La lettera

 

Terrorismo,
pregare non conta?

Carissimi,
   
penso all’uomo, all’agonia dell’uomo, a quei millenni di agonia, di tempo incalcolabile, che precedono la morte.
    Quando non hai una mano accanto, che ti stringa, ma senti la furia folle, orrenda, brutale, di tuo fratello Caino.
    No, non è l’America che ci convoca oggi.
    Non sono le due torri che crollano a Manhatan, non è l’attacco al Pentagono.
    Ci convoca l’uomo. Nel silenzio e nella luce. L’uomo di tutte le razze, di tutte le fedi, ucciso, dilaniato, sterminato.
    Il silenzio e le fiaccole sono state le due icone di una marcia alla quale ho partecipato.
    Il silenzio, che non è l’assenza di parola, ma è, anzi, la parola che grida.
    La luce che ci interroga sulle responsabilità.
    Le nostre responsabilità, ma oggi, quelle di una cultura della morte che fa paura, allucinante, fanatica, religiosa, politica, folle.
    Lo dico senza enfatizzazioni. Non possiamo diventare fanatici per combattere il fanatismo. Lo dico nella preghiera.
    Pregare non conta? Certo, se pregare significa giungere le mani.
    Ma pregare è di più. E’ congiungere le proprie mani con quelle di Dio e dei fratelli. E’ convertirsi all’uomo, nel quale Dio si fa presente.
    Non si può chiedere a chi prega di ratificare il presente, l’ingiustizia, la corruzione, la violenza, la morte. La preghiera stabilisce un conflitto drammatico con il tempo.
    Assistere al mondo come esso è, sarebbe il più grosso peccato e la più brutale delle violenze.

Nino Barraco

 

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ultimo aggionamento 02 dicembre, 2001