24° anniversario della morte della Madre
11 Febbraio 2007
Omelia di P. Aurelio Pérez
In Dio la nostra speranza
Il messaggio che la Parola del Signore ci offre in questa domenica, può essere riassunto dalle parole che abbiamo ripetute nel Salmo responsoriale "Beato chi pone la speranza nel Signore".
Una domanda che possiamo fare a noi stessi, molto semplice, alla luce di questa Parola di Dio è: "noi, in chi poniamo le nostre speranze? Su che cosa appoggiamo la nostra vita? Che cosa è che ci da sicurezza?
Il Profeta Geremia, nella prima lettura, dice una parola molto forte: "Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e allontana dal Signore il proprio cuore"; e paragona quest’uomo ad un arbusto del deserto, il tamerisco, che abita una terra "dove nessuno può vivere". Invece, contrapposto a colui che si fida solo di sé stesso, "è benedetto l’uomo che confida nel Signore": il Signore è la sua fiducia, egli è come un albero piantato lungo l’acqua, rigoglioso, che dà frutti anche in tempo di siccità, proprio perché si fida del Signore e pone la sua speranza in Lui.
Dove poniamo, noi, il fondamento della nostra vita? E’ una domanda importante. Vedete il Signore vuole per noi solo il bene, la benedizione. Madre Speranza, che portava non solo nel nome questo atteggiamento di totale fiducia nel Signore, diceva che Dio è un Padre buono che vuole la felicità dei suoi figli. In questi giorni noi ricordiamo i 24 anni della morte di lei, e ringraziamo il Signore perché attraverso la sua figura materna ci ha fatto conoscere questo messaggio che è al cuore del Vangelo: Dio non è un giudice severo, qualcuno che vuole fare i conti sui nostri peccati, ma è davvero un Padre buono che vuole il nostro vero bene, la nostra felicità, ed una felicità piena e duratura.
Allora cos’è questa maledizione, "maledetto l’uomo che confida nell’uomo"? Gesù, nel Vangelo di oggi, le Beatitudini secondo Luca, esprime lo stesso messaggio con altre parole: "Guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame". Chi è, secondo il Vangelo, il ricco, il sazio, colui che ride, espressione di una vita superficiale, gaudente e disperatamente cieca? E’ appunto colui che confida in se stesso e non nel Signore.
Che cosa è, dunque, questa maledizione o questo "guai!", se il Signore vuole davvero il nostro bene? E’ la realtà che noi sperimentiamo, quando ci allontaniamo dal Signore. Lui è il Dio "amante della vita" (Sap 11,26), la fonte di ogni benedizione. Lui non vuole assolutamente maledire nessuno. Allora allontanarsi dal Signore significa allontanarsi dalla vita, dalla benedizione, dalla gioia, dalla pace, perché è Lui la nostra forza, è Lui la nostra sicurezza. E quando ci allontaniamo dalla vita e dalla benedizione automaticamente cadiamo nella morte e nella maledizione.
Se noi appoggiamo la nostra vita sulle nostre povere forze, prima o poi facciamo l’esperienza deludente di cui ci parla la Parola del Signore.
Per avere la vita e la benedizione, Gesù ci indica la strada maestra: "Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio". Il povero secondo il Vangelo, è in fondo colui che si fida del Signore totalmente, che pone la propria esistenza in Dio.
"Beati voi ora che avete fame". Chi si sente sazio, appagato, non sente il bisogno di nessuno, neanche di Dio. Il Signore invece guarda verso l’umile e il piccolo, soprattutto quando ha fame e piange.
"Beati voi quando gli uomini vi odieranno vi rifiuteranno e vi insulteranno… rallegratevi in quel giorno ed esultate…"
Che paradosso questa strada del Vangelo! E’ la strada che Gesù stesso ha percorso, quella che M. Speranza e tutti i santi hanno percorso, sulle orme del Cristo.
Come è diversa questa strada da ciò che l’ambiente in cui viviamo ci propone ogni giorno, dove sembra che la felicità dipenda dal successo, dal benessere, dalla ricchezza! Il Signore ci invita ad avere uno sguardo più profondo e vero, teso a capire e sperimentare che in Lui ci viene donato tutto, la gioia e la vita in pienezza, cioè la benedizione.
Qualcuno potrebbe obbiettare: ma tutto ciò non è smentito dall’esperienza quotidiana? Chi ci offre la garanzia che questa promessa di vita piena non si riveli illusoria?
S. Paolo nella seconda Lettura, ci offre la risposta: questa nostra speranza è riposta in una presenza viva, quella di Cristo Risorto. Lui ha vinto la morte, e con essa ha vinto ogni povertà, ogni fame, ogni lacrima e ogni lacerazione nostra. La Resurrezione di Cristo è la nostra speranza, perché in Lui anche noi risorgeremo e già ora partecipiamo della sua vittoria. Lui è in mezzo a noi, vivo, e porta avanti la storia e la vita di ognuno di noi e del mondo intero, anche quella piena di lacrime, di sofferenza, di contraddizioni. Lui è la nostra forza. Lui ha detto un giorno: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, Io vi ristorerò".
Oggi la Chiesa celebra anche la giornata del malato. I nostri fratelli che sono nella sofferenza, ci ricordano quanto è fragile la condizione umana, quanto è debole, dal suo apparire in questo mondo fino all’ultimo respiro. Un bambino che nasce è nella totale fragilità, un uomo che muore è nella totale fragilità. L’inizio e la fine della nostra vita sono caratterizzati da una povertà estrema1.
"Benedetto l’uomo che confida nel Signore"... perché allora il mistero della vita, che include anche il mistero della sofferenza, trova la risposta vera.
Tante volte noi facciamo fatica ad accettare questa condizione e fa fatica soprattutto l’uomo del nostro tempo, caratterizzato da una specie di delirio di onnipotenza, da una visione prometeica di sé stesso: si crede un Dio e non gli è facile accettare questa fragilità della condizione umana, che ci ricorda che siamo creature deboli, ma nello stesso tempo amate immensamente, da Dio, quindi riscattate da Lui con tutta la nostra povera umanità e destinate alla gloria. La conseguenza della non accettazione della nostra fragilità è il rifiuto della vita quando questa si presenta irrimediabilmente malata, non autosufficiente, non utile né produttiva.
Allora, mentre oggi pensiamo ai nostri fratelli malati, chiediamo la grazia di poter accogliere con umiltà e con tanta fiducia, questo amore del Signore che ci viene donato, e diventare anche strumenti della carità di Dio, dell’attenzione premurosa, del servizio alla vita. Domenica scorsa abbiamo celebrato la giornata della vita, oggi celebriamo la giornata dei malati: più una persona è indifesa, fragile, malata, sofferente, più il Signore ci chiede di assisterla, curarla, amarla dall’inizio fino alla fine della sua vita.
Permettete anche un ricordo particolarmente importante per la nostra Famiglia religiosa: esattamente oggi, l’11 febbraio di 50 anni fa, Madre Speranza, ispirata dal Signore, dava vita a un ramo molto particolare delle Ancelle dell’Amore Misericordioso: le sorelle "inviate con una missione speciale a vivere ed agire nelle strutture e attività temporali". "La finalità specifica di queste religiose è quella di vivificare cristianamente, dal di dentro, la società e le diverse professioni". Facciamo loro i nostri migliori auguri e chiediamo a Maria Santissima, in questa memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes in cui sono state fondate, che le faccia crescere in santità e fedeltà a questa missione di stile "laicale", così profeticamente urgente per il nostro tempo.
Ci conceda il Signore la beatitudine, la gioia di riporre in Lui totalmente la nostra fiducia e la nostra speranza. Amen.
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ultimo aggiornamento
06 aprile, 2007