LA PAROLA DEI PADRI
sant'Agostino, vescovo

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. Caillau-Saint-Yves 2, 92; PLS 2, 441-442)

S. Agostino nacque a Tagaste, in Africa, nel 354. Trascorse una adolescenza inquieta sia intellettualmente che moralmente, finché, convertito alla fede, nel 387 fu battezzato a Milano dal vescovo Ambrogio. Ritornato in patria, condusse vita ascetica. Eletto poi vescovo di Ippona, divenne esempio del suo gregge. Per 34 anni lo formò con i suoi numerosi discorsi e scritti, con i quali combatté fortemente contro gli errori del suo tempo e illustrò sapientemente la fede. Morì nell’anno 430.

Aspetta lietamente la gioia dopo la tristezza

 

 

Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: Pietà di me, o Dio! Nel giorno dell’angoscia io cerco te, o Signore, tutta la notte le mie mani si protendono a te e imploro:
Pietà di me, o Dio!
(Cfr. Sal 76, 6-7. 3; 50,

Tutte le volte che sopportiamo angustie o tribolazioni, queste costituiscono per noi un avvertimento e nello stesso tempo un mezzo per correggerci. Infatti anche la Sacra Scrittura non ci promette pace, sicurezza e tranquillità; anzi il vangelo non ci nasconde le tribolazioni, le angustie e gli scandali. Assicurò però che «chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 10, 22). Dal primo uomo non avemmo alcun bene, anzi ereditammo la morte e la maledizione, da cui doveva venire Cristo a liberarci.
Perciò non lamentiamoci e non mormoriamo, o fratelli. Ce ne mette in guardia anche l’Apostolo dicendo: «Mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore» (1 Cor 10, 10). Che cosa di nuovo e insolito, o fratelli, patisce ai nostri tempi il genere umano, che non abbiano patito i nostri padri? Anzi possiamo noi affermare di soffrire tanto e tanti guai quali dovettero soffrire loro? Eppure troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli. Ma si può essere sicuri che se costoro potessero riportarsi all’epoca degli antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente. Se, infatti, tu trovi buoni quei tempi che furono, è appunto perché quei tempi non sono più i tuoi.
Dal momento, infatti, che sei già libero dalla maledizione, che possiede già la fede nel Figlio di Dio, che sei già stato iniziato e istruito nelle sacre Scritture, non vedo come tu possa pensare che Adamo abbia conosciuto tempi migliori. Anche i tuoi genitori hanno portato l’eredità di Adamo. Ed è proprio Adamo al quale fu detto: Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane e lavorerai la terra da cui sei stato tratto; essa spine e cardi produrrà per te (cfr. Gn 3, 19. 18).
Ecco che cosa ha meritato, che cosa ha ricevuto, ecco che cosa gli ha inflitto il giusto giudizio di Dio.
Perché allora credi che i tempi passati siano stati migliori dei tuoi? Considera bene che dal primo Adamo sino all’uomo odierno non s’incontra se non lavoro, sudore, triboli e spine. Cadde forse su di noi il diluvio? Son venuti forse su di noi tempi tanto terribili di fame e di guerre, come una volta e tali da giustificare il nostro lamento contro Dio a causa del tempo presente?
Pensate dunque che sorta di tempi erano quelli. Sentendo o leggendo la storia di quei fatti, non siamo forse rimasti inorriditi? Perciò abbiamo piuttosto motivo di rallegrarci, che di lamentarci dei nostri tempi.

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ultimo aggiornamento 18 dicembre, 2006