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E' praticamente impossibile, se si è all’oscuro del “rito di divisione” che nell’antico Medio Oriente presiedeva alla ratifica giuridica dei contratti, comprendere il significato della Parola che fu indirizzata da Dio al Re Sedecia per mezzo di Geremia e che è riferita nella Bibbia al versetto 34-18 del libro omonimo a riguardo della libertà dalla servitù in Israele, libertà in un primo momento accordata e poi ritrattata.
Ecco il “passo”:
“... coloro che trasgrediscono il mio patto e non hanno mantenuto le parole che avevano pattuito al mio cospetto avranno la stessa sorte di quel vitello che hanno squartato in due e tra le due metà sono passati”.In esso è in sostanza citata l’usanza giuridica degli antichi popoli semiti di far transitare i contraenti di un patto (o contratto) fra le due metà di uno o più animali squartati, a mònito dell’incorrere nella medesima sorte se non avessero tenuto fede al patto testè stipulato.
La moderna sociologia novera quest’arcaica usanza fra i riti detti “di automaledizione” che i contraenti pronunziavano a garanzia del tener fede al patto concluso, un rito inteso a rendere la promessa solenne ed irrevocabile.
Siffatti “riti di divisione” possono rintracciarsi in tutto il mondo in modo velato o palese, in epoca anche recente e fino ai nostri giorni, e sempre in correlazione ad un patto o contratto testè concluso di cui si intende rafforzare l’affidabilità:
–il piccolo colpo di spada che nel medioevo veniva inferto sul collo nudo del Cavaliere neofita, all’atto della sua consacrazione, e che si rintraccia ancora ai nostri giorni nel piccolo schiaffo che il Vescovo dà sulla guancia del cresimando al termine della Liturgia della “confermazione” (= cresima);
– la tonsura dei religiosi e delle religiose all’atto del pronunciamento dei voti;
– la separazione delle mani dei venditori-acquirenti, nelle fiere agricole e boarie, in cui essi, tenendosi per mano, si dicono via via il prezzo richiesto ed offerto, mani che il “sensale” separa quando reputa adeguato il prezzo pronunciato in quell’istante;
– l’analoga stretta (e poi separazione) delle mani degli intervenuti, a conclusione di un accordo raggiunto, spesso immortalata da una foto-ricordo di interesse storico;
– il taglio della torta infine (o l’infrangere i bicchieri dell’ultimo brindisi) da parte degli sposi, subito prima di accomiatarsi dagli invitati e dare inizio alla loro vita coniugale in comune.
– ecc.Nella Bibbia il “rito di divisione” nella forma del transitare fra animali squartati si ritrova principalmente e primariamente nel <<Sogno di Abramo>> relato ai versetti 15-9 e 15-17 di Genesi.
Abramo squarta, per ordine di Jhwh, una vacca di 3 anni una capra di 3 anni ed un ariete di 3 anni, ne pone le metà divise da una parte e dall’altra ed attende poi fino a notte fonda. Quando il buio è più fitto ecco che all’improvviso Egli vede una torcia accesa ed un forno fumante che transitano, senza che alcuno li regga, frammezzo agli animali divisi.
Abramo comprese da ciò che Dio sarebbe stato fedele alla Promessa.
È evidente la convalida di quest’ultima, data col “rito di divisione confirmatorio” che si è riferito a principio.
È singolare notare che la Torcia accesa nella notte (la Luce nelle tenebre) rimanda a Cristo nella dizione di S. Giovanni (Giov.1-5) ed il Forno fumante rimanda al pane e quindi all’Eucarestia, sicchè nel <<Sogno di Abramo>> risultano incorporati i segni del Cristo sin dall’istante stesso della costituzione della Promessa, e ciò quando Israele nulla ancora poteva conoscere di Cristo; un anticipo questo che esclude una narrazione “costruita” ad hoc e suffraga per contro dall’interno l’interpretazione cristologica dell’intero Antico Testamento.
Ma quel che qui mi interessa notare è che nel <<Sogno di Abramo>> quei che transita fra gli animali divisi non è Abramo ma solo la Manifestazione (teofania) di Dio, sicchè il Patto è unilaterale; e quindi trattasi non di un contratto di dare-avere ma di un contratto di donazione che impegna solo il donante (Dio) ma non obbliga anche colui che la riceve (l’uomo), che solo assiste al transito, e che pertanto, non obbligato, è rispettato nella propria libertà.
Il tener fede alla Promessa è cioè un obbligo che Dio si accolla in ogni caso, lasciando però all’uomo la libertà di adeguarvisi o meno.
È rimarchevole che “la prima mossa”, il “primo passo”, sono effettuati da Dio e non dall’uomo.
È Dio che dà istruzioni per il compimento del rito confirmatorio, ed è Dio che si accolla l’onere del tener fede alla Promessa e l’esprime in una forma che non concede ritorno.
L’uomo per contro riceve in dono la Promessa, ne constata per così dire l’affidabilità, ma rimane libero di aderirvi o meno.Questa straordinaria sequenza è, così, aliena dalla logica retributiva della ristretta economia dell’epoca implicante lo scambio di prestazioni reciproche, e si mostra inusuale e di impensabile sottigliezza per poterla ritenere una narrazione “costruita”, e per giunta in era arcaica; e come tale si rivela quindi essere “un fatto” e non “un mito”.
Non solo, ma un fatto inteso ad arricchire gratis l’uomo con la pienezza della Promessa pur lasciandolo libero.La Fede è dunque per l’uomo un atto di libera corresponsione alla Promessa di Dio.
Di essa non si dà quindi dimostrazione ma è una scelta libera, un’offerta di sè, un impegno della mente e del cuore in contrappunto alla Parola.
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ultimo aggiornamento
30 marzo, 2005