ESPERIENZE
Il 28 novembre, con una solenne liturgia in San Pietro Giovanni Paolo II ha consegnato al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I° le reliquie dei santi Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzeno, due padri della Chiesa molto venerati dai cristiani d’Oriente
“La fede dei Padri ci chiama all’unità”
Il Papa e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I°
“Il peccato dello scisma nella Chiesa non può essere lavato neppure dal sangue del martirio”.
Parole severissime che uscivano dal cuore dello stesso san Giovanni Crisostomo.“Non mi stancherò mai – scrive il Papa Giovanni Paolo II - di cercare fermamente e risolutamente questa comunione tra i discepoli di Cristo”.
Sono affermazioni che se messe in rapporto tra loro possono farci ritrovare lo spessore vero dell’ecumenismo. Dopo le luci e le ombre nel cammino di questi ultimi anni, ci può essere la tentazione di considerare l’unità dei cristiani semplicemente come uno degli impegni annotati sull’agenda dei credenti. Invece la divisione resta una ferita. Il fatto che rimanga aperta da secoli non significa che sia meno urgente risanarla.
La strada verso l’unità tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa ha dal 28 novembre scorso due ostacoli in meno e due “patroni” in più. Si può leggere così, infatti, la solenne celebrazione ecumenica durante la quale Giovanni Paolo II ha restituito al Patriarca Bartolomeo I° una cospicua parte delle reliquie di due tra i più grandi predecessori del patriarca ecumenico sulla cattedra più prestigiosa e importante dell’ortodossia. Ritornano a Costantinopoli le spoglie mortali di San Gregorio Nazianzeno e di San Giovanni Crisostomo. E l’atto può davvero essere considerato “storico”, come l’ha definito Bartolomeo I°. Cioè “un’occasione benedetta per purificare le nostre memorie ferite, per rinsaldare il nostro cammino di riconciliazione”, come ha scritto il Papa nel messaggio letto da monsignor Leonardo Sandri nella Basilica Vaticana.
Insomma, la chiesa più grande della cristianità, dove le reliquie erano custodite da secoli, a distanza di cinque mesi esatti dall’ultimo incontro tra il Pontefice e il Patriarca, è divenuta ancora una volta crocevia dell’itinerario di unità. Testimone, si potrebbe dire, di un ecumenismo dei gesti fraterni, che ultimamente ha surrogato validamente l’impasse del dialogo teologico. E che proprio per questo può diventare scintilla per rimetterlo in moto, come si auspica.
Significative, a questo proposito, appaiono le parole che il Patriarca Bartolomeo I° ha indirizzato in tale occasione al Vescovo di Roma: “Questo fraterno gesto - ha detto, infatti - conferma che non esistono nella Chiesa di Cristo problemi insormontabili, quando l’amore, la giustizia e la pace si incontrano nella sacra diaconia della riconciliazione e dell’unità”.
Parole che hanno fatto eco a un analogo auspicio di Giovanni Paolo II: “Amato fratello - ha sottolineato Giovanni Paolo II - non mi stancherò mai di cercare fermamente e risolutamente la comunione tra i discepoli di Cristo, perché il mio desiderio, in risposta alla volontà del Signore, è di essere servo della comunione nella verità e nell’amore”.
Siamo davvero al cuore del problema ecumenico tra Roma e Costantinopoli. Ma gesti come quello del 28 novembre nella Basilica Vaticana possono contribuire non poco alla sua soluzione.
Per capirne la portata, bisogna tornare alle vicende storiche che ne costituiscono il presupposto. San Gregorio di Nazianzo e San Giovanni Crisostomo sono, infatti, veneratissimi tra gli ortodossi. E in quanto santi della Chiesa indivisa, hanno grandissima importanza anche per i cattolici.
Nel caso di San Gregorio, le spoglie mortali si trovavano a Roma dall’VIII secolo, in seguito alla persecuzione iconoclasta. Per San Giovanni Crisostomo, invece, la data della traslazione a Roma va fatta risalire all’impero latino di Costantinopoli (1204-1258).
E anche se il portavoce vaticano, Joaquin Navarro-Valls, ha definito “storicamente inesatta” l’interpretazione secondo cui la restituzione “sia un modo per il Papa di chiedere perdono da parte della Chiesa cattolica per la sottrazione delle reliquie al Patriarcato ecumenico durante la crociata del XIII secolo”, rimane per gli ortodossi un gran bel gesto.
“Si celebra oggi un atto sacro, che ripara un’anomalia e un’ingiustizia ecclesiastica - ha detto Bartolomeo I - Ogni atto che rimargina vecchie ferite e ne previene di nuove contribuisce alla creazione dei presupposti necessari per continuare il dialogo della verità e dell’amore tra le nostre Chiese, cosicché possiamo incontrarci di nuovo al più presto nella fede comune della Chiesa d’un tempo, unica base per il ristabilimento della piena comunione tra le nostre Chiese”.
La celebrazione si è svolta in forma di liturgia della Parola, con canti greci e latini. I preziosi reliquiari di alabastro con le reliquie sono stati collocati dinanzi all’altare della Confessione, dove erano seduti, uno accanto all’altro, il Papa e il Patriarca, in precedenza salutatisi con un abbraccio.
Le urne sono state poi portate sull’altare dove il Papa le ha baciate e “consegnate” al Patriarca che le ha baciate a sua volta. Da ieri, anche grazie ai due santi, Roma e Costantinopoli sono più vicine.
Secondo il gesuita padre Marko Ivan Rupnik,
direttore del Pontificio istituto orientale, la restituzione delle reliquie di questi due santi rappresenta un passo avanti nella comunione tra i cattolici e gli ortodossi: “È un gesto concreto per dire che i cristiani d’Occidente e quelli di Oriente, attingono a una santità comune - spiega il teologo -. Il discorso diventa ancora più significativo se si considera che Gregorio di Nazianzo è stato uno dei più grandi teologi della storia. Ritrovarsi insieme vuol dire allora riconoscersi nella sua eredità dottrinale. E testimonia il valore della teologia cucita sulla vita, cioè dell’unità tra la spiritualità e la ricerca di Dio che si alimenta con lo studio e la riflessione”.
“Il Papa è molto attento al valore dei gesti. E la Chiesa orientale ha dimostrato di apprezzare questi segni”. Già lo scorso 28 agosto aveva fatto dono dell’icona di Kazan al patriarca Alessio II°.
Il gesto assume maggiore significato anche alla luce dell’attenzione con cui il cristianesimo d’Occidente ha custodito sia le reliquie che l’icona. “Se la Chiesa latina ha venerato queste reliquie significa che sente come propria la tradizione apostolica d’Oriente. È come dire: “tutto ciò che è di Cristo, è nostro”. Sarebbe bello che allo stesso modo, partendo dalla memoria, crescesse sempre di più l’attenzione agli sforzi della teologia e del monachesimo ortodosso moderno, alla vita spirituale dell’Oriente cristiano. Nei nostri, come nei loro cuori, deve maturare la consapevolezza che essere differenti non rappresenta necessariamente un ostacolo”. Unità nella diversità è in qualche modo un comandamento della ricerca ecumenica. “La Chiesa non è “monotonìa” ma “armonia”, “sinfonìa” come dice la tradizione bizantina. Dunque non dobbiamo puntare a diventare tutti uguali ma a valorizzare le diversità. Più colori ci sono, maggiore sarà la bellezza dell’armonia. L’espressione “unità nella diversità” rappresenta sia il cuore dell’ecclesiologia orientale che una parola chiave del Concilio Vaticano II”.
Giovanni Crisostomo, il grande predicatore
“Crisostomo”, cioè bocca d’oro, fu il nome dato a Giovanni a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria. Nato ad Antiochia tra il 344 e il 354, fu ordinato diacono nel 381, prete nel 386 e patriarca di Costantinopoli nel 397. Qui si dedicò soprattutto alla riforma della Chiesa: depose i vescovi simoniaci, combattè l’usanza della coabitazione di preti e diaconesse, predicò contro l’accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi e contro l’arroganza dei potenti, e destinò gran parte dei beni ecclesiastici a opere di carità. Tutto questo gli procurò non pochi nemici. E infatti con l’ascesa al potere dell’imperatrice Eudossia, Giovanni fu condannato all’esilio. Ritornò pochi mesi dopo a Costantinopoli, ma fu nuovamente arrestato, durante la celebrazione di Pasqua del 404, e definitivamente allontanato. Morì il 14 settembre 407, mentre si recava a Pizio, sul Ponto. Rimane celebre, oltre alla sua oratoria, la frase che ne riassume l’esperienza spirituale: “Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade”.Gregorio di Nazianzo, il teologo poeta
Nato nel 330, san Gregorio di Nazianzo fu grande amico di san Basilio, dal quale però lo divideva una profonda differenza di carattere. Forte ed energico, il temperamento di quest’ultimo, emotivo, dotato di animo poetico e propenso alla contemplazione, il suo. Dopo gli studi ad Atene, il giovane Gregorio, contro la sua volontà fu ordinato presbitero dal padre che era vescovo di Nazianzo e ricevette poi la consacrazione episcopale dall’amico Basilio. Nel 380 l’imperatore Teodosio lo chiamò a Costantinopoli, per guidare la piccola comunità fedele a Nicea e proprio in qualità di vescovo della città imperiale partecipò al Concilio del 381. Uomo mite, lottò a lungo per mettere pace nella Chiesa del suo tempo, tribolata e divisa dall’eresia ariana. Ma fu anche uomo che con audacia evangelica seppe vincere la propria timidezza, per proclamare la verità senza paura. Morì intorno al 390, dopo essersi ritirato in solitudine. Di lui ci sono giunti 45 discorsi (compresi i 5 che gli valsero il soprannome di “teologo”) e 185 opere poetiche.Il Pontefice Giovanni Paolo II°
Non mi stancherò mai di cercare la comunione tra i cristiani. E' mio desiderio, per volontà del Signore, servire la comunione nella verità e nell'Amore.Il patriarca Bartolomeo I°
Nella chiesa di Cristo non ci sono problemi insormontabili se l'amore, la giustizia e la pace si incontrano nella sacra diaconia della riconciliazione e dell'unità.
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24 dicembre, 2004