La lettera

 

Il paese della mondialità

    Carissimo,

    mi parli del tuo paese. Sentimenti, ascolti, preghiere. Le immagini, le voci, il silenzio sulla strada, di notte. La memoria delle radici, l’odore del fieno, il sogno dei deboli, la carrozzella dell’amico, la testimonianza di un amore più forte del dolore.
    Il dono di Qualcuno, dell’Altro, la gioia di rivivere i primi anni, il Bambino in braccio alla Madonna, il grazie come conclusione.
    E però sono state le ragioni quando dici che hai per paese il mondo.
    Certo, come si fa a vivere felici? Eccola la guerra, la fame, il terrorismo… la mondialità a casa nostra. Ci appartengono, certo. Ci interpellano. Colpevoli o innocenti. Israele e Palestina, Bush e Saddam, al Qaeda, Hamas, Hezbollah, il Libano e la terra di Gesù, le ragioni della pace, contese, complesse, terrificanti. Ed è la morte. Crudele, sempre assassina.
    Hai ragione, sì. Sono immagini, sono grida che ci raggiungono. Che ci riempiono di colpa. La tragedia, l’esodo senza fine dei clandestini, il cimitero sommerso, di donne, di bambini, di cadaveri buttati a mare, per violenza, per povertà, per disperazione.
    Il profitto lurido degli scafisti, il racconto delle drammatiche storie dei naufraghi sui barconi, i dispersi senza numero, centinaia, a non finire.
    La guerra e il terrorismo, il mare e la strage, il diritto di tutti a vivere in giustizia, in libertà. E, poi, tutte le altre cronache quotidiane, le follie di ogni giorno, di questo tempo senza regole, angosciato e feroce, senza certezze, in cui l’insignificanza della vita mette a rischio il futuro stesso.
    Il tuo paese… lo capisco. L’esperienza di un rapporto umano, con il cielo, con la strada. Ma anche la sofferenza della terra, che diventa condivisione, scelta, lotta, capacità di credere che il futuro del mondo sarà di chi saprà amarlo di più.

Nino Barraco

 

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggiornamento 15 novembre, 2006