STUDI
 
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Prof.ssa Annamaria Sancricca

 

Mass Media e Intercultura
Relazione e comunicazione Interculturale

 

 

Lo stato delle cose

Uno degli avvenimenti più significativi del nostro tempo, destinato a modificare gli assetti sociali esistenti, è l’enorme sviluppo dei contatti tra i popoli e le culture, vuoi per la circolazione dei prodotti e delle idee, vuoi per la circolazione delle persone che migrano perché rifiutano la miseria, perché non vedono possibilità di ascesa sociale nel proprio paese di origine e/o perché rifugiati che fuggono le persecuzioni.
L’Europa ha superato i 12 milioni di immigrati. Il problema dunque da affrontare nell’immediato è la capacità di stabilire una comunicazione corretta che favorisca l’integrazione sociale e professionale nel rispetto e nel riconoscimento.
Circa il multiculturalismo si vanno dicendo tante cose ma, come sempre, la nostra prospettiva privilegia il rapporto con i mass media, visto che una grossa fetta delle conoscenze, per ciascuno di noi, avviene non tanto per esperienza diretta quanto per comunicazione.
Nella conoscenza per comunicazione, infatti, la realtà rappresentata ha i contorni del quotidiano concreto, ma con la differenza che presenta problemi già selezionati.

 

Mass Media: veicoli di conoscenza

La Tv opera selezioni e la prima selezione è quella di far credere che la realtà esiste perché rappresentata e, nel rappresentarla, la seleziona secondo criteri mediati in modo inavvertito, nel senso che le motivazioni e le conseguenze non sono chiare alla coscienza individuale e collettiva. La seconda selezione consiste nel semplificare la realtà, attraverso strategie quali: la costruzione artificiosa e la banalizzazione del problema, il controllo sistematico della problematicità e la costruzione di contesti emotivi.

 

Mass media: mediatori culturali

Nella relazione e comunicazione tra persone di radicamenti culturali diversi vi sono due portatori di cultura: se stesso e l’altro; e la comprensione dell’altro diverso passa sempre attraverso la scoperta della propria identità sociale, culturale e professionale.
Non è possibile parlare di identità della persona senza prima aver indagato e compreso il senso della fenomenologia massmediale e, conseguentemente, del suo “contagio” sociale. Infatti le rappresentazioni, le idee che noi veicoliamo e che riguardano lo straniero e, in particolare, lo straniero appartenente a quel dato paese, a quella data religione, a quel dato popolo, sovente si rifanno a pregiudizi e a stereotipi veicolati dai mass media.
Il riferimento privilegiato è il mezzo televisivo, ma solo perché il più frequentato e dunque il più vicino all’esperienza collettiva; ma i meccanismi di cui si avvale la comunicazione televisiva sono estendibili a tutti gli altri mezzi di comunicazione di massa, specie il giornale perché tutti hanno un comune denominatore che è quello di essere “mediatori culturali” di quella cultura che noi chiamiamo “massmediale”.

 

Identità e Interculturalità

Per costruire le dimensioni dell’oggi, in considerazione di nuovi popoli che si affacciano sui balconi della storia, è fondamentale non rompere il filo che ci lega alla nostra tradizione, alla nostra cultura, alle nostre radici cristiane, alla nostra civiltà giudeo-cristiana, con i poderosi innesti in essa della filosofia ellenica e delle scienze giuridica e politica romana. In una parola, non possiamo, né dobbiamo rinunciare alla nostra identità culturale. Ma neanche cadere nel pregiudizio culturale che la nostra identità sociale è la migliore.
L’impegno comune a costruire un modello di civiltà e di cultura, capace di non tradire le molte e varie culture presenti, implica la costituzione di nuovi statuti, nuove discipline, nuove leggi, ma soprattutto l’impegno di tutti – indigeni e immigrati – a costruire nuove forme di convivenza sociale capaci di salvaguardare identità e appartenenza.

 

Una nuova convivenza sociale

Per costruire nuove forme di convivenza sociale bisogna cambiare mentalità e lo strumento privilegiato è un sistema formativo che educhi i giovani, ma anche gli adulti per assicurare a tutti (come esige la nostra civiltà post moderna) la possibilità di apprendere nel corso di tutta la vita. Istruzione e Formazione per tutti in una prospettiva di “Lifelong learning”.
Allora i percorsi educativi, per giovani ed adulti, da costruire dovranno essere tali da traghettare il multiculturalismo in una sorta di interculturalità garante del permanere delle differenze tra i popoli, etnie e culture.
Una nuova cultura davvero pluralistica, fondata sulla comprensione e accettazione dell’altro e su un sistema di valori che sia fondativo del sistema sociale, politico e culturale.
Ma quale potrebbe essere un punto di contatto tra le varie culture così massicciamente presenti in Europa e dunque in Italia? Questo è il vero problema.
La pedagogia e le scienze sociali, ancora una volta possono essere di aiuto, ma anche qui un interrogativo. La nostra gente e i nostri politici, referenti del sociale e del sistema formativo, saranno d’accordo con questo progetto la cui realizzazione prevede una visione antropologica umanistico-cristiana che dista le mille miglia dalla visione materialistica che, di fatto, fonda la cultura dominante anche, ahimé, con l’avallo (pur inconscio) di cattolici? Questo sembra essere, a mio parere, il vero punto nodale della questione.

 

Punti di contatto: Il Buddismo, il Cristianesimo e L’Islam

Per costruire nuove forme di convivenza sociale capaci di salvaguardare identità e appartenenza e lavorare per la costruzione di una civiltà dell’amore, bisogna andare a parare sui valori, quelli spirituali fondativi di una nuova civiltà.
Giovanni Eckhart filosofo domenicano, autore di un Opus tripartitum, sostiene l’unità assoluta ed essenziale dell’uomo con Dio e quindi del mondo naturale con quello soprannaturale.
Dio è dentro di noi, dice S. Agostino “in interiore homine habitat veritas” basta scavare nell’interiorità per cogliere questa presenza e ritrovare l’unità dell’“io”.
Questa esigenza di unità il BUDDISMO la identifica con il raggiungimento di uno stato di “calma”, una sorta di “tranquillità” che si consegue esercitandosi a rientrare nella dimensione interiore per cogliere l’“io” profondo. Tale attitudine costituisce un punto comune per un dialogo interreligioso, ma anche per una comune strategia educativa, perché gli interrogativi di fondo: chi sono, da dove vengo, dove vado, sono gli interrogativi di tutti gli uomini, indipendentemente della loro appartenenza religiosa e/o politica. Questi vengono prima della religione, perché iscritti nel cuore dell’uomo.
La filosofia araba ha esercitato un notevole influsso sulla cultura occidentale. Gli Arabi furono in contatto con il pensiero aristotelico fin dal VII secolo e per merito dei Califfi Abassidi, Bagdad divenne un centro fiorentissimo del sapere dove la cultura greca, persiana e indiana trovarono modo di incontrarsi e di fondersi.
Lo stanziarsi degli Arabi in Europa (Spagna e Sicilia particolarmente) diffuse anche in Occidente la loro cultura. Il pensiero arabo cercò di adattare il sistema aristotelico alla fede mussulmana attraverso elementi ora scolastici ora alessandrini. Ma questa sintesi tra razionalismo e fede mussulmana non si poté attuare in senso assoluto, sia per l’intransigenza dei Califfi, sia per la poca adattabilità dei filosofi arabi, che finirono per essere dei puri fideisti o degli esagerati razionalisti.
Il Corano, a differenza della nostra Bibbia, pur essendo un testo che mette insieme precetti da osservare, parla anche di un Dio misericordioso; nell’ISLAM c’è una fedeltà alla preghiera davvero esemplare, c’è la spinta alla interiorità, ma…
Certo, l’assenza di un Capo spirituale e istituzionale (come la religione cattolica) garante dell’unità dottrinale in tutto il mondo, dà ragione di come all’interno dell’Islam possano convivere anime diverse e opposte tra loro, anche per l’influenza della storia, della filosofia e della tradizione.

 

Si può fare qualcosa?

Tutte le grandi religioni esprimono l’esigenza di salvezza, l’Islam e il Buddismo propongono una salvezza che viene dall’uomo, solo il Cristianesimo propone una salvezza che viene da Dio, attraverso la Redenzione del Dio fatto Uomo.
Proprio questa esigenza di salvezza può essere la base comune per la costruzione di una coscienza personale e collettiva che parte e si fonda su valori spirituali che riconoscono nella diversità una ricchezza, non già un limite.
L’impresa è ardua. Con la scuola si può fare qualcosa. Stando con i piedi in terra la soluzione può iniziare ad operare, qualora genitori ed educatori cominceranno a rendersi conto dei termini reali della questione, soprattutto in relazione ad una corretta lettura dei mass-media, cioè portare a soglia di conoscenza le “comunicazioni inavvertite” dal momento che esse sono alla base di quella mentalità che si oppone alla visione valoriale della vita, dell’uomo e del mondo.
È una formazione “di liberazione” dall’influsso schiavizzante dei mass-media.
È una formazione che solo la scuola e i media possono intraprendere. Per i media è davvero difficile perché significherebbe rinunciare al business; per la scuola è più possibile, anche perché il Ministro Moratti sembra mantenere l’iniziativa di una formazione in tal senso.
La Chiesa, con il suo progetto culturale, avverte fortemente questa esigenza. Si è resa conto del grave danno che i mass-media, in quanto veicoli di conoscenza e mediatori culturali, esercitano nella formazione dell’uomo, perché efficaci formatori di mentalità. Da materiale visionato, ho visto che si va vicinissimo, ma non si arriva al punto specifico, solo perché manca una preparazione specifica e rigorosa. L’incaricato delle comunicazioni sociali della parrocchia non potrà essere un volontario o quella persona più disponibile, bensì una persona preparata al compito.
I Testimoni di Geova hanno creato un ufficio per la comunicazione sociale, stanno mettendo a punto un protocollo d’intesa con il Ministero e, a conti fatti, attualmente sono, per quantità, la seconda religione in Italia. Noi Cattolici rimarremo il “resto di Israele”.

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ultimo aggionamento 04 febbraio, 2003