UNA PAGINA DI VANGELO

 

a cura di Ermes M. Ronchi

Dal Vangelo di Luca 15, 1-32.:

(...) Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

Quando l’unica giustizia è la "follia" dell’amore

 

Io voglio bene al prodigo. Il prodigo è storia di tutta la terra, di umanità dissacrata eppure incamminata. Se ne va un giorno in cerca di felicità, ma con una idea sbagliata: crede di trovarla nelle cose e nel piacere. Ma il dramma è che le cose hanno un fondo, e il fondo delle cose è vuoto. E si ricorda del pane di casa. Non torna per amore, torna per fame. Non torna per pentimento, torna perché ha fallito. Più che l’amore è la disperazione della morte accanto che lo fa muovere.

 

Ma a Dio non importa il motivo per cui ti metti in viaggio, basta che tu ritorni.

E il padre gli corse incontro. Dio è ridotto a essere niente, altro che pazienza eternamente aperta. Ci attende su ogni strada d’esilio,

su ogni muretto di qualsiasi pozzo di Samaria,

ai piedi di qualsiasi albero di sicomoro.

La casa del padre confina con ogni nostra casa.

 

Ci attende non per rimproverarci, ma per una festa.

E per salvarci dal nostro cuore quando il nostro cuore ci accusi,

per salvarci perfino dal guardare indietro con troppo rimorso.

Un’accoglienza fatta senza neppure parlare di perdono,

di misericordia,

senza assolvere,

senza giudizio alcuno,

senza chiedere rimorsi o propositi.

 

È giusto il padre in questa parabola?

No, non è giusto. Ma la giustizia non basta per essere uomini.

E tanto meno per essere Dio.

 

Per essere uomini non basta essere virtuosi.

C’è qualcosa che va oltre la virtù.

L’amore non è giusto; l’amore non è una virtù; è altra cosa; una divina follia.

C’è qualcosa di più che umano nell’uomo ed è l’amore.

Qui, solo qui, la vita celebra la sua festa.

Non è la punizione che libera dal male, non la paura, è, invece, un supplemento di gioia; non è il castigo che libera dal male, ma la seduzione di un Dio dall’amore più grande. Essere cristiani non è un dovere, è una festa.

C’è poi ancora un fratello che arriva dai campi, ed entra in crisi.

 

Onesto e infelice.

Quanti cristiani, onesti e infelici, i cristiani del capretto, che immiseriscono Dio.

Onesto e infelice perché non ama ciò che fa.

Fa il bene, ma lo fa per forza.

Per lui la bella vita è l’altra, quella del fratello: soldi, feste, donne.

Per lui il male è più bello del bene.

Sempre bravo e lavoratore, ma avrebbe tanto voluto fare un’altra vita.

Le sue sono le parole di un fallito pensa che il male è più bello del bene.

Infatti i grandi ideali o appassionano o devastano.

Non fare il bene per forza, lo faresti male.

Il segreto di una vita riuscita è impegnarti ad agire per ciò che ami e amare ciò per cui ti impegni (Dostoevskij).

 

La parabola rimane aperta: avrà capito il fratello maggiore?

Padre, non sono degno... ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la tua veste nuova, la tua festa. Sono l’eterno mendicante, l’eterno ingannatore. Sono la tua agonia, sono la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere padre, a questo modo, un modo davvero divino.

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ultimo aggiornamento 29 maggio, 2007