna ce lo conceda sempre.


Il dono della croce pettorale

Al termine della celebrazione, prima della benedizione finale, Mons. Bianchi si e tolta la croce pettorale d’oro con incastonata un’ametista e l’ha consegnata al Vescovo come dono per la Diocesi. Un segno bellissimo, accompagnato dall’abbraccio fra i due vescovi e sottolineato da applausi. Dopo il dono del Pastorale, al momento di lasciare la Diocesi, la croce pettorale è un altro segno dell’amore di Mons. Bianchi per la nostra Chiesa locale.

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ultimo aggionamento 17 agosto, 2001