STUDI

   Don Alfonso Cammarata     

"Da vasi di ira a vasi di misericordia"

(Rm 9, 22-23)

 

Estratto dalla Tesina

di Licenza presso la Pontificia Università Gregoriana

Istituto di spiritualità

Roma 2006/2007

 

III CAPITOLO

 

 

La misericordia di Dio sperimentata e proclamata da san Paolo

"Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione,

il quale ci consola in ogni nostra tribolazione" (2Cor 1,3-4)

"Immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura" (Col 1,15; 2Cor 4,49), il Figlio unigenito del Padre, "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza" (Eb 1,3), "facendosi carne e ponendo la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14), si è fatto sin dalla sua comparsa nel mondo il rivelatore del mistero del Padre "delle misericordie" (2Cor 1,3): colui, cioè, che è fonte della misericordia e la riversa sull’uomo1.

Paolo fa esperienza di questo Dio attraverso la luce e la voce di colui che perseguitava, Gesù nei suoi discepoli, nella sua Chiesa. Sperimenta che questo Dio è Padre, dispensatore di amore e di salvezza per tutti coloro che lo riconosceranno nel suo Figlio. È Padre prima di tutto perché genera il Figlio all’interno del mistero trinitario e ce lo dona come espressione massima del suo amore, nel mistero dell’Incarnazione:

"Cristo Gesù pur essendo di natura divina,

non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio;

ma spogliò se stesso,

assumendo la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini;

apparso in forma umana,

umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte

e alla morte di croce.

Per questo Dio l’ha esaltato

e gli ha dato il nome

che è al di sopra di ogni altro nome;

perché nel nome di Gesù

ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra;

e ogni lingua proclami

che Gesù Cristo è il Signore,

a gloria di Dio Padre" (Fil 2,6-11).

Il mistero dell’Incarnazione esalta la paternità di Dio: prima di tutto ce la rivela, offrendosi e facendoci conoscere il suo Figlio; in secondo luogo perché, associandoci al Figlio, dilata la sua paternità. Proprio perché Dio è Padre, non può non amare il suo Figlio e, in lui, tutti gli uomini; proprio perché Padre, Dio è pieno di misericordia, assiste e consola tutti i credenti in Cristo:

"Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione" (2Cor 1,3-5)

 

3.1 - Paolo accecato dalla luce misericordiosa del Padre

3.1.1 - Atti 9,3-9

"Paolo, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Rispose: "Chi sei, o Signore?". E la voce: "Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare". Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda" (At 9,3-9).

Il racconto della vocazione-conversione2 di San Paolo viene riportato tre volte negli Atti degli Apostoli: la prima volta al capitolo 9 e il narratore è Luca; le altre due narrazioni sono riferite da Paolo stesso nella sua autodifesa davanti alla folla dei giudei che vuole lapidarlo (cfr. At 22,3-21) e davanti a Festo e Agrippa, autorità romane che lo giudicano (cfr. At 26,12-13).

Paolo ricorda quei momenti per accusarsi di cecità e di peccato ed esaltare la misericordia divina; Luca li riporta per dimostrare come il messaggio e l’apostolato di Paolo derivano da una scelta del Signore.

Il protagonista della scena è Gesù che prende l’iniziativa, che si interpone sulla strada di Saulo, che obbliga Ananìa a cambiare il suo giudizio rispetto a Saulo, che sceglie Saulo come suo strumento per la missione. Il luogo del racconto è il viaggio, il cammino in quanto tale, la strada lungo la quale Saulo incontra e si scontra con la via.

L’episodio avviene sulla via di Damasco, in un’atmosfera di luce sempre maggiore: la luce del cielo (At 9,3), diventa una grande luce (At 22,6), una luce più splendente del sole (At 26,13). La luce richiama la prima opera della creazione, l’evento Cristo luce del mondo, l’evento della rinascita nel battesimo: siamo di fronte a una nuova creazione, a una nuova nascita.

L’esplosione di luce provoca la novità, ma per farla diventare esperienza, cammino e crescita concreta ha bisogno della voce che si esplicita nella Parola. Come all’alba della creazione, anche qui sono presenti sia la luce che la Parola. Ma perché Saulo possa ascoltare al Parola, deve prima cadere e prostrarsi a terra ("cadendo a terra udì una voce" At 9,4a). Solo cadendo a terra Saulo ode la voce, nell’umiltà, nel silenzio interiore, nella serenità. Solo un cuore pacificato nel silenzio della quiete interiore può ascoltare veramente il Signore.

E, nel silenzio della prostrazione causata dalla manifestazione della luce, Saulo avverte di essere interpellato personalmente "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (At 9, 4b). Questo Gesù che si rivela come Amore crocifisso, come bellezza crocifissa provoca Saulo: Perché mi dai la caccia?3

Paolo è, infatti, invitato con forza e con dolcezza da Gesù a riconoscerlo nella persecuzione del corpo mistico. Il Gesù che si rivela a Paolo Amore bello, riverbero del Padre e dello Spirito è già il Gesù capo del corpo mistico. Perseguitare i discepoli significa perseguitare il Maestro. Saulo non riconosce subito l’identità del Maestro, ma intuisce che sta lottando con uno più forte di lui da gettarlo a terra e chiede "Chi sei?" (At 9,5a). Nella risposta di Gesù4 c’è il perdono che sconvolge Saulo. Egli sta perseguitando i discepoli di Gesù, li sta trascinando in prigione per essere uccisi e il Perseguitato, invece di reagire con la stessa violenza, gli si propone davanti come un interlocutore che intende continuare un dialogo di salvezza e di vita. E questo diventa evidente nella terza affermazione della voce: "Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare" (At 9,6). Questa è una richiesta che può fare solo chi ha perdonato: alzati, cioè risuscita, perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva, aveva già detto Ezechiele. Questo amore folgora ma non uccide, non annichilisce, caso mai fa cadere in terra, cioè fa serenamente ritornare a contemplare, a gustare, a prendere in mano la creta di cui siamo fatti, l’humus di cui siamo plasmati.

Ora Saulo si lascia condurre per mano: ha smesso di essere l’uomo orgoglioso che si impone sugli altri, ed è un uomo completamente preso dalla Parola, ed esprime la sua docilità alla Parola lasciandosi condurre per mano dagli altri. A Damasco rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda (At 9,9): Paolo fa un’esperienza sepolcrale di morte che lo associa ai "tre giorni" di morte di Gesù. E sono questi i giorni che segnano il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo5.

Nella città di Damasco c’era un discepolo di Gesù di nome Anania. Il nome Anania significa "JHWH fa grazia" (‘ânan–Yah). La grazia di JHWH a favore del persecutore passa infatti attraverso il discepolo perseguitato. Nel contesto di una visione, a quest’uomo viene affidata la missione di andare a cercare Saulo; e Saulo, in una visione parallela, viene informato della venuta di Anania. La missione di Anania presso Saulo in preghiera consiste in primo luogo nel restituirgli la vista con l’imposizione delle mani.

L’uomo di Dio esprime la sua riluttanza, ricordando il passato di Saulo e le sue iniziative contro "i santi di Gerusalemme" che invocano il nome del Signore (AT 9,13.14)6. Come risposta a Anania viene fornito il necessario chiarimento: "Costui è per me un oggetto di elezione". Il verbo al presente sottolinea l’iniziativa divina di questa scelta gratuita: lo è già, senza aver fatto nulla per meritarlo. Anzi, il fatto di essere stato scelto per rendere testimonianza, per sostenere il Nome appare come un carico da mettersi sulle spalle. Saulo condividerà la sofferenza di colui che, per primo, porta la luce al popolo ebraico e alle nazioni: il Cristo (At 26,23; cfr. Lc 2,32).

Anania impone dunque le mani a Saulo e gli manifesta la sua elezione da parte del Signore che gli è apparso lungo la via: Gesù vuole aprirgli gli occhi e riempirlo di Spirito Santo per farne un servo testimone. Accogliendo la Parola di grazia che gli viene trasmessa da Anania, Saulo diventa capace di vedere. Con il battesimo accede alla grazia dei tempi nuovi ed entra a far parte della Chiesa. Gli cadono dagli occhi delle squame, come avvenne al vecchio Tobi (Tb 3,17; 11,12), la cui guarigione preannuncia la restaurazione di Gerusalemme e la salvezza delle nazioni (Tb 14,5-7). La cecità di Saulo non è la privazione fisica della vista, ma l’ostacolo interiore che gli impedisce di accedere alla vera conoscenza di Cristo.

L’esperienza interiore di Paolo ci dice che possiamo dire, forse solo una cosa: Chi sei, Signore? Credevo di conoscerti... Io ti conoscevo per sentito dire ora i miei occhi ti vedono per quello che sei e i miei occhi ne provano pentimento su polvere e cenere.... (cf Gb 42,5) e si riparte....!!!

Cristo illumina Saulo e lo trasforma da uomo che cerca i cristiani per perseguitarli a discepolo che li cerca per farsi aiutare, lo invita a presentarsi alla comunità per poi testimoniarlo davanti al mondo. La sola causa del cambiamento di Saulo è l’azione di Dio, completata con un pasto finale7 che potrebbe essere eucaristico8.

 


1 Cfr. A. SISTI, voce Misericordia, in Nuovo Dizionario di Teologia biblica, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A. Ghirlanda, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, 981-982.

2 Il termine conversione non è evidentemente univoco: per un pagano si tratta del passaggio dall’idolatria al riconoscimento del Dio unico; per un giudeo (come per un cristiano) si tratta di un ritorno a Dio (= teshûbâh, dal verbo shûb = ritornare), del pentimento dopo il peccato e della decisione di collocarsi di nuovo nel rapporto di alleanza dell’amore personale di Dio. Questo racconto degli Atti delinea nello stesso tempo una vocazione e un ritorno

3 Il verbo usato è proprio quello della caccia sanguinaria, il cacciatore che non è soddisfatto finché non ha visto il sangue della preda...!!

4 Gesù si presenta con l’indicativo Io sono: un’espressione caratteristica che rimanda a JHWH (Es 3,14). Saulo viene rialzato da terra (egerthe); ha gli occhi aperti, ma non vede nulla. Questa situazione richiama l’indurimento d’Israele così come viene descritto nell’episodio della vocazione del profeta Isaia: "Guardando guarderete, e non vedrete" (Is 6,9). Non dobbiamo considerare questa cecità come un castigo di Dio, che punisce in tal modo la malvagità del persecutore, ma come la prima tappa dell’elezione e di una grazia in cammino. Saulo infatti non potrebbe accogliere la guarigione e il perdono di Dio se prima non gli fosse rivelato che è cieco e ribelle. Questa rivelazione è un dono gratuito e il punto di partenza della salvezza.

5 Cfr. M. RUSSOTTO, La ferita del sì. Sette racconti di vocazione, Ed. Rinnovamento nello Spirito Santo, Roma 2005, 69-71.

6 L’obiezione è un elemento classico delle teofanie dell’invio in missione: Mosé (Es 3,13; 4,1) o Isaia (Is 6,4) sono riluttanti perché sanno di dovere affrontare un popolo ribelle; in parecchi altri casi vengono avanzati dei dubbi sulle capacità che si presumono richieste all’inviato (Gen 15,6; Es 4,10; Ger 1,6; cf. la reazione di Zaccaria e di Maria in Lc 1,18.34).

7 Nel cibo preso da Saulo si può vedere un’allusione all’eucaristia. Il testo non contiene la parola, ma ne suggerisce il senso. Gli altri due brani degli Atti in cui si parla di cibo si inseriscono rispettivamente in un contesto di frazione del pane (2,46; cf. 20,7.11) e di azione di grazie (27,33.34.36).

8 Il racconto vuole giustificare il passaggio del Vangelo dagli ebrei ai pagani. E’ Gesù che lo vuole e per questo trasforma il persecutore in missionario, l’estraneo alla comunità di Gerusalemme e ai Dodici in anello di congiunzione tra il gruppo apostolico e le comunità non credenti. Per questo è introdotto nella Chiesa di Damasco da Ananìa e in quella di Gerusalemme da Barnaba. L’effettivo inserimento appare dall’appellativo "fratello" con cui lo chiama Anaìa e dall’essere associato alle stesse sofferenze patite da Cristo: "e io gli mostrerò quanto deve soffrire per il mio nome" (At 9,16). M. RUSSOTTO, op. cit.,65.

 

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ultimo aggiornamento 30 luglio, 2007