P A S T O R A L E g  i  o  v  a  n  i  l  e

p a s t o r a l e  g i o v a n i l e

     Sr. Erika di Gesù, eam

 

Parole,
         Parole
                  Parole

 

Tutto per Amore

 

«Parole, parole, parole»: titolo di una vecchia canzone.

Mi è tornata in mente giorni fa, mentre cercavo canzoni sulla parola.

Interpretata da Mina e da Alberto Lupo, riporta il dialogo – si fa per dire – di una coppia: lei sfoga ironicamente la sua rabbia accusando l’altro di essere solo un parolaio, lui la implora di essere ascoltato e intanto sciorina "caramelle"… di parole.

Parole, parole, parole; parole soltanto parole, parole tra noi.

Parlare meno: è forse questa la cura?

A fine gennaio, ci siamo affacciati al V convegno nazionale organizzato a Roma dalla Conferenza Italiana Superiori Maggiori (CISM) dal titolo per noi familiare: «Camminando con i giovani sulla strada di Emmaus».

Sono stata favorevolmente colpita dall’intervento di Don Walter Lobina, sacerdote della Società San Paolo: «Linguaggi della comunicazione e il mondo giovanile».

Le parole ascoltate in aula, la discussione che ne è seguita nel gruppo di lavoro con altri religiosi, hanno acceso dentro di me un’inquietudine nuova, che non mi fa stare tranquilla.

Nella mia missione, dedico gran parte del tempo a leggere, meditare ed elaborare discorsi.

I discorsi sono pronunciati e diventano catechesi; facciamo attività di laboratorio, per dare ai giovani la parola, una parola concreta, che si possa tradurre in immagini, gesti, suoni palpabili, vicini alla loro esperienza.

Ma chi sono i riceventi del messaggio? Li conosciamo veramente? Li conosco? A chi stiamo parlando?

Citando il famoso romanzo del canadese Douglas Coupland, "Generazione X" (1991), Walter Lobina ci ha aiutato ad aprire gli occhi sui nostri, miei interlocutori: i giovani.

Difficile dare definizioni. Impossibile, forse, perché la generazione x parla la sua lingua, non si fida degli adulti, anzi, li sfida.

È una generazione tutta digitale, dove l’illusione di creare ciò che non c’è, ha cambiato l’etica, non più fondata sul primato dell’essere (etica filosofica), quanto su quello del fare (etica tecnologica).

È una generazione che vive il virtuale come "luogo dove esserci", che grida le sue emozioni; che naviga in ogni "finestra" e vuole apparire in tutte le "vetrine", non ultima la magica TV.

Internet, rete universale, insegna "fisicamente" ai giovani – anche il virtuale è fisicità, ci spiegava Don Lobina - che non c’è un centro, non c’è un assoluto, non c’è un relativo, non un percorso privilegiato; non c’è un’identità stabile, non una gerarchia; non una cultura migliore di altre e davvero… non c’è più religione!

E quando noi, aspiranti evangelizzatori dei giovani, diciamo loro che c’è un centro, un assoluto, che c’è un percorso privilegiato, ecc. ecc., siamo smentiti dai fatti, dalla mentalità corrente, dall’impero della tecnica che ha definitivamente cambiato il sistema di pensiero, la nostra civiltà.

Don Walter ci aiutava a capire, in fondo, che le nostre rimangono soltanto parole, parole, parole…

Sì, è vero, anche noi abbiamo cercato di stare al passo con i tempi, con il magro risultato di aver messo «Dio nella rete. Ma Dio nella rete non ci sta».

Lui è trascendente.

Non dobbiamo farci il "vitello d’oro" di turno: corriamo il rischio di ingoiare la polvere di un dio virtuale. Allora avremmo perso i giovani. Peggio ancora: avremmo perso Dio.

Don Walter ci invitava a conoscere da vicino il mondo giovanile.

A trattare i giovani come interlocutori alla pari, dar loro la parola; stimare la loro capacità di appassionarsi, di fare cultura.

E per quanto riguarda noi adulti, ci esortava a ritrovare la coerenza dei segni. I segni della celebrazione eucaristica, ad esempio.

Gesto e parola si accordano; la comunicazione è coerente, può essere efficace.

Non perdiamo, dunque, le parole di sempre, i gesti della tradizione. Ma dobbiamo curarli, facendoli vibrare di significato autentico.

Per passare finalmente dalla Messa della noia alla Messa della gioia! Anche in questo «tempo "eucaristico"» di Quaresima! (cf. Benedetto XVI, Udienza generale del 21 febbraio 2007, mercoledì delle Ceneri)

La Parola di Dio non è mai soltanto parola. È fatto, evento, storia. È carne.

I giovani attendono testimoni credibili, che presentino loro Dio, attraverso la vetrina di una Chiesa bella, coerente, vera.

Testimoni-finestre, spalancate sul Mistero che trascende ogni rete.

Educatori credenti che li aiutino ad entrare nella storia della salvezza.

Ogni generazione deve affrontare l’incognita della salvezza o della dannazione.

Ogni generazione, però, è responsabile dei figli da lei generati.

Mi pesa questa responsabilità, gravemente.

Ogni giorno, al fianco dei giovani, tento di aprire il cancello della mia finestra.

Loro, pochi in verità, entrano per navigare nella rete; mostrano parole, musica, immagini di canzoni; comunicano il loro linguaggio. Non mancano mai le sfide, le provocazioni; a volte mi sento persino vittima di una "violenza" che non mi appartiene e lotto con tenacia per preservarmi dal contagio…

Ma il Samaritano Gesù non ha fatto così. Non dobbiamo temere il contagio, metterci piuttosto sulla strada dell’incontro.

Gesù è stato un così buon viandante e ottimo navigatore. Camminando verso Emmaus, o sul lago di Galilea…

Con Lui, la barca della Chiesa navigherà altri mari e non potrà certo temere di perdersi nei fili intricati della rete…

La vera rete è il roccolo di Dio.

Che cos’è il roccolo? La rete che ci serve per pescare i giovani e fargli vedere, toccare, gustare Dio.

Tutti loro, come noi, sono un po’ smarriti, perché senza Dio.

«Il mio segreto è che ho bisogno di Dio, che sono stufo marcio e non ce la faccio più ad andare avanti da solo», scrive Coupland nel romanzo «La vita dopo Dio» (1996).

Allora, amici, ecco la cura: parlare, poco o tanto, è indifferente. Sarebbe già molto essere coerenti. Ma non basta.

Lasciamo parlare Dio. Parola tra noi. E tacciano le nostre parole.

Buon cammino verso la Pasqua!

Sr. Erika di Gesù, eam

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ultimo aggiornamento 11 aprile, 2007