ESPERIENZE

     Paolo Risso

 

Elogio di un inquisitore

 

Da secoli si è detto e scritto sull’Inquisizione, quasi sempre in male. Però io dai miei studi di storia, conosco dei Santi Inquisitori e li prego tutti i giorni tra i miei amici in Paradiso: "Santi Inquisitori, aiutatemi a custodire integra la Fede e la mia vita cristiana-cattolica in questo tempo di enorme confusione". In questi giorni, ho scoperto un Inquisitore per il quale ho provato persino tenerezza.

 

Incarico arduo e grave

Ai primi di maggio 1921, Mons. Raffaello Carlo Rossi, da circa un anno, Vescovo di Volterra, 45 anni di età, si trova sereno nel suo vescovado. Riceve una lettera dal S. Uffizio che lo incarica, a nome del Papa Benedetto XV, di condurre un’accurata inchiesta su un frate di 34 anni, P. Pio da Pietralcina, cappuccino del convento di S. Giovanni Rotondo (dov’è mai questo posto?) il quale – dicono – avrebbe le stimmate. In base alle conclusioni della sua indagine, il S. Uffizio dovrà emettere il suo giudizio e, eventualmente, prendere provvedimenti.

Mons. Rossi sobbalza sulla sedia e scrive subito al Card. Merry del Val segretario del S. Uffizio, chiedendo di essere sollevato dall’incarico "di ardua gravità". Ma Merry del Val gli impone di accettare. Mons. Rossi, ormai Visitatore apostolico, - grande Inquisitore – si reca a Roma dove esamina il voluminoso dossier di documenti sul frate, in cui lodi e accuse si contrappongono. Quindi parte per S. Giovanni Rotondo. Vi arriva, prevenuto verso P. Pio, ma quando lo vede e comincia a interrogarlo, subito gli appare "buono, sincero, semplice e perfino simpatico".

Lo osserva in tutto, durante le preghiere, durante i pasti e la ricreazione, durante la celebrazione della Messa e mentre si reca a confessare. Lo interroga sotto giuramento, in modo esigente e severo: 142 domande in tutto, un vero "bombardamento". Vuol vedere e toccare le "piaghe" che P. Pio ha alle mani, ai piedi e al petto. Prende nota di tutto. Nel medesimo tempo, con la stessa severità,, interroga i frati di S. Giovanni Rotondo sulla loro vita religiosa e su quanto fa il loro confratello. Mons. Rossi è stupito nell’apprendere che P. Pio ha convertito diverse persone, anche illustri intellettuali, dall’ebraismo e dal protestantesimo, provenienti dall’Inghilterra, dall’Olanda e persino dall’Estonia. Incredibile a dirsi, ma vero.

Convoca parroco e vice-parroco a S. Giovanni Rotondo, i quali appaiono invidiosi dell’opera del frate. Mons. Rossi annota tutto senza che gli sfugga nulla. Chi tra i lettori vuol sapere per filo e per segno come andò quell’inquisizione nel giugno 1921, legga il bellissimo libro di F. Castelli, P. Pio sotto inchiesta. L’autobiografia segreta, Ares; Milano, 2008.

Mons. Rossi è ricco di dottrina e di saggezza, profondamente retto e agisce soltanto per la gloria di Dio. Non conosce doppiezza e non ha secondi fini. Limpido e puro di cuore. "Segretamente" ha sentito che in P. Pio è presente Gesù stesso che continua la sua passione. Così, pur con prudenza, conclude:

"P. Pio è un buon religioso, esemplare, esercitato nella pratica delle virtù, dato alla pietà e elevato forse nei gradi di orazione più di quello che non sembri all’esterno; risplendente in particolar modo per una sentita umiltà e per una singolare semplicità che non sono mai venute meno, neppure nei momenti più gravi". "Lo straordinario che avviene in P. Pio non si può dire come avvenga, ma non avviene certamente né per intervento diabolico né per inganno o per frode".

Questo è il succo della relazione che Mons. Rossi manda al S. Uffizio dove il Card. Merry del Val e gli altri Padri Eminentissimi potranno leggere anche il racconto dettagliato della stigmatizzazione, fatto dallo stesso P. Pio:

"Il 20 settembre 1918, al mattino, in coro, mentre facevo il ringraziamento alla S. Messa… vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce… lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini specialmente di coloro consacrati a Lui e più da Lui favoriti… in seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a Lui che cosa potevo fare. Udii questa Voce: "Ti associo alla mia Passione". Scomparsa la visione, ho visto questi segni (=le stigmate) dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo".

 

Ma chi è l’Inquisitore?

Mons. Raffaello Carlo Rossi ritornò sereno a Volterra, lieto di aver visto, ascoltato e toccato "un angelo in carne", anzi un vero "alter Christus", anche nel suo corpo crocifisso. Ma chi era questo Vescovo austero, innamorato di Gesù e proprio onesto? Sì, onesto, perché anche un Vescovo per prima cosa dev’essere onesto, oggi e sempre, e non un maneggione!

Era nato a Pisa il 28 ottobre 1876 da Francesco e Maria Palamidessi. La sua famiglia benestante gli garantì un’ottima formazione. A 15 anni, sentì di essere chiamato dal Signore, ma suo padre gli impedì di entrare in Seminario. Carlo completò gli studi classici e si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, dove tra i suoi maestri ebbe anche Giuseppe Toniolo. A 21 anni, però, il 3 ottobre 1897, entrò tra i Carmelitani Scalzi con il nome di fra Raffaello. Novizio esemplare, il 20 settembre 1901, emise la professione perpetua. Il 21 dicembre dello stesso anno, fu ordinato sacerdote da Mons. Ferdinando Capponi, Arcivescovo di Pisa, e inviato a Roma a completare gli studi in Teologia Dogmatica e Morale alla "Gregoriana", dove ebbe tra i suoi docenti il futuro Card. Ludovico Billot, e strinse amicizia con illustri compagni di studio, come don Eugenio Pacelli, il futoro Papa Pio XII.

Fin dai primi incarichi, prima al Convento di S. Paolino a Firenze, poi come coadiutore al S. Uffizio, apparvero subito il suo sano equilibrio, la sua eccezionale dottrina, la sua santità di vita, le sue doti di governo, la sua perspicacia e saggezza, la sua dedizione totale a Gesù e alla sua Chiesa. Per questo, al S. Uffizio, altri importanti incarichi si susseguirono uno dietro l’altro: Consultore della Congregazione dei Seminari (1910), Visitatore apostolico del Seminario di Molfetta (1919), dove si distinse per la lucidità delle risposte date a alcuni problemi; contemporaneamente, Amministratore ordinario del Collegio Inglese a Roma, in modo brillante. Sempre, uomo di intensa preghiera, ottimo carmelitano, confessore e direttore spirituale ricercato dalle anime: dalla sua guida si usciva carichi di amore a Gesù e di configurazione a Lui.

Il 22 aprile 1920, è nominato Vescovo di Volterra. Non vuol saperne, ma Benedetto XV lo obbliga a accettare. Padre Raffaello si ritira in esercizi per prepararsi alla sua consacrazione episcopale. Scrive i suoi propositi:

"Da Vescovo terrò i miei occhi fissi in Gesù buon Pastore eterno delle anime, e negli esempi e negli insegnamenti del divino Maestro cercherò e troverò la norma del ministero episcopale. Guarderò agli Apostoli, dei quali sono successore indegno, e sarà per me incitamento a ben fare la rimembranza del loro zelo e della loro fortezza evangelica fino al martirio. Mi sarà di modello costante il santo Arcivescovo di Milano, S. Carlo Borromeo, del quale ebbi il nome nel santo Battesimo"’.

 

Tutto per Gesù Eucaristico

Un Vescovo che propone di tenere gli occhi fissi su Gesù buon Pastore, stupisce assai oggi, in un tempo come il nostro in cui prevalentemente si pensa alle aperture al mondo, al dialogo con tutti e ai valori umani, dimenticando spesso Gesù Cristo e Lui Crocifisso e Eucaristico, l’unico Tesoro, l’Unico Signore e Salvatore delle anime e del mondo.

Ancora nei suoi propositi, Mons. Raffaello Carlo Rossi aggiunge: "La mia vita di Vescovo si compendierà in tre parole: orazione, mortificazione e apostolato. Gli occhi miei saranno sempre elevati al Signore: VOGLIO VIVERE PRESSO GESÙ IN SACRAMENTO, consumarmi dinanzi a Lui nel silenzio dell’adorazione e dell’amore. In tutto e sempre mi mortificherò nelle grandi e piccole cose: dovere e necessità di un Vescovo più che per un religioso. Nell’apostolato non prenderò riposo: veglierò, assisterò, richiamerò. Predicherò sempre: vorrò educato all’apostolato il mio Clero: lo esigerò con un portamento attivo alla ricerca e alla custodia delle anime".

Giunto a Volterra, Mons. Rossi si impegna con grande fervore. Migliora la vita nelle parrocchie, favorisce le Opere Missionarie, soprattutto ravviva la devozione a Gesù Eucaristico: è il primo a dimostrare con il suo esempio l’importanza e l’efficacia della visita al SS.mo Sacramento, per i suoi preti e per tutti i fedeli. Profonde le sue energie nel Seminario e nella santificazione del suo Clero. Segue da vicino l’ordinamento della vita seminaristica, gli studi, i superiori e gli stessi allievi del seminario, uno per uno.

Appena tre anni così – mirabile pastore di anime – a immagine di Gesù, e già nel maggio 1923, è richiamato a Roma per ricoprire il prestigioso incarico di Assessore della Congregazione Concistoriale (l’attuale Congregazione per i Vescovi). Ormai appassionato alla vita di pastore nella sua diocesi, Mons. Rossi scrive al Card. De Lai: "Ormai vivevo della vita del ministero, che ha per me le più grandi e più sante attrattive, e sentirei il distacco dalle anime. Non mi dispiacciono gli incomodi e i pesi dell’apostolato: esercitarmi in esso senza riposo, come gli Apostoli e come S. Carlo, è un conforto e una consolazione per me".

Traccia la sua opera a Volterra: "Non cercai l’episcopato, ma ora che per volontà di Dio sono quello che sono, consumarmi per le anime nel ministero sarebbe il mio sogno. E consumarmi proprio qui in mezzo a questo Clero che mi sta sinceramente a fianco, a questo popolo che tante volte ho visto affollarmisi attorno e ascoltarmi, e soprattutto in mezzo ai miei buoni e cari seminaristi che sono tanta parte dell’anima mia. Prego il S. Padre che mi lasci in mezzo a questi figlioli, che vedo crescere sotto i miei occhi in numero e virtù.

Ma Pio XV è irremovibile. Fino al 1930, Mons. Rossi ricoprirà l’incarico cui è stato destinato. Ma lui vive sempre, come ha scritto, "presso Gesù in Sacramento".

 

Solo il Vangelo

"Il lavoro fu molto – scrive F. Castelli nel libro citato (pp. 282-283) a causa delle condizioni di salute del Card. De Lai, suo diretto superiore. La mole di lavoro giunse a tale livello che, impegnato come direttore spirituale di alcuni sacerdoti, fu costretto a ammettere di non avere più la possibilità di scriver loro in tempi ragionevoli. In particolare venne coinvolto nei lavori preparatori per la stipula del Concordato tra S. Sede e Italia e per il felice esito della trattativa conclusa l’11 febbraio 1929. Riconoscendo i suoi meriti, Pio XI lo nominò "primo rappresentante della Sede Apostolica per l’attuazione del Concordato".

Per l’altissima stima guadagnata, il 30 giugno 1930, venne elevato alla dignità di Cardinale con l’incarico di Segretario della Congregazione Concistoriale. Da allora, gli venne affidata la ponenza di un centinaio di Cause di canonizzazione; poi divenne presidente della Commissione cardinalizia per il Santuario di Pompei, del quale promosse l’ampliamento e la diffusione del culto. Promosse la riforma del Breviario e salvò da fine sicura la Pia Società di S. Carlo, fondata da Mons. Scalabrini. Fu per questa Famiglia religiosa una sorta di secondo fondatore".

In mezzo agli onori di cui fu ricoperto, il Card. Rossi continuò a essere umile e povero, come quando era semplice carmelitano. La sua camera da letto nel Palazzo della Cancelleria a Roma dimostrava che lui non voleva essere altro che un povero frate, con un letto poggiato su due cavalletti, una povera scrivania, una sedia e nulla di più.

Ai primi del 1947, cominciò a non stare bene. Per i suoi problemi di salute, dopo tanto lavoro, il medico di Pio XII gli consigliò riposo assoluto. Sembrò migliorare, ma il 17 settembre 1948 – 60 anni fa – a Crescano del Grappa dove era andato a riposarsi, si spense improvvisamente, con il sorriso sul volto. Sul suo tavolo di lavoro, c’erano solo il Vangelo, l’Imitazione di Cristo e, aperto, L’arte di ben morire" del Padre Petazzi, S.J., che stava meditando in quei giorni. Davvero, come aveva scritto nel 1920, "si era consumato davanti a Gesù, nel silenzio, nell’adorazione e nell’amore".

Del Card. Raffaello Carlo Rossi è in corso avanzato il processo di batificazione-canonizzazione: tra i suoi meriti anche quello di essere stato il primo a riconoscere a nome della Chiesa la verità e la santità di P. Pio. Il suo giudizio è stato pienamente condiviso dai Pontefici Benedetto XV, Pio XII e Paolo VI, e infine confermato in pieno da Giovanni Paolo II, il 16 giugno 2002, con la solenne canonizzazione: San Pio da Pietralcina, il santo più volte inquisito, nella gloria del Paradiso con il suo primo grande Inquisitore, che merita dunque il più alto elogio per la sua "inquisizione" e per la sua santa vita.

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ultimo aggiornamento 22 novembre, 2008