ESPERIENZE |
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Nella pianura del Danubio, cavalcava agile sul suo cavallo bianco, splendido nella sua divisa, durante le manovre militari. Colto e affabile, soldati e ufficiali lo sentivano fratello. Al mattino e alla sera, i suoi uomini potevano trovarlo nella sua tenda o davanti al Tabernacolo, raccolto in preghiera con la fede semplice e forte di un bambino.
Era Carlo d’Asburgo, principe d’Austria. Il nonno suo era fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe. Il papà era Ottone d’Asburgo, la mamma era Giuseppina di Sassonia. Lui era nato il 17 agosto 1887 a Persenbeug sul Danubio. La mamma, ricca di fede e di carità cristiana, sottrasse il piccolo agli istitutori dello stato e lo educò personalmente e affidandolo a ottimi maestri cattolici.
Cresceva come un bambino bello e dolcissimo, limpido e buono. L’ambiente di corte, in cui viveva, raffinato e frivolo, neppure lo sfiorò. Adolescente, circondato da cento occasioni di male, si distingueva per la purezza e la generosità. Intelligentissimo, tra i compagni del Liceo di Vienna, si faceva amare per la sua bontà. Molti pensavano a divertirsi; lui, Carlo, aveva una sola passione: l’adorazione eucaristica davanti al Tabernacolo, la Comunione quotidiana.
Era un giovane affamato di Dio.
Un giorno, miss Casey, addetta al suo guardaroba, si accorse che nell’armadio c’erano solo più due camicie consunte. Le altre, le più belle, sua Altezza le aveva regalate a alcuni bambini poveri, suoi piccoli amici. Gli orfani, a causa delle guerre o di epidemie, erano i suoi prediletti.
Principe ereditario
A 16 anni, intraprese la carriera militare. Viveva come uno qualsiasi dei suoi soldati. Sapeva comandare e ubbidire. Nelle ore di libertà conversava con soldati e ufficiali – spesso interessati solo a “avventure” – su Gesù e l’amicizia con Lui.
Frequentò l’università a Praga, studioso e appassionato alle lingue, in primo luogo a quelle parlate nell’impero d’Austria. Durante le manovre militari del 1907, ormai ufficiale d’ordinanza dello zio Francesco Ferdinando, principe ereditario, si dimostrò un capo perfetto nel talento militare e nel senso tattico. Aveva 20 anni, parlava quasi una decina di lingue, era ammirato da tutti (e da non poche principesse d’Europa) e capitava spesso di vederlo pregare – in pubblico – inginocchiato per terra, come un fratino in un monastero.
Alla corte di Vienna, aveva conosciuto la principessa Zita di Borbone-Parma, nata a Lucca il 9 maggio 1892. Tra i due, sbocciò l’amore.
In aprile 1911, si cominciò a pensare alle nozze. In occasione del fidanzamento ufficiale, Zita e la madre andarono in udienza dal papa Pio X. Il quale, accennando a Carlo, lo chiamò “principe ereditario”. Zita rettificò: “Non è lui l’erede al trono”. Pio X non se ne diede per inteso e continuò a parlare di Carlo come del principe ereditario. Un’altra volta, Pio X affermò: “È un dono della Provvidenza di Dio alla Casa d’Austria”.
Sotto la guida del gesuita P. Andlau, Carlo e Zita si prepararono al sacramento del Matrimono, pregando e facendo opere di penitenza e di carità, mentre attorno a loro volteggiavano balli e si tessevano avventure… Il 21 ottobre 1911, nel castello di Schwarzau, Mons. Bisletti, mandato dal Papa, benedisse le nozze di Carlo e Zita. Terminato il rito, Carlo disse alla sua sposa: “E ora dobbiamo aiutarci insieme a raggiungere il paradiso”. Subito partirono per Mariazell, il santuario mariano dell’Austria, dove si affidarono alla Madonna. Negli anni appresso, vennero i primi loro bambini, accolti come dono di Dio.
Una sera del maggio 1914, Francesco Ferdinando invitò a cena, nella reggia di Viennam Carlo e la sua famiglia. Il principe ereditario gli disse: “So che tra poco mi uccideranno. Ti affido i documenti di questa scrivania”. Il 28 giugno, Francesco Ferdinando cadeva a Sarajevo e Carlo diventava l’erede al trono.
Costruttore di pace
La guerra iniziava su tutti fronti d’Europa. Due anni dopo, alla morte di Francesco Giuuseppe, il 21 novembre 1916, Carlo d’Asburgo saliva al trono imperiale. Andò di nuovo a Mariazell e là cominciò a regnare dinanzi a Maria SS.ma.
Da quei giorni, ebbe un solo pensiero: la pace. Nessuno come lui ascoltò il Papa Benedetto XV nel ricercare la pace. Ma le proposte del Papa fallirono. Carlo si rivolse a Guglielmo di Germania per indurlo alla pace. Quello si illudeva ancora di vincere la guerra. Anzi, propose a Carlo di lasciare passare in Austria, Lenin, esule in Svizzera, perché andasse in Russia ad abbattere con la rivoluzione comunista, l’impero dello zar, quindi assicurasse la fine delle ostilità sul fronte orientale. Carlo inorridì: “Mai il comunismo – disse – dovrà trionfare: sarebbe il danno più grave all’intelligenza e alla fede cristiana”. I fatti avvenuti – dalla Russia all’est europeo alla Cina – gli avrebbero dato ragione.
Si rivolse allora con tutti gli sforzi possibili alle altre nazioni in guerra (le “missioni Sisto” dal nome di suo cognato Sisto di Borbone che faceva da intermediario): occorreva arrivare alla pace… Ma il nemico numero uno dei tentativi di pacificazione era la massoneria che aveva giurato di far sparire dall’Europa quell’imperatore cattolico che viveva la sua fede in chiesa come in politica e che non aveva mai permesso che una sola loggia massonica si aprisse nei suoi stati.
“È tra le più grandi personalità di tutti i tempi – affermava Stefen Zweig – Se si fossero seguite le sue idee, l’Europa non avrebbe conosciuto in seguito le più aspre dittature”. Diceva l’anglicano Gordon: “È capace di pensare con undici menti e di amare con undici cuori, uno per ogni nazionalità del suo impero. Carlo è sempre uno nella fede e nella vita: fede e vita in lui si fondono in uno fino a farsi indistinguibili nell’esercizio della regalità”. Benedetto XV assicurava: “Carlo d’Austria è un santo!”.
Il novembre 1918 segno il crollo dell’impero. Nelle città dei suoi stati era la rivolta. Il 12 novembre a Vienna si proclama la repubblica. Tutto avveniva secondo i piani della massoneria. L’11 novembre, Carlo aveva abdicato al trono. Cominciava per lui l’esilio. Il 24 marzo 1919, riparava in Svizzera.
L’esule, il martire
Allora la massoneria tentò il ricatto, proponendo al sovrano la restituzione della corona se fosse venuto a atti con essa. Carlo rispose: “Come principe cattolico, non ho nessuna risposta da darvi”. Quando quelli se ne andarono, aggiunge: “Ora ogni mia cosa avrà cattiva riuscita”.
Nel mondo, vennero diffuse contro di lui calunnie e oltraggi. Carlo rispose sempre da cristiano.
Nel 1920, mons. Eugenio Pacelli, nunzio apostolico a Monaco di Baviera (il futuro Papa Pio XII) ebbe un giorno l’occasione di viaggiare in treno con lui. Al ritorno, il nunzio andò in cappella dove disse ad alta voce: “Ti ringrazio, o Signore, per avermi fatto incontrare una così grande anima”.
Nel 1921, seguirono due tentativi da parte del sovrano di riprendere la corona d’Ungheria a cui non aveva mai rinunciato. Ma il 24 ottobre, insieme a Zita, fu fatto prigioniero dalle truppe di Horty, il reggente di Ungheria, e consegnato agli inglesi. Caricati su una nave, attraverso il Danubio, il Mar Nero, il Mediterraneo, Carlo e Zita furono portati nell’isola di Madera, in mezzo all’Atlantico. Ora aveva perso davvero tutto, il trono, i beni temporali, povero tra i poveri. Solo il Papa pensava a lui e ai suoi familiari.
A Madera, finalmente poterono raggiungerli i loro bambini, il più grande dei quali aveva solo nove anni. Nella casa dove abitavano, Carlo aveva avuto il permesso di avere una cappellina con Gesù Eucaristico. Chi voleva trovare l’imperatore, doveva cercarlo là, davanti al Tabernacolo. Maturò un’idea: offrire la vita per il bene dei suoi popoli. Guardando il Santuario della Madonna di Madera, offrì la vita come vittima con Gesù.
Qualche giorno dopo, sempre più a corto di mezzi, lasciò la casa per trasferirsi in una povera abitazione priva di tutto, soffrendo in silenzio, ma diffondendo luce e gioia attorno a sé: “Così Dio vuole; perché preoccuparmi? Tutto per Lui!”.
Il 9 marzo 1922, Carlo prese un raffreddore… e fu subito polmonite: gravissimo. Sofferenze inaudite. La tosse lo squassava. Le cure sommarie, il vitto scarso. L’unico a essere sereno, quasi felice, era lui, Carlo, il sovrano dalla fede granitica e dolce. Zita raccoglieva una per una le ultime parole del suo sposo:
“Adesso voglio dirti che ho sempre cercato di conoscere la volontà di Dio e di eseguirla nel modo più perfetto”. “Io devo ancora soffrire tanto affinché i miei popoli si ritrovino ancora tra loro… Gesù, proteggi i nostri bambini… Ma falli piuttosto morire che commettere un solo peccato mortale”. “Gesù, sia fatta la tua volontà”.
Pregavano insieme, Carlo e Zita, con il Rosario e le litanie alla Madonna. Cantavano il Te Deum in ringraziamento a Dio per la croce posatasi sulle loro spalle. E Carlo era morente!
1° aprile 1922. Il cappellano gli amministrò l’Unzione degli infermi. Carlo volle avere vicino il figlioletto Ottone: “Desidero che veda come muore un cattolico”. Il sacerdote espose il Santissimo Sacramento nella stanzetta. Carlo non finiva più di adorarlo: “Gesù, io confido in Te. Gesù, in Te vivo, in Te muoio. Gesù, io sono tuo, nella vita e nella morte. Tutto come vuoi Tu”.
Il sacerdote gli diede la Comunione eucaristica, come Viatico per l’eternità. Il sovrano si raccolse sereno, ilare di un’intima gioia, Zita gli disse: “Gesù, Gesù, viene a prenderti”. Rispose: “Oh, sì, Gesù, vieni”. Poi ancora un grido: “Oh, Gesù, Gesù!”. Erano le ore 12 e ventitre minuti. Carlo d’Austria, 35 anni appena, contemplava Iddio. Il medico che lo curava, miscredente, esclamò: “Alla morte di questo santo, devo ritrovare la fede perduta”. E si convertì. Da tutta l’isola vennero a rendergli omaggio. Ai funerali, lo seguirono 30 mila persone.
Il 3 ottobre 2004, Papa Giovanni Paolo II, con la beatificazione in S. Pietro a Roma, eleva alla gloria degli altari Carlo d’Asburgo, l’imperatore che dal trono d’Austria, attraverso la via regale della Croce di Cristo, ha scalato la vetta più sublime: la santità.
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