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Sia fatta la tua volontà
Pregando il Padre nostroProbabilmente è la più temuta delle domande della prima parte, ma è la più essenziale. Essa riassume le altre due precedenti sia santificato il tuo nome e venga il tuo regno.
Chiariamo subito che la volontà di Dio non si riduce a comandamento che richiede solo obbedienza. Essa esprime - ancor prima di questo e a fondamento di una risposta che pure ci è richiesta desiderio, compiacenza. E un moto positivo che volge Dio verso di noi, non unimposizione. Nella prima lettera di Timoteo si legge. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi (2,4). La volontà di Dio è il suo disegno di paternità nei confronti di tutti gli uomini: una volontà di salvezza dunque, che chiama allesistenza non solo luomo, ma insieme con esso tutte le cose. Il Creato è il primo gesto di salvezza. La natura è tuttaltro che semplicemente naturale nel senso biologico del termine, è teologale. Porta impressa in sé una volontà di compiacenza, un desiderio. Dio crea il mondo perché vive già allinterno di sé una dimensione dialogica. Dio è dialogo, è reciprocità e crea perché chiama allesistenza. La sua volontà, dunque, è una chiamata allesistenza.
Il dialogo che è allinterno di Dio, chiamando allesistenza altre soggettività, crea interlocutori per aprire orizzonti di reciprocità.
Parola nellebraico biblico corrisponde a Fatto, evento distinguendosi nettamente dal significato di logos della cultura occidentale. La parola che Dio pronuncia, la volontà che Egli esprime, è il fatto della nostra esistenza. Esistiamo perché chiamati. Non siamo semplicemente chiamati allesistenza, ma siamo perché la volontà di Dio ci pronuncia in termini assoluti, come licona di se stesso (Gn 1, 27). Dio si compiace che esistiamo, vuole entrare in dialogo con noi per accoglierci nel dialogo che è in Lui.
E strano che noi, pur credenti, arriviamo a questa domanda del padre nostro con il dente levato, avendo timore che il farsi della sua volontà sia contro di noi. Non siamo suo terreno di conquista, non è invidioso di noi, non lo oscuriamo per il fatto di esistere, avendoci fatti a sua immagine e somiglianza. La volontà di Dio è una volontà di salvezza, che troviamo espressa nellinno di apertura della lettera agli Efesini:Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. (1, 3-7).
Ecco la sua volontà: laverci scelti nella carità,
nellagàpe, nellintimità vitale del suo stesso esistere perché
Dio è amore (Gv 4, 8). Una volontà traboccante vita, grazia, accoglienza,
perdono.
Ma questa volontà, già in sé efficace, non simpone, sceglie di sollecitare la
risposta della fragile ed ambigua volontà delluomo. Non per soppiantarla, per
renderla inutile o superflua, ma per renderla perfetta nella maturità di dialogo e
dincontro in cui Dio cerca interlocutori, cerca volti, il tu dei suoi figli.
Nel Padre nostro noi domandiamo che questo si compia. Il verbo al passivo, che noi
traduciamo con sia fatta, in realtà significa avvenga,
accada, si realizzi, divenga realtà. Come quando un
progetto si trasforma gradualmente in costruzione vera e propria; è il passaggio dal
disegno alla realizzazione. Chiediamo a Dio innanzitutto di rimanere fedele al suo
disegno, a Cristo il prototipo - come indicato nella lettera agli Efesini, più sopra
citata. Lo preghiamo che Gesù Cristo rimanga sempre il suo disegno - nonostante gli
errori e le deviazioni della storia, nonostante le infedeltà che commettiamo, i rifiuti
che opponiamo - e che questo disegno si trasformi man mano in costruzione, cioè
avvenga, accada.
Chiediamo al Padre che questo accada anche nella nostra volontà, ed essa non si smarrisca dietro le illusioni. Ma questo non può accadere se Dio non prende in mano il nostro cuore. Se il Padre non ci dona un cuore nuovo, noi non siamo in grado di rispondergli, di essere un tu che gli risponde. Il verbo al passivo potrebbe, senza forzatura, essere reso in questo modo: Vieni tu, o Signore, a realizzare in noi la tua volontà. È Dio che semina il regno e lo porta a maturazione.
Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio (Ez 36, 27-28).
Ecco la reciprocità di cui parliamo: voi siete il mio popolo perché io sono il vostro Dio; sarete il mio popolo quando il vostro cuore sarà in sintonia con me. Come afferma il profeta Geremia:
Questa sarà lalleanza che io concluderò con la casa dIsraele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo (31, 33).
Ritorna il rapporto tra alleanza e volontà di Dio. Per noi
che abbiamo paura di essere costretti alla volontà di Dio, appare molto chiaro che non ci
sarà altra costrizione che quella dellamore.
Un versetto del Cantico dei Cantici ritorna tre volte sempre uguale, quasi un ritornello:
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno lamata, finché essa non lo voglia (2, 7; 3, 5; 8, 4).
Il diletto non sveglia la sposa senza che essa lo voglia. Il Signore non ci prende a tradimento, non ci fa violenza - con unimmagine evidentemente un po forte - anche se Geremia giunge fino ad affermare:
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto forza e hai prevalso (20, 7)
Questo è lo stile di Dio, quando si tratta del suo
rapporto con noi e del nostro con Lui.
Non cè altra costrizione che questa: quando - come in Gomer, la sposa
infedele di Osea - si ridesterà in noi il desiderio di ritornare allo sposo e
accoglieremo la sua presenza, Lui ci chiamerà Mio compiacimento (Is 62, 4).
A Gomer, icona del popolo infedele che ha tradito lalleanza, ormai non più
mio popolo, non più mia sposa, il profeta annuncia:
Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.
Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acòr
in porta di speranza.
Là canterà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese dEgitto.
E avverrà in quel giorno
oracolo del Signore
mi chiamerai: Marito mio,
e non mi chiamerai più: Mio padrone (Os 2, 16-18).
Nel testo ebraico il verbo attirerò evoca una
situazione di seduzione, da intendersi in senso alto. Dio non si dà pace fino a quando
non ci ha riconquistati al suo amore.
Dio non è Dio se noi popolo non viviamo in sintonia con lui, così come lo sposo non può
essere sposo senza la sposa. E il popolo non è popolo se, chiamato, non risponde.
Se quanto abbiamo detto finora è servito a chiarire cosa
significa volontà di Dio, rimane ora da chiedersi come questa volontà
sia fatta sulla terra.
Fare la volontà, dunque, non è propriamente e principalmente la sottomissione ad un
imperativo etico, ma è la comunione con il volto che attendiamo. La volontà di Dio è un
problema perché noi non attendiamo la venuta di Dio. Ne parliamo, talora ne abbiamo
bisogno, ma non è colui che aspettiamo, senza del quale i nostri giorni perdono di
significato. Per spiegarmi ricorro allesperienza dellinnamoramento,
soprattutto quando è allo stato nascente, a quel desiderio di vedersi, a quel senso di
attesa, a quel turbamento nel sentire la voce che segnala la presenza inaspettata. Se non
viviamo lattesa con questa freschezza, Dio ci apparirà imprevedibile ed
inquietante. Sarà, la sua, una volontà temibile e non una volontà damore e di
tenerezza, un approdo di pienezza al quale anela la nostra vita. Colui che aspetto, sarà
la norma per me.
E tuttavia il percorso per approdare a questa comunione con Dio è lungo e difficile,
persino insidioso, perché ci sono le illusioni, le seduzioni, anche le persecuzioni.
Perciò Gesù cinvita a pregare affinché il nostro cuore, ma anche il cuore di
tutti gli uomini, accetti la volontà di Dio, cioè di lasciarsi raggiungere da Dio
completamente, con sincerità, senza restrizioni mentali.
Possiamo dire di avere pregato Dio in questo modo? Quante volte, forse, abbiamo pregato
sperando che Dio non ci ascoltasse secondo se stesso, ma ci permettesse di stare secondo
noi. Ovviamente, quando ciò accade, non esiste la reciprocità circolare di un io che
chiama e di un tu che gioiosamente risponde, coinvolto e catturato in una risposta che è
già germinazione di ciò che aspetta, e che sorpasserà ogni attesa.
Non possiamo essere superficiali e disinvolti: si tratta dellincontro di due
volontà, quella di Dio e quella umana. Un incontro imperscrutabile e misterioso, che
sfugge alle più sottili analisi psicologiche: per andare a Dio bisogna essere attratti da
Dio stesso (cfr Gv 6, 44). Non si tratta di unadesione alla lettera della Legge -
come dice San Paolo ai Romani 2, 18 -, ma alla persona di Dio che si è rivelata in Gesù.
È assenso al Padre perché abbiamo incontrato il Figlio nella vitalità dello Spirito
Santo, che lo rende intimo e fraterno alla nostra esperienza.
Emerge la necessità - per non perderci in misticismi inappropriati alla nostra reale
esperienza di fede - di assumere umilmente il percorso educativo dei comandamenti.
Torniamo alla volontà di Dio come comandamento, senza paura di smentire quanto finora
abbiamo considerato. I comandamenti sono il percorso di purificazione per chi è immerso
nellambiguità delle illusioni ed è tentato di fondare su ciò che è già a
portata di mano ciò che dovrebbe solo aspettare.
Un itinerario di regole per sintonizzarci su Dio, per mettere in linea il nostro punto di
vista e i nostri desideri con il Signore, con il suo disegno su di noi. È un percorso che
conosce molte sconfitte, un cammino arduo, spesso segnato dincoerenza, ma che anche
attraverso lo smacco può smantellare roccaforti di chiusura.
Quando lerrore mette in evidenza la nostra reale povertà se, invece di difenderci
cercando colpevoli altrove quasi lerrore non ci appartenesse, con umiltà non ci
vergognassimo di essere poveri davanti a Dio, proprio in quel momento potrebbe aprirsi una
breccia nella nostra indisponibilità. Da questa fenditura irromperebbero gli sconfinati
orizzonti della salvezza di Dio, non più legata al nostro inossidabile perbenismo da
primi della classe. Il cammino umile e concreto del comandamento, senza svolazzi, è il
binario sul quale possiamo incanalare il nostro percorso. Sarà, modestamente ma
efficacemente, la concretezza della risposta che il Signore aspetta da noi. Non cè
necessità dinventare percorsi, essi sono già tracciati. Cè, semmai, urgenza
di perseverare in essi.
Una parola forte di Gesù lo afferma con disarmante chiarezza:
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? lo però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande (Mt 7, 21-27).
È il rischio di una preghiera che non cimpegna con
Dio. È il rischio di un ascolto che non diventa vita. Lessenziale non è
lascoltare come retta comprensione, non è il dire esattamente, ma il vivere nella
fedeltà alla Parola. Noi potremmo essere paghi di avere ascoltato, riflettuto, discusso,
programmato, persino di aver compiuto miracoli e cacciato demoni nel suo nome, ma se tutto
questo non ha trasformato il nostro modo di vivere e di fare, Lui non ci riconoscerà come
suoi.
Ovviamente, anche a questo proposito, vanno precisate alcune cose per non appiattirci in
qualche barbarie mentale o religiosa. Non necessariamente le parole sono solo parlare,
cè la parola che annuncia il Signore e questo è un fare. Non a caso, come abbiamo
ricordato più sopra, parola in ebraico si qualifica come fatto,
evento. La chiacchiera non è fatto, ma la parola che annuncia, che convince, la
parola della verità (non nel senso filosofico, ma nel senso cristiano) è fare. lo
sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6), dice Gesù. La parola del Signore
realmente ascoltata è fatto ed evento che incontra delle esistenze e le chiama,
trasformandole. Del resto, sullaltro versante, non tutte le opere sono un fare
secondo il Signore: se non sono animate da quel cuore di cui hanno parlato
Ezechiele e Geremia, se non sinscrivono dentro questo rapporto con Dio, nella
reciprocità dellincontro che accoglie, non si tratta di un fare evangelico.
Abbiamo collegato e coniugato volontà con
reciprocità. Tutto chiaro, dunque?
Non possiamo ignorare quella pagina inquietante che, raccontando lesperienza del
Getsemani, ci apre al misterioso rapporto tra Gesù e la volontà del Padre. Ci è chiaro,
come credenti, che tutta la vita di Gesù fu perennemente orientata alla volontà del
Padre. Neppure in quel momento che noi chiamiamo agonia, nel senso etimologico
di lotta, Gesù era opposto al Padre, o voleva qualcosa di diverso. Perché, dunque,
quella resistenza, quellangoscia inconsolabile. (In preda allangoscia,
pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a
terra). (L 22, 44)
Perché il suo morire, lessere consegnato nelle mani dei peccatori, era qualcosa
di scandaloso. E lì non cera disattenzione nei confronti del Padre o rifiuto della
sua volontà, ma cera la naturale, ovvia ribellione del suo esistere di fronte ad
una morte così violenta e ingiusta che egli pure stava prevedendo e aspettando.
Lo stesso accade nellesperienza dei santi. Essi non sono sottratti alla prova, alla
difficoltà che accompagna chi, intuendo il mistero di Dio, sinfiamma del desiderio
di seguirlo, ma è rallentato e impaurito dalla pesantezza umana, psicologicamente
intimidita dalla totalità del coinvolgimento del Regno.
È un messaggio per noi: la volontà del Padre, pur invocando la reciprocità
dellamore può richiedere un tale cambiamento dei nostri pensieri e orientamenti di
vita da generare in noi paura e turbamento.
Non confondiamo però tutto questo con il tentennamento. Gesù non nutriva alcuna
esitazione in quel momento. Ecco cosa ricaviamo dallesperienza di Gesù nel
Getsemani: solo nella preghiera riuscì a porre la sua vita nelle mani del Padre. Ci
rendiamo conto che il senso della preghiera è sempre solo questo: porre la vita nelle
mani del Padre.
Pregare apre un modo nuovo di vivere la propria esistenza. Possiamo vivere la nostra
esistenza come figli, pur nella difficoltà o, addirittura, nellangoscia. Anche
quando il Padre sembra non rispondere, al di là della mia percezione che non mi ritorna
nessuna pur tenue presenza di Lui, io sono sicuro della sua paternità. Non negherò un
volto che non vedo, ma lo pregherò di far accadere in me la sua volontà al
di là di ogni mio volontarismo e dei miei meriti. Pregherò per essere quello che sono,
quello che Dio mi chiama ad essere. Se Dio non porta a compimento i doni che ha gettato
nel solco della mia vita - nonostante lo sciupio a cui li ho sottoposti - io non
conoscerò né percorrerò il vero senso della mia esistenza ed essa sarà come un
sentiero interrotto.
Pregando la sua volontà, supererò la paura. Anche senza vedere Dio, senza avvertirlo
sensibilmente, mi fiderò di ciò che egli prepara per me.
Possiamo concludere con un pensiero della beata Angela da Foligno:
Senza la luce divina nessun uomo si salva. Il lume di Dio fa che luomo cominci, lo stesso lume lo conduce alla festa della perfezione. Così se vuoi cominciare ad avere quel lume divino: prega. Se vuoi essere ancor più illuminato dopo essere giunto alla cima della perfezione, per potervi restare: prega. Se vuoi la fede: prega. Se cerchi la speranza: prega. Se desideri la carità: prega. Se vuoi la povertà: prega. Se desideri la castità: prega. Se brami lobbedienza: prega. Se vuoi la mansuetudine, lumiltà, la forza: prega. Se aneli verso qualunque virtù: prega.
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ultimo aggionamento 02 agosto, 2003