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(seguito)
Il Memoriale Sacrificale
Si è già visto che, nell’interpretazione dei LXX, zikkaron (memoriale liturgico in genere) e azkarah (memoriale sacrificale) si identificano.
Quando Gesù nell’ora del suo “passaggio” ha presentato il pane e il vino come “segni” in cui è presente la realtà del suo corpo consegnato alla morte e del suo sangue sparso, ha portato a compimento le figure della antica alleanza.
Come è necessario rifarsi alla liturgia del banchetto pasquale per comprendere gli antecedenti veterotestamentari della celebrazione eucaristica, è altrettanto illuminante considerare i sacrifici dell’antica alleanza, dal momento che la croce è il compimento di quei sacrifici, compimento che rivive nel perenne memoriale dell’eucaristia.
Il V.T. ci presenta vari tipi di sacrifici:
• l’olocausto,
• il sacrificio di comunione,
• l’oblazione,
• il sacrificio di riparazione e il sacrificio per il peccato1.
È da notare che le particolarità che distinguono un sacrificio dall’altro non sono troppo nette: a volte i confini tra di loro sono poco chiari perchè contengono molti elementi comuni.
Lasciando da parte l’olocausto si prenderanno in considerazione gli ultimi tre tipi di sacrificio.
Il sacrificio di comunione
È chiamato anche sacrificio pacifico o sacrificio di pienezza. È una specie di pasto sacro, tipico dell’ambiente nomade, consumato con Dio e tra i membri del clan (cf. Dt 12, 18).
Lv 7, 11-15 ci mostra con molta chiarezza il profondo legame tra il sacrificio di comunione e l’oblazione: legame estremamente significativo per capire il quadro in cui si colloca l’Eucaristia.
Mentre l’olocausto si celebra solo occasionalmente, il sacrificio dl comunione fa parte di tutte le feste poiché significa e realizza la comunione di vita tra Dio e i suoi fedeli.
La legge liturgica distingue tre forme di sacrificio di comunione:
- sacrificio di ringraziamento
- sacrificio votivo
- sacrificio volontario
Di questi il più solenne è il sacrificio di ringraziamento (zebach ha-todah; thusìa tés ainéseos; sacrificio di lode). L’ espressione che 1e designa diventerà in seguito l’eucharistia dei greci e il sacrificium laudis dei latini2.
Alcuni salmi sono un’eco sorprendente dello spirito che animava questi sacrifici:
“Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore...
A te offrirò sacrifici di lode
e invocherò il Nome del Signore”
(Sal 116,13.17)
“Offri a Dio un sacrificio di lode...
chi offre il sacrificio di lode
questi mi onora”.
(Sal 50,14a.23a)
Senza citarne altri penso si possa affermare che molti salmi di ringraziamento sono nati dallo spirito e dall’esigenza liturgica. Così, la prima citazione che fa ricordare la coppa della benedizione del banchetto pasquale, è tratta dal Sal 116 che veniva cantato durante la cena pasquale e che anche Cristo ha sicuramente cantato3.
Di questo spirito ci dà notizia anche Geremia:
“Si udranno ancora grida di gioia e grida di allegria... e il canto di coloro che dicono, portando sacrifici di ringraziamento nel tempio del Signore: lodate il Signore degli eserciti perchè è buono, perchè la sua grazia dura sempre” (Gr 33, 11)4
L’oblazione
L’oblazione (azkarah, mnemosynon o anamnesis) è un rito, a differenza del precedente, tipico di popolazioni sedentarie, nel quale si offrono i sacrifici della terra, i frutti, le primizie ecc.
“Se qualcuno presenterà al Signore un’oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, sulla quale verserà olio e porrà incenso” (Lv 2, 1).
Il sacerdote prende una manciata di questa offerta e la brucia sull’altare “come memoriale”. Il fatto che venga chiamata memoriale (azkaratah) la parte dell’oblazione bruciata dal sacerdote sull’altare dimostra lo strettissimo rapporto esistente, nell’oblazione, tra il memoriale e il sacrificio.
Il resto dell’azkarah veniva consumato dai sacerdoti (Lv 2,9-10): è evidente il parallelismo con il sacrificio di comunione5.
L’azkarah (radice ZKR) va dunque tradotta memoriale; in quanto tale è, insieme, proclamazione agli uomini della fedeltà di Dio (l’offrire questi doni tratti dalla terra è il segno dell’entrata nella Terra promessa), segno rivolto a Dio per ricordargli un fedele e la sua preghiera, e comunione con Dio, garanzia dell’ esaudimento e della salvezza6.
I pani della proposizione: Incontriamo ancora la nozione di memoriale in un rito che non è il sacrificio del1’oblazione ma gli può essere assimilato: i pani della proposizione. Si tratta di una dozzina di pani senza lievito posti “in due file di sei sulla tavola d’oro puro davanti a YHWH” (Lv 24,5ss; cf. Es 25, 23-30; 1Re 7, 48; 1Sam 21, 5).
Al mattino di ogni sabato questi pani venivano sostituiti e consumati dai sacerdoti come “cosa santissima”. Sopra i pani, oppure a fianco, in due coppe d’oro veniva posto l’incenso:
“Porrai l’incenso puro sopra ogni pila e sarà sul pane come memoriale, come sacrificio consumato dal fuoco in onore di YHWH” (Lv 24, 7): solo in questo caso le-zikkaron è tradotto dai LXX con eis anamnesin, la stessa espressione usata da Gesù nell’ultima cena.
I pani dovevano rimanere esposti perpetuamente davanti al Signore (in ebraico si parla di pane “della faccia” o della presenza di Dio), come segno della fedeltà di Dio e del popolo d’Israele all’alleanza.
Il sacrificio di riparazione
Il sacrificio per il peccato
(o di espiazione)
Il primo è un’immolazione e un’ammenda in caso di violazione involontaria dei diritti di Dio. Il secondo, che c’interessa più da vicino, è un sacrificio espiatorio di sostituzione: l’animale immolato rimpiazza il colpevole ed espia per lui. Il libro del Levitico dà una grande importanza a questo sacrificio7.
Il fatto che Gesù, nell’ultima cena abbia interpretato il suo corpo come “dato” e il suo sangue come “sparso” “per molti” (o “per voi”) lega strettamente il memoriale eucaristico alla nozione di sostituzione sacrificale e di morte vicaria.
Gesù s’inserisce, ancora una volta, nella realtà veterotestamentaria. Come ha ben mostrato G. v. d. Leeuw, nel culto antico, anche al di fuori di Israele, le sostituzioni giocano un grande ruolo: il sacrificio prende il posto di chi sacrifica, la vittima si sostituisce all’offerente perché i due sono essenzialmente uniti, “partecipano l’uno dell’altro”; l’offerente si dona con e nel sacrificio8.
D’altra parte, bisogna rilevare che, per Israele, il senso vero e ultimo del sacrificio è in rapporto all’alleanza. Come fa notare von Rad, il culto e in particolare il sacrificio servono a richiamare il ricordo d’Israele davanti a Dio e viceversa9.
È molto interessante, inoltre, notare con E. Jacob, che nel sacrificio israelita la vittima gioca un doppio ruolo: “Essa simbolizza la vita del colpevole e la sua uccisione è simbolo della distruzione del peccato. Ma la vittima è, contemporaneamente, l’intermediario attraverso il quale Dio comunica la sua vita al peccatore, e se i testi rituali insistono fortemente sulla sua purezza, integrità, giovinezza, vigore, è perché questa vita deve simboleggiare la vita divina; così l’essenziale del sacrificio non è la morte della vittima ma l’offerta della sua vita”10.
Questa realtà del dono della vita è presente, anche se non esplicitamente, nel sacrificio pasquale. In fondo, il significato apotropaico (= allontanamento del male, della disgrazia, della morte) è in funzione della vita da conservare e da difendere: il fatto che lo Sterminatore risparmi le case segnate dal sangue dell’agnello è un dono di vita e di liberazione da parte di Dio.
La vittima del sacrificio pasquale, inoltre, è un segno del vero sacrificio costituito dall’Esodo e dal culto che il popolo è chiamato a rendere a JHWH, obbedendo alla sua volontà. Ritorna, chiarissimo, lo stretto rapporto tra sacrificio e alleanza, tema che diverrà centrale nei profeti.
Comunque è significativo anche il fatto che pasqua e agnello sacrificato coincidano. Nella terminologia biblica si dice infatti: immolare la pasqua, ponendo in stretto rapporto la liberazione, il dono della Legge, l’Alleanza, con il sacrificio pasquale.
Questi sono stimoli e spunti di riflessione che non ho avuto modo di approfondire, e che lascio come aspetti problematici.
“Ricordati del Messia”
Abbiamo già visto nella berakah citata da L. Bouyer la presentazione a Dio del “memoriale del Messia, il Figlio di Davide tuo servo”.
È un aspetto essenziale della liturgia pasquale: la Pasqua faceva rivivere liturgicamente la liberazione dalla schiavitù egiziana, ma questa esperienza diveniva segno della grande e definitiva liberazione escatologica che sarebbe venuta nel giorno del Messia.
Così nel banchetto pasquale troviamo il triplice memoriale di una liberazione passata che, nell’atto sacramentale del pasto pasquale, è tipo di una liberazione attuale e, nel giorno del Messia, della salvezza definitiva11.
Nel rendere grazie per il passato divenuto attuale nel “sacramento”, si supplicava Dio di realizzare la salvezza inviando il Messia. La liberazione passata diveniva così “segno” e “pegno” di quella che doveva venire, perfetta e definitiva12.
A volte sulla tavola si metteva anche una coppa supplementare per Elia che doveva precedere il Messia, e perchè egli non avesse ad attendere la notte di Pasqua si lasciava la porta aperta. La notte pasquale diveniva così, la notte dell’attesa del Messia, la notte in cui certamente Egli sarebbe venuto. E questa attesa piena di speranza era anche una supplica ardente.
Il memoriale pasquale riveste, così, una chiara portata escatologica. Dio viene invocato in ogni festa di Pasqua perchè appaia il Messia e si attui la parusia.
Questa preghiera a Dio “perchè si ricordi del Messia” ha determinato e improntato la celebrazione pasquale in un modo molto forte13.
Ogni celebrazione pasquale si chiudeva con il giubilante coro alterno che un giorno avrebbe salutato il Messia al suo ingresso in Gerusalemme.
Da numerose testimonianze sparse sappiamo infatti che l’esegesi del tardo giudaismo interpretava l’hallel della cena pasquale preferibilmente in senso escatologico messianico.
Nel suo testo più volte citato Jeremias fa un’esame dettagliato e molto suggestivo dell’esegesi escatologica del Sal 118, 24-29, come la troviamo nel midrash ai salmi14.
In questo midrash, il versetto 24: “Questo è il giorno che YHWH ha fatto” viene interpretato in rapporto al giorno della redenzione che pone fine per sempre ad ogni servitù, cioè alla redenzione messianica. Partendo da questa interpretazione escatologica il midrash presenta questa esegesi dei vv. 25-29:
“Gli abitanti di Gerusalemme grideranno dall’interno:
O Signore vieni in aiuto! (v. 25a)
e gli abitanti della Giudea risponderanno dal di fuori:
O YHWH dà la prosperità! (v. 25b)
Gli abitanti di Gerusalemme grideranno dal di dentro:
Benedetto sia colui che viene nel nome di YHWH! (v. 26a)
e gli abitanti della Giudea risponderanno dal di fuori:
Vi benediciamo, voi della casa di YHWH! (v. 26b)
Gli abitanti di Gerusalemme grideranno dal di dentro:
Dio è YHWH. Egli ci diede la luce. (v. 27a)
e gli abitanti della Giudea risponderanno dal di fuori:
Intrecciate il serto di rami fino ai corni dell’altare. (v. 27b)
Gli abitanti di Gerusalemme grideranno dal di dentro:
Tu sei il mio Dio! Ti loderò! (v. 28a)
e gli abitanti della Giudea risponderanno dal di fuori:
Mio Dio ti esalterò! (v. 28b)
Gli abitanti di Gerusalemme e gli abitanti della Giudea aprono le loro labbra e lodano (insieme) il Santo, sia Egli lodato!, e gridano:
Ringraziate YHWH! Poiché egli è buono e la sua grazia dura in eterno. (v. 29)
È un quadro commosso e commovente quello che il midrash ci pone davanti agli occhi. Sulle mura della città santa, nell’ora escatologica, stanno i gerosolimitani, e giù dal monte degli ulivi si avvicina il Re messianico alla testa della processione dei pellegrini giudaici.
I due gruppi si salutano, in coro alterno, con le parole del Sal 118, 25-28, finché i due cori si uniscono nella lode di Dio (v. 29).
È possibile, aggiunge Jeremias, che l’interpretazione midrashica abbia condizionato anche nei particolari il racconto dell’ ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme.
È chiarissimo in questi testi lo spirito che alimentava il memoriale della pasqua giudaica. Anch’essa si colloca tra il “già” e il “non ancora” e solo nella luce di quest’ ardente speranza è possibile comprendere il “Maranathà” dell’eucaristia cristiana.
(segue)
1 M. THURIAN, L’Eucaristia, Roma 1967, pp 55ss
2 M. THURIAN, o.c., p. 57.
3 Ib p. 40.
4 Cf i Sal 106, 1ss; 107, 1ss. Il Sal 136, vera e propria litania di ringraziamento, costituisce il “grande Hallel” della cena pasquale che appare come un sacrificio di comunione in un clima di azione di grazie (benedizione).
5 Il sacrificio di comunione consisteva, infatti, nell’offrire una parte al Signore e nella consumazione del resto da parte della comunità.
6 M. THURIAN, o. c., pp. 60ss.
7 Cf H. CAZELLES, Le Lévitique nella Bible de Jerusalem, Paris 1951, Introduzione pp. 10-14 ; Cf E. JACOB, Théologie de l’Ancien Testament, Geneve 1963, p. 213s.
8 Cf G. v. d. LEEUW, Phénoménologie de la religion, Paris 1955, p. 348.
9 Cf G. v. RAD, Théologie de l’Ancien Testament, Genéve 1963, pp 213ss.
10 E. JACOB, o. c., p. 237.
11 M. THURIAN, o. c., p. 41.
12 Cf L. J. LEENHARDT, o. c., p. 20.
13 Cf J. JEREMIAS, o. c., p. 315
14 Ib., p. 320
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ultimo aggiornamento
20 aprile, 2005