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Il perdono e il suo valore
educativo Estratto dalla Tesi di Laurea presso la UNIVERSITA PONTIFICIA SALESIANA Facoltà di Teologia - Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica Roma 2002
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(seguito)
1.3 Il perdono e le dimensioni delluomo
Abbiamo visto come il perdono sia latto libero di una persona matura, perché coinvolge tutte le sue facoltà. In questo paragrafo cercheremo di focalizzare quali dimensioni-facoltà della persona siano coinvolte nel processo del perdono.
1.3.1 La dimensione cognitiva e razionale del perdono
Prima di perdonare, la persona che è stata offesa, cerca di comprendere la natura di ciò che lo ha colpito, il perché delloffesa subita: le sue origini prossime o lontane e le sue conseguenze.
È un dato di fatto che tutti coloro che si trovano in una situazione di offesi si scontrano con una prima difficoltà: lenigma delloffesa subita(1).
Loffesa che interviene in una relazione fra due persone, cambia la natura di una storia comune. Introduce quelle due persone nella realtà di una nuova esperienza: sorpresa, delusione, collera, tristezza isoleranno loffeso privato di un bene stabile; rimorsi, dispiacere, imbarazzo per la colpa commessa, timore delle reazioni, chiuderanno loffensore in quel momento passato in cui ha mancato. Prevista o imprevista, volontaria o involontaria, loffesa che ferisce o uccide lo fa in innumerevoli modi. Entrambi però, offensore e offeso, hanno limpressione che se riuscissero a comprendere ciò che è accaduto potrebbero perdonare. È bene dissipare lidentificazione tra perdonabile e comprensibile. Lintelligenza comunque conserva sempre la capacità di ricostruire la concatenazione dei fatti, delle ragioni e delle motivazioni, ma è incapace con la sua sola luce di penetrare le motivazioni profonde della volontà delloffensore. Supponendo comunque che abbia questa capacità di penetrazione e di elencazione delle ragioni del perdonare, le mancherà sempre quella forza che non dipende più da essa ma dalla volontà di perdonare.
Lintelligenza può poi stabilire una gradazione e parlare di offesa leggera, grave, gravissima, indicibile, inimmaginabile. Lintelligenza può pronunciare la parola imperdonabile e sopprimere così, assieme alla possibilità di perdono loggetto che si propone di comprendere? 1.3.2 La dimensione emozionale e relazionale del perdono
Qualsiasi offesa, colpisce direttamente o indirettamente la nostra affettività. Il più delle volte colpisce nellaltro ciò che non si è voluto colpire. Talvolta colpisce i bisogni profondi delluomo: il bisogno di essere rispettato, il bisogno di essere accolto, il bisogno di essere rassicurato(2), talvolta si percepisce che loffesa può derivare da sentimenti ostili chiaramente espressi (antipatia, aggressività); molte volte il soggetto si sente contrariato nel dinamismo della sua affettività: cattiva intesa, insuccessi sentimentali, amicizie deluse (3). Tali offese lasciano un segno sulla nostra memoria affettiva(4): spesso si prova un senso di shock, di repressione, di rifiuto, tale rifiuto può degenerare in un senso di intorpidimento emotivo o di fluttuazione sentimentale(5), tutto questo arriva a essere determinante nellatto del perdonare. Spesso loffesa ritorna alla mente con un carico di emozione e di sofferenza, forse di domande e dubbi, con le riletture delle sofferenze mille volte rivisitate. In particolare, la presenza di immagini, che rinnovano psicologicamente loltraggio, trasforma il fatto del ricordo in una nuova esperienza delloffesa. Il processo del perdono quindi ha a che fare necessariamente con questa memoria affettiva: il passato dimenticato o ricreato ha bisogno di unintegrazione veritiera. 1.3.3 La dimensione volitiva o comportamentale del perdono
La persona che si accinge a perdonare è una persona ferita dalloffesa. Ciò significa che la scelta che sta per fare si presenta ad essa attraverso una precisa esperienza di sofferenza, di qui la difficoltà di attribuire la scelta del perdono alla libera determinazione di una libertà e alla immediata soddisfazione di una necessità di porre fine a ciò che fa soffrire. Si ammetterà quindi che è molto difficile distinguere, nellesperienza dolorosa in cui si presentano, il desiderio e la volontà di perdonare. In realtà, spesso il discernimento dei criteri di ogni decisione morale comporta questo genere di difficoltà. Lelemento tipico dellesperienza del perdono è quello che la scelta di perdonare avviene sempre nel contesto particolare della sofferenza(6). Il fatto che il perdono è un atto di volontà, esige da un lato la piena coscienza dellatto e la chiarezza dellidea che gli corrisponde e dallaltro il sentimento che latto è voluto. In altre parole è importante tener presenti i sentimenti e le motivazioni del perdono. Lesistenza di un sentimento nel perdono non impedisce che solo le motivazioni facciano dellatto del perdono un movimento deliberato. Inoltre, un sentimento riconosciuto, poi accettato e voluto, può trasformarsi in una motivazione valida. La dimensione volitiva del perdono quindi implica una volontà che riesca a immobilizzare giudizi-motivazioni e sentimenti interni alla persona che perdona, ma al tempo stesso la presenza di abiti morali come disposizioni interne, stabili ed efficaci per rispondere alle situazioni in forma moralmente buona(7), cioè delle virtù.
Per la prospettiva eminentemente educativa che ci siamo dati nel nostro elaborato, ci sembra che tra le virtù necessarie nel processo del perdonare, spicca la prudenza. La virtù della prudenza è una virtù intellettiva e morale al tempo stesso. In quanto virtù intellettiva essa aiuta lintelligenza a identificare il bene da compiere, in quanto virtù morale perfeziona e guida la condotta umana (intelletto pratico) verso beni essenzialmente pratici, in altre parole è intesa come capacità di calcolare, nella situazione di fatto e tenendo conto dei condizionamenti presenti, quali strade operative sono possibili(8). È la prudenza che permette al perdono di donarsi nella complessità delle esperienze concrete e di superare, nella concretezza del perdono lantinomia tra giustizia, (loffesa fatta deve essere punita) e la misericordia (luomo comunque deve essere compreso sostenuto ed aiutato). 1.4 Chi è che perdono? (loggetto del perdono)
Fin ora abbiamo considerato la persona che si sente offesa, ora ci sembra opportuno analizzare colui che compie loffesa, o meglio colui che è percepito come offensore, in altre parole: chi perdoniamo quando perdoniamo?
Pensiamo di tralasciare, in questa sede, una ulteriore specificazione delloffensore, in una close relationship, vogliamo invece mettere laccento su casi particolari di offensore. 1.4.1 Perdonare chi è invisibile
Alcune persone entrano nella nostra esistenza per un momento, poi si spostano dove non possiamo più vederle. Sono invisibili, ma spesso molto reali come chi ci sta di fronte, è solo difficile raggiungerle per toccarle e perdonarle. Una persona diventa invisibile quando muore prima che possiamo perdonarla o quando si nasconde dietro la maschera di unazienda Perdonare i genitori che sono morti, anche se non hanno fatto niente di così grave può risultare molto difficile. Non vogliamo doverli perdonare perché se li perdoniamo significa che abbiamo trovato in loro dei difetti e che, forse, li abbiamo odiati. Quando dobbiamo perdonare un genitore morto, dobbiamo affrontare la possibilità reale che nostro padre e nostra madre ci abbiano fatto realmente un torto. È importante ammettere i sentimenti, essere consapevoli che perdonare un genitore morto significa perdonare una parte di noi stessi. Da ultimo implica anche che non ci può mai essere riavvicinamento, riconciliazione, questa va oltre il rapporto umano e può necessitare un lungo tempo. Come pure diventa difficile perdonare unazienda che ha licenziato un operaio. È importante dare un nome, cercare la persona che può esserne stata la causa. Il perdono chiede sempre un volto da perdonare. 1.4.2 Perdonare qualcuno a cui non importa
E il caso più tipico in cui si vuole perdonare ma dalla parte delloffensore non cè nessun segno tangibile di pentimento. Forse è bene chiarire che cosa significa pentirsi. Non significa certamente chiedere scusa: spesso quando scopriamo di essere colpevoli ci scusiamo. Le scuse lubrificano la vita quando la capacità di sopportazione comincia ad esaurirsi. Fatte al momento giusto e con sincerità sono un omaggio alleducazione, un inchino discreto per mantenere le controversie entro limiti tollerabili(9) ma il pentimento è ben altro. Il pentimento è una montagna a quattro livelli e per raggiungere la cima bisogna oltrepassarli tutti(10). Bisogna cercare di vedere le nostre azioni con gli occhi dellaltro, percependo che i sentimenti, per ciò che gli abbiamo fatto sono veri. Bisogna poi passare dalla percezione alla sofferenza, condividendo il male che gli abbiamo fatto. In un terzo momento chi è veramente pentito è chiamato a confessare la propria colpa. Che non significa solamente ammettere la propria colpa, ma diciamo, a chi sta soffrendo, che soffriamo anche noi per la ferita che gli abbiamo inferto(11). Infine il pentimento implica la promessa, limpegno a non fare più il male. Nel caso in cui non ci siano questi quattro passaggi è ancora possibile perdonare?
Richiamiamo a questo punto il presupposto da cui siamo partiti nella nostra riflessione: il perdono può avvenire solamente in una relazione tra due persone. È chiaro che se uno dei due esce da questa relazione non vi è possibile il perdono completo, un perdono cioè che giunga alla riconciliazione dei due. Daltro canto ci si chiede se non sia giusto, per chi perdona, liberarsi dalla sofferenza provocata dalloffesa. Non possiamo certo costringere le persone a pentirsi. Ma perché dovremmo consentire loro di impedirci di guarire noi stessi? Dobbiamo quindi perdonare le persone alle quali non importa, anche solo per non essere travolti dalla sofferenza, ma per liberarci da essa. 1.4.3 Perdonare se stessi
Talvolta luomo si trova a dover perdonare se stesso e il suo senso di colpa. Ci sentiamo in colpa per ciò che abbiamo fatto agli altri. Aver provocato sofferenza e dispiacere diventa spesso un pensiero intollerabile che viene rimosso generando reazioni psicosomatiche inadeguate(12). Sensi di colpa e autoaccuse subentrano anche quando non si riesce a perdonare se stessi anche solo in qualcosa: laver ripetuto un errore, laver giocato con la salute, strapazzato inutilmente il corpo e la mente, lessere stati troppo superficiali in situazioni serie Per superare i sensi di colpa ci si dovrà perdonare. Le persone capaci di autoperdonarsi si sentono liberate dai sentimenti negativi, sensi di colpa e pensieri ossessivi, beneficiano di una maggiore pace interiore e la loro autostima migliora. Riescono ad accettare il proprio passato, sono pronte per un nuovo inizio e per attuare un cambiamento del proprio modo di essere. Per perdonare se stessi non si potrà ignorare laccaduto, ma confrontarsi con esso. Lelaborazione del passato evita la rimozione, che è meccanismo di difesa estremamente pregiudicante la pace interiore(13). Le componenti che rendono difficile il processo di autoperdono sono lentità della sofferenza e la gravità dellaccaduto, subiti o recati agli altri. Altri fattori che impediscono lattuazione del processo di perdono sono la mancanza di autostima, la disarmonia, non aver mai perdonato o averlo fatto poche volte, beneficiando quindi in maniera blanda dei suoi effetti. Le persone invece che hanno fiducia e partono dal presupposto che possono cambiare le loro caratteristiche meno buone, hanno più capacità di perdonarsi.
Il perdono con se stesso parte quindi da un riconciliarsi con la propria storia personale. In qualsiasi periodo siamo nati avremmo preferito sottrarci a certe situazioni, certe ferite che nel corso della vita si sono aperte. Perdonare se stessi significa riconciliarsi con tutto ciò che abbiamo vissuto e sofferto. Concretamente questo comporta perdonare quanti mi hanno ferito(14), soltanto così è possibile liberarsi dalla tendenza a soffermarsi continuamente sulle mie ferite, soltanto così mi libero dallinflusso distruttivo di quanti mi hanno offeso e ferito.
Perdonare se stessi in altre parole implica anche dire di sì a ciò che sono diventato, dire di sì alle mie capacità e ai miei punti forti, ma anche ai miei difetti e ai miei punti deboli, alle mie minacce e ai miei punti sensibili, alle mie paure e alle mie tendenze depressive, alle mie incapacità di legarmi e alla mia modesta capacità di resistenza. Devo guardare con amore quello che non mi fa affatto piacere, quello che contraddice limmagine che ho di me stesso, la mia impazienza, il mio timore, la mia poca stima. È un processo che dura una vita. Dire di sì a me stesso significa riconciliarmi con la mia ombra(15), accettarla, che significa non lasciare semplicemente che esista, ma confessarne innanzitutto lesistenza. E questo è il primo passo per lopera di trasformazione di cambiamento che innesca il perdono.
1 Cfr.:LAFITTE, Il perdono , 62.
2 Cfr.: MASTROMARINO R. SCOLIERE S., Introduzione allanalisi transazionale. Roma, Ifrep, 1999, p. 50.
3 Precisiamo che qui si prendono in considerazione gli ostacoli che hanno carattere offensivo e non ostacoli normali che fanno soffrire laffettività.
4 Il materiale su cui pensiamo e ragioniamo è costituito largamente dai ricordi. Se nulla rimanesse delle esperienze precedenti, lapprendimento sarebbe impossibile. La memoria è il magazzino delle informazioni dal quale possiamo richiamare le notizie degli eventi trascorsi. Tra i vari tipi di memoria qui si vuole sottolineare la memoria affettiva. Unesperienza, una volta vissuta lascia nella nostra psiche unimpronta affettiva non necessariamente conscia. Una persona può dimenticare i fatti ma non lemozione che li accompagnava. Cfr.: CENCINI A. MANENTI A., Psicologia e formazione. Strutture e dinamismi, Bologna, EDB, 1986, pp. 50-52.
5 GORDON K. BAUCOM D. , Understanding betrayals in marriage : A synthesized model of forgiveness, in Family Process 4 (1998), p.430.
6 Cfr.: LAFITTE, Il perdono , 65-66.
7 Cfr.: PELLEREY, Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico progettuale, Roma, LAS, 1999, p. 116.
8 Ibidem, 46-47.
9Cfr.: SMEDES, Perdonare , 88.
10 Ibidem, 89.
11 Cfr.: LAFITTE, Il perdono , 91.
12 CAVALIERE, Perdonare, 90.
13 Cfr.: Ibidem, 91.
14 GRUN A., Larte di perdonare, Padova, Edizioni Messaggero, 1999, p. 32.
15 Per C. G. Jung lombra è quello che non abbiamo accettato, quello che abbiamo escluso dalla vita perché non corrispondeva allimmagine che avevamo di noi stessi. LOmbra appartiene alloscurità psichica e indica quegli aspetti della personalità che sono maggiormente penosi e che generano colpa, vergogna, senso di impotenza, vissuti persecutori, autosvalutazione. Cfr.: FIZZOTTI E. SALUSTRI M., Psicologia della religione. Con antologia dei testi fondamentali, Roma, Città Nuova, 2001, pp.77-79.
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ultimo aggionamento 30 marzo, 2003