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(seguito)
Il memoriale riattualizzante della Pasqua
La realtà del memoriale splende in tutta la sua luce nella celebrazione della Pasqua. Abbiamo già visto che il giorno di Pasqua doveva essere celebrato ogni anno come un memoriale.
Sarebbe estremamente interessante analizzare in dettaglio i gesti, gli elementi, le preghiere della cena pasquale. Rimando, in questo caso, agli esaurienti e suggestivi studi fatti in proposito1, accennando solo qualche particolare che metta in evidenza la realtà del memoriale nel quadro e nell’ambiente della cena pasquale.
Uno schema riassuntivo e preciso dei gesti, dei segni e delle parole della cena pasquale è quello di JEREMIAS:
A. Preliminari:
consacrazione: benedizione del giorno festivo e benedizione del calice pronunciata dal padre di famiglia sul primo calice (calice del qiddush);
antipasto, consistente tra l’altro in erbe verdi, erbe amare e composta di frutta (haroset);
viene servito il pranzo (vedi C.), ma non si mangia ancora; si mesce si porge il secondo calice che però non viene ancora bevuto.
B. Liturgia pasquale:
haggadah pasquale del padre di famiglia;
prima parte dell’ hallel pasquale;
si beve il secondo calice (calice dell’haggadah),
C. Pranzo:
preghiera conviviale del padre di famiglia sul pane azzimo;
pasto consistente nell’agnello pasquale, pane azzimo, erbe amare, seguiti da composta e vino;
Preghiera conviviale sul terzo calice (calice della benedizione).
D. Conclusione:
mescita del quarto calice;
seconda parte dell’ hallel pasquale;
lode pronunciata sul quarto calice (calice dell’ hallel)2.
Il nucleo della commemorazione della Pasqua ebraica era l’interpretazione dei vari elementi del convito in rapporto agli avvenimenti dell’uscita dall’Egitto. L’ interpretazione liturgica degli elementi costitutivi del banchetto pasquale era introdotta dalla domanda del figlio cui il padre di famiglia rispondeva raccontando la storia dell’ Esodo e dandone insieme l’ interpretazione3.
Il libro del1’ Esodo riflette chiaramente questa prassi: “Quando poi sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. Allora i vostri figli vi chiederanno: che significa questo atto di culto? Voi direte loro: è il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l’ Egitto e salvò le nostre case”. (Es 12, 25-27; cf. 10, 2; 13, 8; Dt 6, 20-25).
In questa interpretazione l’ interesse era rivolto specialmente a tre elementi essenziali del convito pasquale: “Rabban Gamaliel ha detto: chiunque non menzioni (interpretandole) queste tre cose nel banchetto pasquale non ha compiuto il sue dovere: l’agnello pasquale, il pane azzimo e le erbe amare”4 (cf. Es 12, 8).
Il passo delle Mishnaioth prosegue subito dopo con l’interpretazione stessa: “L’agnello pasquale: perché Dio passò oltre in Egitto, risparmiando le case dei nostri padri (Es 12, 27); le erbe amare: perchè gli egiziani resero amara la vita dei nostri padri in Egitto (Es 1,14); il pane azzimo: perchè i nostri padri furono liberati dall’Egitto”5.
Completando quest’ultima interpretazione un po’ generica l’Haggadah pasquale ufficiale interpreta le focacce azzime così: “Queste azzime perchè le mangiamo? Perchè la pasta dei nostri padri non ebbe tempo di lievitare prima che il Re dei re si manifestasse e li liberasse6. Quest’interpretazione della grande fretta dell’Esodo si rifà chiaramente a Es 12, 34-39.
Affine ma di altro genere è una terza interpretazione suggerita da Dt 16, 3, dove le azzime sono dette “pane della miseria” o “pane di afflizione”: è una qualifica unica in tutta la bibbia che richiama all’ebreo l’infelice situazione della schiavitù.
In seguito, dopo l’entrata nella terra promessa, si aggiunsero altri elementi che venivano anch’essi interpretati: le quattro coppe di vino, la marmellata o composta di frutta, immagine della pasta e dei mattoni che gli ebrei preparavano in Egitto durante la loro schiavitù.
Ora l’importante è capire che tutti questi elementi non sono una coreografia tratta dal folklore semitico ma appartengono al genere dei segni sacramentali. Così, perlomeno, li intendono gli ebrei.
C’è un’affermazione fondamentale, nelle Mishnaiot, per entrare in questa mentalità: “In ogni generazione, qualsiasi israelita deve considerare se stesso come se egli fosse uscito dall’ Egitto7.
L’interpretazione degli elementi del banchetto pasquale affonda le radici in un evento unico del passato, ma va fatta alla luce delle condizioni del presente, perché è sempre nell’oggi che la salvezza di Dio si rende presente e incontra l’uomo. La liberazione dell’Esodo non è stata definitiva. Il popolo continua a fare l’esperienza della schiavitù ogni volta che è infedele all’alleanza (vedi ad esempio l’ esilio). Nella Mishna’ viene comandato di masticare le erbe amare per provare fino in fondo il sapore dell’amarezza e rivivere sacramentalmente la propria schiavitù attuale che attende la liberazione.
L’ attualità della schiavitù e l’attualità della salvezza di Dio che oggi, come allora, spezza questa schiavitù, vivono strettamente unite nella riattualizzazione dinamica del passato: questo è il memoriale.
In Es 13, 8 il padre di famiglia, rispondendo alle domande del figlio, dice: “Si fa così per tutto quello che il Signore ha fatto per me quando sono uscito dall’ Egitto”, affermando così, lui che parla a nome della comunità, che il popolo d’Israele nel suo insieme, quello antico e quello attuale, e lui stesso che parla, tutti sono stati liberati dalla schiavitù egiziana.
È ancora il trattato Pesahim delle Mishnaiot a illuminarci commentando questo passo: “E narrerai a tuo figlio in quel giorno dicendo: in grazia di ciò che Dio fece a me quando io uscii dall’Egitto. Perciò noi siamo in dovere di ringraziare, di lodare, di glorificare... e di magnificare Colui che operò per i nostri padri e per noi questi prodigi; ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dall’ affanno alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla splendida luce, dalla soggezione alla redenzione”8.
E’ da sottolineare il “per i nostri padri e per noi”.
Questa attualità della salvezza è un elemento imprescindibile della tradizione e della fede d’Israele.
NelI’Haggadah, a questo proposito, si presentano vari tipi di ragazzi che debbono fare le domande al padre di famiglia. Tra gli altri lo spregiudicato parla così: “Che cos’è per voi questa cerimonia? Per voi non per lui. Escludendo dunque se stesso dalla collettività, egli nega le basi dell’ ebraismo”. La realtà del memoriale che lega indissolubilmente passato, presente e futuro è alla base della stessa coscienza nazionale d’ Israele: è qui che egli trova la sua identità di popolo. Il testo prosegue: “Così tu gli farai digrignare i denti rispondendogli: per quello che fece il Signore a me quando uscii dall’ Egitto. A me non a lui. Se egli si fosse trovato là non sarebbe stato liberato”9.
Da tutto ciò risulta ben chiaro che per Israele il memoriale è ben altro che un esercizio di memoria o una epopea delle gesta degli avi. Su quale base il popolo d’Israele ha questa concezione? Non è queste luogo per affrontare una simile questione che richiederebbe uno studio a sé, ma fondamentalmente vi è una concezione originale della storia, in cui il passato vive nel presente e questo diventa prolessi per il futuro10.
Tornando alla realtà del memoriale si può concludere che chiunque fa memoria della liberazione diventa lui stesso oggetto dell’atto liberatore. Ed è per questo che ci si riunisce insieme a mangiare la “pasqua”: “chi ha fame venga e mangi, chi ha bisogno venga e faccia pasqua. Quest’anno siamo qui, l’anno prossimo saremo in terra d’Israele; quest’anno siamo qui schiavi, l’anno prossimo saremo in terra d’Israele liberi”11.
(segue)
1 Cf. J. JEREMIAS, Die Passahfeier der Samaritaner, BZAW 59, Giessen 1912. F.J. LEENHARDT, o.c., p. 15-21
2 J. JEREMIAS, Le parole dell’ultima cena, Brescia 1973, pp 100-101.
3 V. CASTIGLIONI, Mishnaiot I-II, Roma 1962, p.127 (Pes. X,4)
4 Ib. p.127 (Pes. X,5)
5 Ib. p.127-128.
6 A.S. TOAFF, Haggadah di Pasqua, Roma 1960, p. 37
7 CASTIGLIONI, o. c., P. 128 (Pes. X, 5)
8 Ib.
9 A. S. TOAFF, o. c., p. 15.
10 Questa concezione della storia che, fondamentalmente, continua nel cristianesimo, suscita spesso delle perplessità teologiche quando viene in contatto con la nostra mentalità occidentale. Molto interessante, in proposito, M. ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, Milano 1975.
11 A.S. TOAFF, o. c., p. 11.
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ultimo aggiornamento
30 marzo, 2005