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religiosi nella Chiesa e nel mondo sono chiamati a riproporre agli uomini la sfida del Mistero Trinitario che è mistero di diversità e di comunione.I
Tendere alla santificazione
Vale anche per noi quanto Giovanni Paolo II ha detto sulla
santità nella Novo Millennio Ineunte: riproporre a tutti la misura alta
dell’esperienza cristiana. Abbiamo bisogno di santi capaci di creare e di
affrontare le sfide enormi del tempo presente. Ci riferiamo a quella santità che
dona un enorme potere, il potere di diventare figli di Dio (Gv. 1,12).
Ritorna allora legittima la domanda: il carisma fondazionale ci porta a
condividere l’esperienza spirituale e a trasmetterla altrove?
Nel cammino di crescita spirituale non ci dobbiamo confrontare, per un esame di
coscienza, solamente se abbiamo o no trasgredito i comandamenti del decalogo.
Uno dei peccati forse nascosto in noi consiste nel trascurare la propria
crescita e lo scopo della vita così come è determinato da Dio. C’è cioè anche il
peccato di rimanere immaturi spiritualmente, quando non si cresce al passo con i
propri anni.
Lasciandoci guidare quindi dall’approvazione in maniera definitiva dello Statuto
dei sacerdoti diocesani con voti - approvati dalla Congregazione per gli
Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica in data 26 maggio
2005, con le opportune modifiche richieste dalla commissione della nostra
Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso – ci verifichiamo ancora sul
carisma e le sue finalità, ma soprattutto sulle modalità di applicazione dello
stesso Statuto riservato ai sacerdoti diocesani con voti in seguito all’avvenuta
approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica.
Lo Statuto dei SDFAM nella sua prima parte (definizione, finalità e
testimonianza ecclesiale) richiama il tema di fondo che lega tutta quanta la
Famiglia dell’Amore Misericordioso.
È quanto ci viene esortato sia nelle Costituzioni nostre, sia negli innumerevoli
scritti della Madre fondatrice, sia, in ultimo, dagli stessi documenti
capitolari tra cui l’ultimo celebrato a Collevalenza nel luglio del 2004.
Non trascuriamo, tra l’altro, l’ininterrotta testimonianza sempre viva di quei
nostri fratelli (e nel caso dell’intera Famiglia religiosa dell’Amore
Misericordioso, anche delle consorelle) che ci hanno preceduto nel cammino verso
il traguardo celeste. È viva e forte la testimonianza che essi ci lasciano. E ci
affidiamo anche alla loro intercessione tenendoli come modelli di santità con la
loro vita religiosa vissuta.
Consapevoli, dunque, che ci lega un’unica vocazione, un medesimo dono di grazia,
una medesima chiamata e una stessa finalità, ci sentiamo spinti alla
santificazione mediante la missione da effettuare con modalità diversa.
Ciò che deve caratterizzare tutti è l’annunzio della "pienezza di bontà di Dio
Padre il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici: per questo in
Gesù Cristo si è rivelato particolarmente ricco di amore e di misericordia,
affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore non temesse di tornare
pentito alla casa del Padre, per esservi di nuovo accolto in qualità di figlio"
(Statuto, 3).
Chiamati per la Chiesa e per il mondo
Prendendo coscienza di ciò ci proponiamo alcune esortazioni
perché non cadano nel vuoto ma vogliono essere un invito a ravvivare il dono di
Dio in noi. Ci sentiamo tutti quanti una Congregazione chiamata per la Chiesa e
per il mondo.
La stessa vita consacrata va vista come un dono di Dio per la Chiesa
innanzitutto. Benché anche noi immersi nella morsa di una crisi numerica non
dimentichiamo di essere chiamati per il mondo e per la Chiesa dei segni
profetici.
Attraverso la propria vita manifestiamo l’amore di Dio per tutti gli uomini,
mantenendo viva nella Chiesa l’esigenza di riconoscere il volto di Dio nel volto
dei poveri.
È necessario, pertanto, per noi mantenere alto e sempre attuale il carisma
dell’Amore Misericordioso per il bene di tutti. Ma soprattutto è necessario
riproporlo come pegno di credibilità di tutta la Chiesa attraverso la
testimonianza che siamo chiamati a dare particolarmente ai sacerdoti e ai più
poveri.
Leggiamo infatti nelle Costituzioni: "vediamo nei sacerdoti i primi destinatari
e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini" (art. 18). Ed ancora: "i
figli dell’Amore Misericordioso «aiuteranno e conforteranno molte famiglie
bisognose ed afflitte; porteranno consolazione ai malati; presso di loro gli
orfani e i bisognosi troveranno la propria famiglia, i giovani la guida, i
deboli il sostegno e i caduti la forza per rialzarsi » … In un genuino clima di
famiglia dobbiamo identificarci con i poveri… Ogni bisognoso – povero, malato o
peccatore - deve trovarci sensibili e pronti nell’intervenire affinché ritrovi
la sua dignità di figlio di Dio, libero e responsabile per accogliere il suo
Amore" (art.17).
E riguardo a ciò non dimentichiamo quanto ha sottolineato in maniera particolare
l’ultimo capitolo generale dedicando un punto assai importante dal titolo: "I
FAM, una Congregazione che annuncia al mondo l’Amore Misericordioso,
scommettendo sui sacerdoti e sui poveri" (Documento, 15-19).
La relazione con Dio
Ritengo a questo punto sottolineare il tema dell’ottavo
capitolo generale FAM, celebrato nel luglio 2004: "ravviva il carisma di Dio che
è in te" ( 2Tm 1,6). È qui che bisogna giocare la partita: ripartire da una
profonda comunione con Gesù Cristo Amore Misericordioso. Ricordiamo a questo
proposito quanto soleva ripetere la Madre: "l’unión con el buen Jesés".
La nostra riqualificazione spirituale deve proprio partire dalla relazione con
Dio. Nella formula di consacrazione abbiamo detto al Signore: "Io in piena
libertà mi dono totalmente a Te". Quando incontriamo veramente Dio si fa
l’esperienza di un amore incondizionato. Ci sentiamo amati così come siamo, con
le proprie luci ed ombre, aspetti sani e feriti, e non sentiamo il bisogno di
essere diversi per poter essere amati. Non bisogna essere speciali per essere
amati da Dio poiché Dio ci ama così come siamo. Ed è perché afferrati da questo
mistero di amore che ci rendiamo conto di non potere vivere senza di Lui, senza
che Lui sia la persona più importante della nostra vita.
Riteniamo fondamentale, allora, risvegliare un vivo desiderio di comunione con
il Signore che stimoli la convinzione personale. Si tratta per ognuno di noi
scoprire, come per Gesù, che c’è una chiamata e una missione; comprendere che la
vita consacrata comincia in Dio. C’è, cioè, la priorità della chiamata e solo
dopo la sequela.
Occorre una coscienza viva di questa primarietà dell’intervento di Dio, della
Sua iniziativa gratuita che non si ferma solamente all’atto iniziale ma riguarda
un atteggiamento continuo di Dio. Con la docilità interiore allo Spirito Santo e
alle mediazioni di cui Egli si serve, saremo capaci con desiderio ardente di
rispondere fedelmente a Cristo che ci chiama per amore.
I santi ce lo insegnano; anche gli uomini del nostro recente passato. Di esempi
se ne potrebbero portare tanti. Ricordo, uno per tutti, Charles De Foucauld il
quale confidava: "dal momento in cui ho creduto in Dio, io sentii che non potevo
fare altro che dare me stesso a Lui in modo totale".
Tocchiamo dunque il richiamo della testimonianza ecclesiale che ci interpella
come risposta al dono della chiamata facendo propri i sentimenti di misericordia
di Gesù Cristo e attirare altri al suo amore.
Povertà per la vocazione
Un richiamo a vivere bene il nostro rapporto con Dio e dare
una chiara testimonianza di fede nella missione a cui siamo chiamati ce la dà
proprio Gesù con il suo rapporto libero e deciso nei confronti del Padre. Alla
stessa maniera ce lo chiede con radicalità. Ricordiamo il brano evangelico del
giovane ricco, quando quest’ultimo rivolge a Gesù la domanda: "Cosa devo fare
per avere la vita eterna?" (Mc 10,17). Gesù non si accontenta della semplice
osservanza dei comandamenti. La legge va osservata, va bene, ma ciò non compie
la piena relazione con Dio. Gli stessi comandamenti non cominciano con la
richieste di norme, ma con un comando: "Io sono il Signore, Dio tuo". Solo dopo
comincia il decalogo. Ciò che sta all’inizio è la richiesta di questa relazione.
La legge è nell’ambito della vita. La legge non è per la legge. Il tale che va
da Gesù ha osservato la legge, ma Gesù chiede un’altra cosa: andare a Lui,
andare oltre all’osservanza della legge. "Vendi; poi, vieni e seguimi". La
condizione è quella di essere poveri. Per seguire il Signore bisogna essere
poveri. Come per la chiamata dei primi discepoli: lasciare le reti, senza
compromessi. E questo viene ricordato in maniera particolare a noi religiosi, in
quanto chiamati e consacrati per la missione. Per seguire il Signore niente
compromessi perché il Signore è uno. Il discepolo ha un solo maestro: segui me!.
L’oggetto del seguire è lo stesso soggetto che chiama. Gesù sta chiedendo di
recuperare la dimensione primordiale: il cuore dev’essere di Dio.
Questo, per noi FAM, costituisce il senso del nostro "ripartire da Cristo",
seguendo l’esortazione di Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte.
A noi religiosi, dunque, il Signore sta chiedendo di recuperare la dimensione
primordiale: il cuore dev’esser di Dio. E ciò diventa poi importante per
ragionare teologicamente nell’esercizio della povertà da vivere come consacrati
e sacerdoti. Come è possibile seguire il Signore se il nostro cuore non è per
Lui? Quello che ognuno è, si manifesta anche per quello che ognuno ha. Potremmo
dire anche che ciò che possediamo diventa motivo di ciò che ci manca, in quanto
di ostacolo. L’alternativa è la ricchezza di Dio. Non pensare a essere meno
ricchi o no, ma una scelta di fondo: Cristo. Questa è la sfida a cui tendere.
Lasciare tutto, il presente, il futuro, i progetti. Al discepolo, al consacrato
quindi, interessa stare con il Maestro. Altrimenti ragioniamo riguardo alla
povertà con elementi umanistici. San Paolo ce lo ha ricordato facendo
riferimento a Gesù: "Da ricco che era, si è fatto povero" (2 Cor 8,9). La nostra
povertà dev’essere ad immagine della povertà di Cristo: il Figlio Gesù,
obbediente al Padre. Gesù che cosa ha fatto? L’elemento straordinario ed
originario presente nei vangeli è il fatto che Gesù chiama Dio "Abbà". La
povertà di Cristo è questa obbedienza alla volontà del Padre. Questa obbedienza
è stata resa possibile. A noi è stato concesso di fare nostra la risposta del
Figlio al Padre.
Ci dovremmo sentire, come Famiglia religiosa, a farla diventare quindi nostra.
Questa dovrebbe diventare cioè la nostra povertà. Si è ricchi, allora, nella
misura in cui si è poveri. Solo dopo, quindi, potremo parlare del distacco dalle
cose materiali e l’impegno ad una vita povera di fatto, da condursi in operosa
sobrietà. La misura delle cose è conseguenza, non la causa.
La dimensione profetica della vita spirituale passa perciò dalla povertà
cristiana. Anche per noi religiosi ci può essere la tentazione dell’accumulo
delle cose materiali determinato dalle preoccupazioni e dalla paura del futuro
ma ciò mette in gioco la relazione con il Signore. Non dobbiamo avere paura del
futuro se diamo fiducia alla parola del Signore. Solo il Cristo rimane il
necessario; tutto il resto continua ad essere valido ma viene affettivamente ed
effettivamente dopo.
Quale modello di comunità per i sacerdoti diocesani
Ciò che mi accingo a dire adesso riesce un po’ difficile e
forse anche un po’ rischioso. Spero di mantenermi comunque entro i limiti
dell’ortodossia.
Faccio riferimento a quanto voluto dalla Madre in riferimento ai sacerdoti
diocesani appartenenti alla Congregazione FAM.
Penso che questa nuova forma di appartenenza tra l’altro adesso con diritto di
piena cittadinanza per il conferimento datole dall’autorità ecclesiastica –
risponde a qualcosa che si prepara per le comunità del futuro. Se guardiamo
infatti l’attuale forma di vita religiosa ne risulta che questa è una risposta
storica e non un modello a priori. Le forme istituzionali possono essere
transitorie, non è garantita la loro perennità. Diversi istituti religiosi,
infatti, sono consapevoli di ciò e cercano di portarsi a modelli diversificati e
meno statici. Potrà darsi, cioè, che alla staticità subentri la dinamicità ,
cioè la capacità di adattamento continuo delle condotte, piuttosto che una
semplice applicazione di quanto precedentemente fatto.
Ho trovato interessante uno studio in tal senso di Padre Rino Cozza, il quale ha
tentato di dare una risposta e ha tentato di individuare possibili linee di
riflessione e ricerca.
Alla domanda come saranno le comunità del futuro, l’autore spiega che "il saper
stare, qui, ora, comporterà una capacità di considerare attentamente le
situazioni contingenti e ricercare in loco soluzioni adeguate attraverso la
scomposizione delle risposte concettuali preconfezionate dalla tradizione, dopo
aver saputo leggere la realtà a più livelli scegliendo poi sulla linea del
possibile piuttosto che del perfetto. Per tutto ciò è richiesta una intelligenza
in azione che predisponga momenti, cerchi soluzioni, elabori progetti. Il che è
possibile attraverso un gruppo comunitario dalle interazioni fondate sulla
fiducia, e soprattutto significativamente ancorate a un preciso territorio
perché oggi i progetti nascono da un intreccio fra ecclesiologia e vita
consacrata, non solo nei grandi principi ma anche nelle realtà più locali e
particolari. I nuovi modelli di vita religiosa saranno nuovi modelli di identità
ecclesiale per i quali diocesanità non vorrà dire dispersione ma ricupero del
valore della chiesa locale" (Le Comunità del futuro, in : Testimoni,
15 Nov., 19, p.12-13).
Anche se l’autore fa riferimento in modo particolare all’alleanza profetica tra
laici e religiosi per intraprendere nuovi percorsi di comunione, ne viene fuori
certamente una domanda: sappiamo essere persone aperte alla novità, forti della
propria identità?
E ciò vale soprattutto per noi, per la Congregazione FAM che vede nascere nel
suo seno questa nuova forma di appartenenza. Ritengo che tutti siamo chiamati ad
interrogarci su questa nuova figura di consacrati FAM, religiosi cioè in senso
stretto e sacerdoti diocesani FAM.
La novità a cui ci chiama il tempo presente e che stiamo vivendo ( ma non
dimentichiamo che in questo caso si tratta di una ferma volontà della Madre
poiché chiestole dal Signore) è di presentare il carisma dell’Amore
Misericordioso come progetto capace di generare identità autentiche.
Attenzione, però. Se da una parte il nostro carisma non deve identificarsi
chiudendosi, dall’altro questa nuova forma non deve considerarsi nata da
stanchezza. Si tratta di apertura al dono dello Spirito e di rinnovamento per
rendere sempre visibile ed attuale il carisma in questo momento di creatività
culturale che ci spinge a nuovi orizzonti,
Il quadro descritto, però, non ci deve far pensare che ineluttabilmente a questo
sono ricondotti tutti i religiosi, perché grande esempio ed impareggiabile
stimolo riceve la Chiesa da questa forma di vita consacrata fino ad ora condotta
e assai collaudata.
Il problema che adesso ci poniamo, è un altro. Per il fatto che si è avuta ora
l’approvazione definitiva dei sacerdoti diocesani all’interno della
Congregazione FAM, nonostante siano stati istituiti dalla Madre l’8 febbraio
1954 a Fermo, viene da chiedersi dove consiste questa intuizione profetica della
Madre, che vedeva nei sacerdoti diocesani inseriti a pieno titolo nella
Congregazione FAM non solo i "destinatari" del carisma ma anche i "soggetti".
E’ importante cioè cogliere la peculiarità, l’originalità e il bisogno di quest’altra
forma di vita religiosa che non si dissocia dalle altre ma la completa. Non
sappiamo quali saranno le comunità religiose del futuro, ma sappiamo che questa
forma approvata arricchisce certamente la Congregazione stessa e risponde in
pieno alle finalità del carisma.
Per comprendere meglio ciò dobbiamo fare riferimento certamente allo Statuto
recentemente approvato, che va necessariamente applicato in ogni sua parte dai
sacerdoti diocesani FAM innanzitutto. Se si tratta di una modalità nuova che va
a congiungersi alla precedente, senza per nulla sminuire, o peggio ancora volere
eliminare la forma precedente secondo lo spirito delle costituzioni, è
necessario una maggiore presa di coscienza da parte di tutti i membri della
Congregazione FAM per incoraggiarla e favorirne lo sviluppo. Va richiesto
particolarmente ai sacerdoti diocesani che ne fanno parte di "offrire una chiara
e tipica testimonianza ecclesiale conforme alla natura della vita consacrata"
(Statuto,7).
Con l’ultimo Capitolo Generale FAM si è approfondito questo aspetto e si è
discusso sia in riferimento a quanto la Congregazione è chiamata a compiere sia
in riferimento all’applicazione dello Statuto da parte degli stessi interessati.
Dal documento finale si legge infatti:
"È molto importante collaborare con i SDFAM nel portare avanti la missione
sacerdotale …In questa linea sentiamo il bisogno di inventare qualcosa e farlo a
livello congregazionale" (Decisioni capitolari, pag.16).
Iniziative, comunque, in questo senso se ne stanno conducendo già da tempo. Si
apprezza soprattutto la condivisione del carisma tra gli stessi membri, il
cammino di formazione permanente che in modo comunitario viene da tutti fatto, i
raduni spirituali compresa la terza settimana ormai collaudata di novembre che
vede radunati a Collevalenza i sacerdoti diocesani con la delegazione d’Italia
FAM, iniziative caritative in favore delle missioni tenute dalla Congregazione
stessa, particolarmente in Brasile, India e Romania, esercizi spirituali e
visite periodiche di confratelli che vanno a trovare altri confratelli. Da
ultimo sta partendo anche l’esperienza del progetto comune del cammino
vocazionale per giovani che vede interessati quanti guidano le varie comunità
parrocchiali e hanno dei gruppi giovanili. Ma con ciò rimane ancora l’appello
lanciato dal Capitolo generale: inventare qualcosa e farlo a livello
congregazionale.
L’approvazione definitiva dello Statuto, però, richiama particolarmente e
direttamente i sacerdoti diocesani FAM ai quali è diretto lo stesso Statuto. A
questi si chiede innanzitutto la stretta osservanza dello Statuto, che nella sua
forma espositiva si presenta lineare e secondo lo stile degli altri statuti ma
che ha bisogno di essere tenuto in grande considerazione poiché diventa lo
strumento di santificazione attraverso il quale si persegue il carisma al quale
siamo chiamati. Attraverso la sua applicazione, ogni sacerdote diocesano FAM non
solo si sentirà in piena comunione con la stessa Congregazione e si sentirà
sollecitato a vivere con la testimonianza della propria vita sacerdotale ad
incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore
Misericordioso del Signore verso i sacerdoti e i poveri, ma si sentirà meglio
inserito come membro della Famiglia stessa che lo sa posto in avanguardia
inserito nel proprio presbiterio, come espressione della famiglia religiosa .
Naturalmente ci sono degli accorgimenti che bisogna adesso fare e mi riferisco
alla conduzione della vita comunitaria e del rapporto vivo e fraterno che
bisogna continuamente mantenere con la Congregazione. Ai sacerdoti diocesani
viene adesso chiesto di passare a delle proposte concrete per potere
attualizzare quanto chiesto dal Capitolo generale: inventare qualcosa e farlo a
livello congregazionale. Non si tratta forse di inventare in senso stretto
quanto di ordinare, di risistemare, di programmare in maniera comunitaria, di
fare esperienze concrete di vita comunitaria per esempio secondo le modalità e
le possibilità che ogni gruppo sacerdotale di una stessa zona pastorale può
attuare, di condividere in modo comunitario qualche progetto di
microrealizzazione in favore delle missioni tenute dalla Famiglia religiosa
stessa, di vivere uno stile di vita sacerdotale secondo gli obblighi della
consacrazione. Ogni gruppo sacerdotale, per esempio di ogni diocesi, deve
impegnarsi a fare vita di comunità, tenendo conto certamente degli impegni
pastorali, ma nell’ottica comunque di quanto detto prima, una forma di vita
comunitaria che punti a degli appuntamenti di vita fraterna infrasettimanali con
condivisione delle esperienze pastorali, pasto in comune, preghiera e formazione
permanente. Si dovrà tendere, poi, se possibile a costituire una comunità di
soli sacerdoti diocesani con voti che già di fatto risiedono in uno stesso
luogo, e strutturarla a norma delle costituzioni (Cfr. Statuto, art. 26). Ma fin
d’ora comunque si rende necessario stabilire la comunità di appartenenza di
ognuno con un responsabile guida nella conduzione della vita fraterna.
Tutta la Congregazione, insomma, deve sapere che "l’unione alla Congregazione
pone in grado i SDFAM di offrire una chiara testimonianza ecclesiale, conforme
alla natura della vita consacrata" (Statuto, 7) e che "entrando a far parte
della famiglia dei consacrati, essi debbono tendere con rinnovato impegno alla
propria santificazione, così da conseguire una maggiore armonia tra vita
interiore ed azione apostolica, al fine di operare più efficacemente per il bene
delle persone loro affidate e per l’edificazione della Chiesa" (Statuto, 4).
Concludendo, va fatto intanto un sincero augurio per primo ai sacerdoti con voti
che vengono accolti e riconosciuti all’interno della Congregazione FAM;
l’augurio poi si estende all’intera Congregazione che si vede crescere nel
proprio interno con questa realtà di fratelli che operano più direttamente
inseriti nei propri presbiteri diocesani al fine di testimoniare e comunicare il
medesimo carisma dell’Amore Misericordioso. La Madre di certo di questa
approvazione ne è contenta. Necessita, adesso, sollecitare il passo per un più
prezioso contributo di ognuno in modo da formare un coro, una sintonia meglio,
per cantare nella Chiesa la misericordia di Dio mostrata da Cristo Gesù. Con la
stessa sollecitudine di Maria, donna del primo passo.
È importante, allora, riconoscere questo momento storico dell’approvazione dello
Statuto come "storia di salvezza", itinerario che ci apre strade nuove,
attraverso cui il Signore servendosi di ciascuno di noi fa raggiungere ad ogni
fratello, sacerdote o povero, l’amore misericordioso di Dio.
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ultimo aggiornamento
10 gennaio, 2006