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(seguito)
IL MEMORIALE
SACRIFICALE NEI SEGNI
In quanto memoriale della passione del Signore, nella linea della cena pasquale ebraica, l’ eucaristia è un banchetto sacrificale, paragonabile a quelli dei sacrifici pagani (cf. 1Cor 10, 14-22)1.
Come nella cena pasquale ebraica, anche nell’eucaristia cristiana ci sono degli elementi che vanno interpretati, perchè è stato Gesù stesso che ha dato loro un significato ben preciso.
1. Il pane spezzato2
Nel vangelo secondo Matteo (26, 26) è da notare l’enfasi messa sul gesto della frazione: «Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò (èclasen) e lo diede ai suoi discepoli dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”».
Lo spezzare il pane per tutti, gesto abituale del padre di famiglia ebraico, è in quanto tale un gesto funzionale. Ma Gesù, nella linea pasquale dell’interpretazione dei vari particolari del convito, con le parole pronunciate sul pane (“questo è il mio corpo”) ha dato un significato nuovo anche al gesto dello spezzare il pane. Gesto e parole si spiegano a vicenda.
Cosi il rito funzionale acquista un significato sacrificale, senza perdere per questo il senso eminentemente comunitario (cf. 1Cor 10,17).
Anche l’insistenza di Paolo sulla frazione: “il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” mette bene in evidenza che il gesto pratico della distribuzione nel pasto acquista significato in rapporto al sacrificio di Cristo.
Questo è talmente vero che l’espressione”spezzare il pane” (klàsis tou artou, fractio panis) diventerà, per i primi cristiani, sinonimo di celebrazione eucaristica3 (Cf. Lc 24, 30-31.35; At 2,46; 20,7).
Nella versione lucana dell’ultima cena si legge: “Questo è il mio corpo dato per voi” (Lc 22, 19). S. Paolo dice semplicemente: “... per voi” (1Cor 11, 24). Questa forma breve di Paolo senza il verbo è impossibile in aramaico e molto improbabile in greco; il che spiega come molti manoscritti o versioni l’ abbiano completata con “rotto”, “spezzato”, “dato”. Nella mentalità della chiesa nascente c’è un netto rapporto tra la frazione e il sacrificio della croce: “Questo (pane spezzato) è il mio corpo dato per voi”.
Le liturgie riformate manterranno il testo lungo di S. Paolo come formula della frazione: “Il pane che rompiamo è la comunione al corpo di Nostro Signor Gesù Cristo che è stato rotto per noi”4.
Anche per il vino del calice si può fare un discorso analogo. I sinottici pongono in bocca a Gesù l’interpretazione del vino come “sangue sparso per i molti” (Mt 26, 28; Mc 14, 24). Luca usa “per voi” (Lc 22, 20). Il participio usato è in tutti e tre ekchynnòmenon, il termine tecnico del linguaggio sacrificale per indicare lo spargimento di sangue. La realtà significata dal termine è contenuta nel gesto di versare il vino nel calice, anche se questo gesto precedeva la sua distribuzione5. Designando il pane come corpo e il vino come sangue Gesù richiama il gesto appena compiuto: il pane è stato spezzato e il vino versato. Il pane e il vino non sono il corpo e il sangue di Cristo considerati nella loro materialità, ma nell’ atto stesso del sacrificio: il pane è il corpo di Cristo “dato”; il vino è il sangue di Cristo “sparso”.
“Gesù trasforma la focaccia di pane spezzata nel simbolo del destino del suo corpo, il succo della vite nel simbolo del suo sangue versato”6. Con le dovute riserve intorno alla parola “simbolo”7 penso che questa frase dello Jeremias sintetizzi bene il significato dei gesti sacramentali compiuti da Gesù.
2. La separazione degli elementi
Un altro simbolo del sacrificio presente nell’eucaristia è la separazione del corpo e del sangue di Cristo sotto i due elementi del pane e del vino.
La coppia aramaica “bisra-udema” che corrisponde in greco a “soma-aima” designa i due elementi costitutivi del corpo, specialmente in riferimento alla vittima sacrificale, dato che nel sacrificio i due elementi vengono separati (cf. Gen 9, 4; Lv 17, 11; Dt 12, 23; Ez 39, 17-19; Eb 13, 11).
Anche qui si può dire, come per il participio ekchynnomenon, che Gesù trasferisce a sè i termini tecnici del linguaggio sacrificale. Gesù, infatti, parla di sè come vittima.
L’ identificazione del pane e del vino con il suo corpo e sangue presentava ai discepoli i segni di un sacrificio. La loro mentalità ebraica non poteva ingannarli. Quando Gesù ha detto in aramaico: “den bisri” = questa è la mia carne (di vittima sacrificale) e “den ‘idmi” = questo è il mio sangue (di vittima sacrificale) egli ha parlato molto probabilmente di sé come agnello pasquale8.
L’interpretazione dell’agnello pasquale faceva parte, infatti, dell’ haggadah di Pasqua. Sappiamo che il pane e il vino Gesù li ha interpretati riferendoli a se stesso e, anche se non è riferito dai vangeli, forse ha interpretato anche l’agnello pasquale in riferimento alla sua persona che stava per essere immolata.
Egli è l’agnello pasquale escatologico che rappresenta il compimento, e del quale l’agnello pasquale d’ Egitto e tutti gli agnelli sacrificati in seguito erano solo prototipi.
La tradizione giovannea sulla passione differisce cronologicamente da quella sinottica proprio perchè vuol sottolineare la relazione tra la morte del crocifisso e l’immolazione dell’agnello pasquale. Mentre nel tempio venivano immolati centinaia e migliaia di agnelli pasquali, davanti alle porte della città moriva sconosciuto il vero agnello pasquale a cui, secondo la volontà di Dio, non si doveva spezzare alcun osso (Gv 19, 36; cf. Es 12, 46)9.
Questa equiparazione di Gesù con l’agnello pasquale è comunissima nella letteratura della chiesa primitiva. Paolo la presuppone come già nota quando scrive che “Cristo, nostra pasqua, è stato immolato” (1Cor 5, 7; cf. 1Pt 1,19; Ap 5,6.9.12; 12, 11; Gv 1, 29.36).
Nel prolungamento di questa tradizione la chiesa riconoscerà nell’ eucaristia il Sacramento del sacrificio del vero agnello pasquale, Gesù Cristo immolato sulla croce. E i segni di questa presenza di Cristo “come immolato” essa li vedrà nel corpo e nel sangue del Signore, separati come il corpo e il sangue dell’ agnello pasquale.
Ci si domanda a volte perchè la chiesa distribuisca il sacramento dell’eucaristia sotto i due elementi. Se l’eucaristia non fosse che il sacramento della presenza reale di Cristo, per la comunione ne basterebbe uno solo. Con ragione noi cattolici affermiamo che Cristo non è diviso ed è presente, in pienezza, nelle due specie, ma forse in passato abbiamo perso di vista che il duplice segno fa dell’ eucaristia il sacramento della presenza reale di Cristo, ma di Cristo immolato sulla croce10. Noi celebriamo il memoriale del sacrificio della croce, significato dalla separazione del corpo e del sangue di Cristo, e comunichiamo a quel sacrificio prendendo il pane e il vino, corpo e sangue di Cristo, separatamente.
3. Il sangue dell’alleanza in remissione dei peccati
Un’altra indicazione del carattere sacrificale dell’eucaristia è data dalla menzione del sangue dell’alleanza: “Questo è il mio sangue dell’ alleanza versato per molti” (Mt 26, 28; Mc 14, 24). “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi” (Lc 22, 20; cf. 1Cor 11, 25).
Queste due formule equivalenti mostrano che il sangue di Cristo è sparso per fondare la nuova alleanza di Dio con la moltitudine che formerà il suo popolo. Anche sul Sinai il sangue delle vittime aveva suggellato l’alleanza di YHWH con il suo popolo.
Nel racconto dell’Esodo si è tentati di vedere quasi una pre-liturgia cristiana a causa della presenza di questi elementi:
1. Il sacrificio nel quale Mosè presenta a Dio il sangue dell’alleanza sull’altare (vv. 5-6).
2. La lettura della Parola di Dio fatta da Mosè nel libro dell’alleanza (v. 7a).
3. L’ impegno di obbedienza da parte del popolo con una risposta (v. 7b).
4. L’ aspersione del popolo con il sangue dell’alleanza da parte di Mosè con le parole: “Ecco il sangue dell’ alleanza…” (v. 8).
Anche nella nuova alleanza parola e sacramento sono strettamente uniti; e la comunione con Dio implica l’obbedienza alla sua parola ascoltata e la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo.
C’è chiaramente un parallelismo stretto, nella linea della prefigurazione-compimento, tra Sinai-Calvario-Eucaristia11.
Partecipare al sangue di Cristo nell’ eucaristia significa entrare nell’alleanza nuova, escatologica, inaugurata dalla croce di Cristo, in cui ci viene comunicato il perdono e la remissione dei peccati per una piena comunione di vita con Dio.
Nella versione secondo Matteo dell’ultima cena Gesù dice: “Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti in remissione dei peccati” (Mt 26, 28). Si compie in questa parola la profezia di Geremia:
“Ecco verranno giorni -dice il Signore- nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda Io concluderò un’alleanza nuova... Io perdonerò la 1oro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Gr 31, 31-34).
L’eucaristia ci fa entrare oggi in questa alleanza nuova, rompendo per mezzo del sangue di Cristo il muro che ci separa da Dio.
La lettera agli ebrei ci illumina anche in questo caso, ponendo in relazione la croce di Cristo con il sacrificio per il peccato della liturgia giudaica (cf Eb 13, 10-16). Nel giorno dell’Espiazione il Gran Sacerdote penetrava al di là del velo del Tempio e portava nel Santuario il sangue del sacrificio per il peccato con il quale faceva il rito dell’espiazione “per le impurità dei figli d’Israele, per le trasgressioni e per tutti i loro peccati” (Lv 16,16).
Il rito di espiazione si svolgeva in due tempi: dapprima il sacrificio per il peccato sull’altare e poi l’aspersione, al di là del velo nel santo dei santi, del sangue sul propiziatorio. In questo rito l’autore della lettera agli ebrei vede il simbolo dei due momenti dell’espiazione compiuta da Cristo:
il sacrificio per il peccato sull’altare della croce,
l’ingresso nel santuario celeste con il sangue del sacrificio come sua perpetua intercessione12.
Infatti “senza spargimento di sangue non esiste perdono” (Eb 9, 22b); il carattere sacrificale dell’eucaristia per la remissione dei peccati, non ha senso se è staccato dall’ingresso di Cristo Sommo Sacerdote nel cielo, al di là del Velo, portando il sangue del suo sacrificio per presentarlo al Padre in nostro favore.
“Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb 9, 24).
(continua)
1 Cf. G. DIX, The shape of the liturgy, cap. IV.
2 Per il contesto e l’esegesi delle parole interpretative sul pane cf JEREMIAS, o. c., pp 203.213.
3 L’ interessante affresco denominato “fractio panis” della “cappella greca” nelle catacombe di S. Priscilla (inizio del II sec.) è una testimonianza iconografica che sottolinea l’importanza rivestita dal gesto della frazione del pane per rappresentare il rito eucaristico.
4 Liturgie de l’Eglise réformée de France, Paris 1955, p. 41.
5 Cf M. THURIAN, o. c., p. 210. Un altro simbolo che evoca il sangue del sacrificio è il colore rosso del vino usato abitualmente nella cena pasquale. Il paragone del vino rosso col sangue è già noto all’ A. T. (Gen 49, 11 ; Dt 32, 14; Is 63,1-6; 49,26; Za 9,15).
6 Cf J. JEREMIAS, o. c., p. 278.
7 L’ accostamento tra l’azione di Gesù e il modo con cui i profeti del V.T. annunciavano con gesti avvenimenti futuri (Ez 4-5; Gr 19, 1-15) può essere suggestivo ma rischia di svuotare la realtà sacramentale del gesto di Gesù.
8 Cf JEREMIAS, o. c., pp 275-277.
9 Ib., p. 97.
10 Cf M. THURIAN, o. c., p. 216.
11 Cf M. THURIAN, o. c., p. 218.
12 Ib, p. 222ss.
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ultimo aggiornamento
02 giugno, 2005