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I Vangeli annotano, in S.Matteo ed in S.Marco, due moltiplicazioni dei pani operate da Gesù.
S.Luca e S.Giovanni ne annotano invece una sola.A prescindere dalla questione esegetica sollevata (ma non risolta) dalla critica storico-letteraria se i duplici racconti di S.Matteo e S.Marco si riferiscano o meno ad un unico avvenimento, sdoppiantosi poi nell’allitterazione narrativa dei primi due Evangelisti, è rilevante che nel testo che è riferito da tutti e quattro (S.Matteo - cap.14,15/21; S.Marco-cap.6,34/44; S.Luca-cap.9,12/14 e S.Giovanni -cap.6,14/13) il numero dei pani iniziali è di cinque e quello dei pesci due, e viene inoltre costantemente riferito da tutti e quattro i Redattori che, al termine, vennero raccolte ben dodici sporte di avanzi.
Nella seconda narrazione, riferita solo da S.Matteo (cap.15,32/38) e da S.Marco (cap.8,1/8), non anche da S.Luca e da S.Giovanni, si enumerano invece sette pani iniziali e pochi pesciolini (non se ne dà il numero), e si riferisce che gli avanzi raccolti riempirono sette sporte.
Che valenza si deve attribuire a questi numeri, che, scritti in progressione, danno la sequenza {due, cinque, sette, dodici}?. Sono essi annotazioni “veridiche” di semplici constatazioni di cose avvenute, o sono numeri di fantasia, o trasmettono infine, sotto al velo o l’apparenza della constatazione stessa, un insegnamento, un significato, una caratteristica specifica? Ed in tal caso si tratta di un “messaggio costruito ad arte” od è “scoperto inerente” a quanto realmente osservato?
La quaestio non è vana né è fuorviante.
Invero a proposito delle Scritture una nota scrittrice di cose ebraiche, Giacoma Limentani, annota:
<< Il “bianco” fra le righe (delle Scritture) non ha mai cessato di stimolare i Maestri Ebrei e di appassionare i loro discepoli alla disputa.... (dedicandosi [corsivo mio]) all’importante problema di reperire ogni possibile relazione fra i vari passi delle Scritture e di collegarli tra loro......... come anelli di una catena di elementi che, presi invece ognuno per se stesso, verrebbero a porsi quali massi inerti sul sentiero che si nutre dell’imperativo “ Zakhor ! ” (= Ricorda!).1Il metodo fondamentale di tale approccio investigativo è stato (ed è tutt’ora nella tradizione rabbinica) quello dell’aritmetizzazione delle parole, che consiste nell’assegnazione di un “valore numerico” alle singole lettere dell’alfabeto, il che permette (o conduce), sommandone le entità, di riconoscere legami di correlazione nei significati delle frasi e dell’intero testo. 2
Questa procedura è denominata dagli studiosi “ghematrìjah”.
Sconosco la genesi e l’esatta datazione linguistica di tale termine, ma è probabile che esso sia pervenuto nella cultura ebraica direttamente dal greco: “γεωμετρια” (= gheometrìa), che nella specie è venuta ad indicare una singolare e tardiva metodologia di interpretazione “in filigrana” delle Sacre Scritture.Al riguardo non è fuor di luogo ricordare che uno dei massimi risultati raggiunti in Logica in epoca del tutto moderna (anni venti del XX secolo) sono i celebri Teoremi di incompletezza e di indecidibilità di Kurt Goedel 3, che con radici concettuali in certo senso identiche alla ghematrìjah ebraica, si basano sulla aritmetizzazione degli assioni della Logica. 4
Si dà il caso che il due ed il cinque, che nella “sequenza evangelica” indicano il numero dei pani e dei pesci a mani degli Apostoli prima che Gesù ne operasse la moltiplicazione a favore della folla che l’aveva seguito, corrispondono, rispettivamente, al due associato nella ghematrìjah all’imperativo Zàkhor! (= Ricorda!) ed al cinque che, sempre nella ghematrìjah, è associato alla parola chaijm che in ebraico indica la vita.
Due è il primo dei numeri naturali che implichi il riconoscimento dell’alterità (= dell’altro, oltre che di se stessi), sicchè l’imperativo Zakhor si “legge” equivalentemente “Ricordati anche dell’altro5; ed il cinque, che indica la vita, si riconduce alla mano con cinque dita e coinvolge con ciò l’attivarsi, l’operare (= prattein , da cui i termini di prassi e di pratica) specifici appunto della vita.Il cinque ed il due della narrazione resa da tutti e quattro gli Evangelisti si mostrano dunque legati attraverso la ghematrìjah all’impegno di ricordarsi (due) dell’esistenza altrui, e di attivarsi (cinque) per venire incontro alle esigenze fondamentali della loro vita.
In una parola, sono un invito alla “misericordia” (in perfetta sintonia con il “misereor super turbam” pronunciato da Cristo all’atto di attivarsi per i fatti di cui a narrativa).Passando a questo punto al sette della seconda moltiplicazione dei pani narrata solo da S.Matteo e da S.Marco, si osserva subito che sette è la somma di due più cinque, dei quali è cioè una sintesi di ugual valenza numerica globale.
Ambedue le narrazioni della “prima” e della “seconda” moltiplicazione dei pani operate da Gesù, convergono dunque su uno stesso messaggio, sul “prattein” (= fare, operare; prassi di vita) improntato al riconoscimento ed al sostegno degli altri.
I resoconti evangelici in esame non sono quindi una semplice testimonianza (o ricordo) di cose straordinarie avvenute e narrate, ma visti in filigrana nell’ottica della ghematrìjah ebraica impegnano anche (sono un imperativo) ad operare secondo misericordia.
La narrazione della “prima” moltiplicazione dei pani si conclude sul numero dodici (di sporte di avanzi residuati).
Il dodici è nell’antichità, il numero che designa la perfezione (un numero “cosmico”: le dodici costellazioni nel firmamento; i dodici mesi in un anno; le dodici ore nel giorno e le dodici nella notte).
Allora il messaggio in filigrana diviene: “ricordati dell’Altro; opera con misericordia verso di lui; il termine cui si perviene è la perfezione”.Nella narrazione della seconda moltiplicazione dei pani il numero di sporte riempite con gli avanzi è indicato essere sette, in “simmetria” con il sette iniziale (numero dei pani) che viene indicato questa volta. Solo che tale simmetria è correlata, nel racconto, ad un’espansione oltre ogni dire della sua misura: si parte da sette piccoli pani d’orzo e si raccolgono ben sette sporte (!) di avanzi, e ciò in sovrabbondanza a quanto la folla di circa quattromila (!) persone (oltre alle donne ed ai bambini) aveva potuto mangiare fino alla sazietà.
È questa sovrabbondanza (peraltro già presente nelle “dodici sporte” del primo racconto) ad essere dunque sottolineata questa volta, una misura traboccante, com’è costume nelle cose di Dio: “Vi sarà resa una misura piena, pigiata, ben scossa e traboccante”.
È questa sovrabbondanza il frutto della misericordia.
All’incirca nel 1200 il matematico Leonardo Pisano, meglio noto con il soprannome di Fibonacci (= figlio di Bonaccio) annunciò una strana singolare progressione numerica, che oggi va sotto il suo nome.
Essa è retta dalla caratteristica che a cominciare dal terzo posto in poi ogni suo termine è uguale alla somma dei due termini suoi immediati predecessori.
Si osserva subito che la sequela dei numeri “evangelici” {due, cinque, sette, dodici} è parte di una progressione di Fibonacci, poichè il suo terzo termine sette è la somma del cinque e del due suoi immediati predecessori, così come a sua volta il successivo dodici è anch’esso la somma dei due termini sette e cinque che immediatamente lo precedono a lor volta; (2+5= 7; 5+7= 12).Esiste insomma una “struttura” particolarissima (struttura di Fibonacci) nella sequenza dei quattro numeri “evangelici”; il che rende improbabile, anzi esclude, che essi siano “casuali”, in quanto invece reciprocamente concatenati e “seguenzialmente ordinati” da una ben determinata e specifica correlazione algebrica che difficilmente ci sarebbe se si trattasse di numeri di fantasia od affabulati.
Si dà il caso che questa correlazione (progressione di Fibonacci) è sovente “radice” di simmetria negli esseri viventi. P.es: il modo come le gemme, le foglie, i petali, sono organizzati, nel Regno Vegetale, attorno allo stelo, è infatti dato assai spesso da una progressione di Fibonacci (p.es nella misura degli angoli-giro dell’attaccatura attorno allo stelo).
La progressione di Fibonacci è presente anche nel Regno Animale.Per altra via, che non solamente quella della ghematrìjah ebraica, si constata dunque che la sequela dei quattro numeri “evangelici”, richiamati all’interno dei resoconti delle due moltiplicazioni dei pani tramandateci dalle Scritture, anzitutto non è casuale ma strutturata in modo “ben ordinato” (Fibonacci) ed inoltre è correlata (ghematrìjah) al concetto di vita (= chaijm in ebraico) e del conseguente attivarsi (prattein) a beneficio degli altri.
All’epoca in cui i Vangeli sono stati scritti, nulla però si sapeva a riguardo della ghematrìjah (che è stata sviluppata infatti, che io sappia, dalle Scuole Rabbiniche posteriori al III secolo) e nulla si sapeva della progressione di Fibonacci (che data addirittura dal XIII secolo); per non parlare poi delle acquisizioni della Logica moderna, del tutto recenti.
Quest’osservazione cronologica esclude che i quattro numeri “evangelici” possano dunque essere frutto di un “piano dottrinale od omilitico conosciuto all’epoca in cui i Vangeli sono stati scritti”. E neppure, come si è visto, possono essere frutto di affabulazione e/o fantasia poichè in tal caso quasi certamente sarebbero stati casuali e non “duplicemente strutturati” (dalla ghematrìjah ebraica più tardiva di essi, “e” dalla ancor più tardiva e cogente progressione di Fibonacci) in un contesto duplicemente concatenato ed ordinato, come l’analisi a posteriori, che ho mostrata, rivela invece che essi sono.
Essi corrispondono pertanto (non possono corrispondere altro che) a qualcosa di osservato e diligentemente annotato e non di inventato o comunque pensato.
La congettura che è stata avanzata (p.es Richard Gutzwiller) della correlazione “proporzionale”: “dodici” sporte di avanzi ? dodici Apostoli e l’analogo: “sette sporte di avanzi ? sette diaconi non è persusiva, e va pertanto respinta, intanto perchè è “riduttiva” nella “qualità” di tali associazioni con degli avanzi(!) ma principalmente perchè non dà conto alcuno del numero di cinque pani e di due pesci dei resoconti sinottici.
Ciò si affianca ai n/s occhi di “uomini moderni” allo stupore degli astanti dell’epoca, ed in quanto numeri non inventati nè programmati li rende una convalida dei fatti osservati e narrati, un indizio fortissimo della “storicità” di tali fatti, diligentemente annotati e trascritti così come osservati.
Ho intitolato questo scritto “Numeri” poichè di numeri vi si parla, ma tentazione assai forte era di intitolarlo “La conferma” poichè la struttura della sequenza “ben ordinata” di questi numeri è tale da costringere a riconoscerli dunque in nessun modo frutto di fantasia o di affabulazione, nè di dottrina od apologetica dei Redattori, ma allora non resta altra possibilità che intenderli quali essi sono; narrazioni veridiche di cose storicamente accadute nel segno e con l’invito alla misericordia.
1 Cfr.il cap.III pag.107 a firma di Giacoma Limentani in “Figli di Crono” - Ed.Cortina Editore - 2001
2 Ibidem
3 Kurt Goedel, matematico e Logico del XX secolo, era ebreo, e sfuggì per un pelo alla persecuzione nazista. Annoverato nell’ Olimpo degli studiosi di Logica, ha escogitato il metodo di aritmetizzazione che porta il Suo nome, probabilmente proprio perchè esso è affine alla gematrìjah rabbinica, di cui Egli, come ebreo, era sicuramente a conoscenza ed a cui forse era anche aduso.
4 In un contesto particolare essa consiste nella costruzione (= scrittura) di particolari numeri (i numeri di Goedel) che risultano specifici di ogni asserzione formale in ogni tipo di Logica. Si perviene in tal modo a riconoscere l’esistenza costante di asserzioni non decidibili (leggi: non dimostrabili ma neppure rifiutabili) in quella data Logica; quanto dire che la mente umana ha ben precisi ed invalicabili limiti di discernimento, non diversamente da come esistono limiti di percezione dei sensi (limite di risoluzione ottica, di percezione acustica, di distinguibilità tattile, ecc.). In questo caso (Goedel): limiti formali invalicabili dalla mente che si impegni nel processo della deduzione Logica, qualunque questa sia.
5 Da ibidem come in (1).
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ultimo aggiornamento
07 novembre, 2005