Sperare a Collevalenza
Carissimo,
lo so, noi... giochiamo in casa. Mi diceva
un amico ammalato: "Quando penso a Dio, mi metto di buon umore".
È il Signore la nostra speranza, la presenza reale, vera,
effettiva, in mezzo a noi, di Cristo risorto, al cui braccio é appesa la
resurrezione degli uomini e delle cose.
C’è, poi, la profezia, la testimonianza, ci sono sulla terra
le presenze teologali della speranza. Come l’amabilissima Madre, che qui, a
Collevalenza, ha costruito l’icona della misericordia. Lo svelamento di un Dio
che ha le braccia rotte dall’amore, che ama "come se non possa essere felice
senza di noi".
È questa misericordia che ci impegna. Ed è la nostra capacità
di fare amore, giustizia, condivisione, perdono, che diventa la trincea della
speranza. Proprio come afferma la "Dives in misericordia", l’enciclica
che Giovanni Paolo II ebbe a proclamare in questo Santuario, come "particolare
compito" della speranza.
Certo sono tante le disperazioni dentro di noi e dentro la
mondialità del nostro tempo. Eppure la più profonda certezza è che l’umanità
cammina verso la sua riuscita definitiva.
A noi è data la responsabilità di rifondare ogni giorno,
nella complessità, nel dolore, nella lotta, le ragioni della speranza, e però ci
è data anche la fede della speranza. È la mamma che aspetta un bimbo, che è
sicura, che sa che c’è. Bisognerà attendere, ma certamente verrà alla luce.
Così Benedetto XVI in un incontro con il clero di Aosta:
"Dobbiamo prendere a cuore le difficoltà del nostro tempo, trasformarle,
dobbiamo oltrepassare questa galleria, questo tunnel, con pazienza, nella
certezza che Cristo è la risposta e che alla fine apparirà di nuovo la sua
luce".
Sì, siamo chiamati ad essere gli abitanti della speranza.
Nino Barraco
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