UNA PAGINA DI VANGELO
 

    a cura di Ermes M. Ronchi   

 

Dal Vangelo di Lc 22, 24-30:
Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: " I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.

Da un cuore squarciato la salvezza

il nostro è il Dio differente: è il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perché là va ogni suo amato figlio

Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono pane. Così fan tutti, tutti. Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione. I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza» (Bonhoffer). Esigenza di ogni vera innamorata sequela non è ammirare il Signore, ma accompagnarlo, mentre si consegna alla Notte, mentre è l’Abbandonato che si abbandona all’Altro per gli altri: è il grande principio biblico della imitazione di Dio. E so che non capirò mai del tutto, ma so anche che Cristo non è venuto nel mondo perché lo comprendessimo, ma perché ci aggrappassimo a lui, afferrandoci alla croce e lasciandoci semplicemente trasportare da lui, su in alto verso il grande Regno della vita.
«Tu che hai salvato gli altri, salva te stesso, se sei il Cristo». Per ben tre volte queste parole aggrediscono il crocifisso. Sono il ritornello fascinoso e terribile che accompagna Gesù dai giorni del deserto: «se sei il Cristo, fai un miracolo, conquistaci, imponiti, sii il più forte, scendi dalla croce – lo dicono tutti, capi, soldati, malfattore – allora crederemo che sei tu il Messia». Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe dalla croce. Lui, no. Solo un Dio non scende dal legno, solo il nostro Dio. Il nostro è il Dio differente: è il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perché là va ogni suo amato figlio. Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all’uomo che è in croce. Perché l’amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è di essere con l’amato. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio, è lo svelamento supremo di Dio. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante.

«Ricordati di me», prega la paura dell’uomo. «Sarai con me», risponde l’amore. «Ricordati di me», supplica il malfattore. «Oggi sarai con me, in paradiso», assicura l’Innocente. E si preoccupa, fin dentro l’ultima agonia, non di sè, ma di una speranza per chi gli muore a fianco. Lì, in quel malfattore giustiziato, è stato consacrato il mistero della persona umana: nel suo limite ultimo l’uomo è ancora amabile, ancora salvato. Nessuno è perduto per sempre, nessuno potrà andare così lontano da non poter essere raggiunto: sarai con me. Le braccia di Gesù, distese e inchiodate in un abbraccio che non può rinnegarsi, dicono solo accoglienza che non esclude, porte dell’Eden spalancate per sempre, cuore dilatato fino a lacerarsi molto prima del colpo di lancia: genesi dell’uomo in Dio. Sono i giorni del nostro destino: l’uomo nasce dal cuore trafitto del suo creatore.

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ultimo aggiornamento 19 marzo, 2006