P A S T O R A L E |
g i o v a n i l e |
p a s t o r a l e g i o v a n i l e |
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Sr. Erika di Gesù, eam |
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Imparare dalla vita… una virtù.
Sabato mattina: ripenso agli ultimi venerdì trascorsi con i ragazzi.
L’incontro di catechesi sull’icona di Emmaus, la conoscenza dei vizi capitali figurati nelle "sette miglia" distanti da Gerusalemme; poi il gioco e la gioia chiassosa della mensa.
Tutti un po’ golosi, i ragazzi: beato chi si serve per primo e guai a chi arriva ultimo. Quel poco di vangelo ascoltato lascia soltanto un po’ di prurito all’orecchio…
In fondo, noi adulti non siamo diversi. Quante "esortazioni" della nostra cara Madre Speranza toccavano il tema del cibo, del comportamento a tavola…
Per finire la serata, ormai da un mese, vediamo la saga de "Il Padrino", film celeberrimo di Francis Ford Coppola…
La parte malata, violenta di noi è in fondo la più triste: ed il film ci dà materia per riflettere.
"La famiglia": quante volte ricorre sulla bocca di Michael Corleone, del padre Vito, protagonisti assoluti del film, questa parola…
- La famiglia: papà ha mai avuto paura di perderla? - chiede Michael alla madre anziana.
- La famiglia non puoi perderla mai, mai… - risponde la madre.
Ma non sarà così, purtroppo.
E non è così per molti ragazzi, che soffrono questa "perdita": nelle forme più varie, più o meno laceranti, ma tutte estremamente dolorose.
Nell’anno pastorale dedicato al "Padre", perché "Il Padrino"?
Che c’entra il Padre, per cui ogni creatura è bella ed amata, con il Padrino, per cui ogni creatura, anche il proprio fratello, è potenzialmente un nemico?
Che c’entra il Padre, tutto misericordia e perdono, con la logica vendicativa e spietata di una resa dei conti fino all’ultimo respiro?
Il tema della "paternità ferita" è stata oggetto di approfondimento e discussione, negli ultimi incontri con i giovani adulti, il mercoledì sera.
Abbiamo parlato della nostra esperienza, di quella perdita che ognuno ha subíto quando si è sentito deluso da genitori "diversi".
Sì, tutti avremmo voluto un padre diverso; eppure tutti dobbiamo imparare a ricevere almeno "un’oncia di eredità" da parte di quel padre, di quella madre che abbiamo.
Solo allora potremo diventare padri, madri a nostra volta.
Questa è la prima lezione della vita, ci assicurano gli esperti.
La vita non ci viene trasmessa da Dio in modo diretto.
Chissà perché, ma Dio si serve di loro: i genitori, mediazioni più o meno perfette, e comunque perfettibili.
La vita, però, quella è dono suo.
L’anima viene da Dio.
Questa verità, la portiamo scritta dentro.
E dentro, lì dove l’anima misteriosamente si coniuga con il nostro corpo e fa di noi la persona che siamo, lo sappiamo bene.
In quel luogo, non sussiste ferita.
Questo centro di congiunzione è abitato dal Padre…
Lui, il Padre, non possiamo perderlo!
Questo avrei voluto dire, testimoniare ai giovani adulti, mercoledì scorso.
Lo capisco, lo sento e non c’è pericolo di smentita per me.
Neanche se giungessi a perdere la fede.
Perché il Padre ha sacrificato il Figlio per difendere il carattere sacro di quel sigillo che Lui stesso ha impresso nel mio seno, nel mio cuore, nella mia anima, nelle mie viscere.
La vita - Dio stesso - ce lo insegna a modo suo.
Un modo assurdo, a volte.
L’ho letto negli occhi smarriti delle mamme, dei papà che hanno perso un figlio: ne ho incontrati molti, a novembre…
L’ho sentito nelle loro voci stanche, nel grido soffocato del nome del loro "bambino"…
L’ho visto nel padre che soffre per il figlio gravemente malato per incidente, nelle lacrime di sua madre.
Lo comprendo quando i ragazzi raccontano la paura della morte…
E quando, rivelando un coraggio da leoni… e da leonesse, diventano padri e madri dei loro parenti più fragili…
Anche "il Padrino" piange la morte dei suoi figli.
Ma soprattutto Lui, il Padre appare inconsolabile!
"Ha tanto amato il mondo" da darci il Figlio, fino a diventare Lui stesso uomo, passibile delle esperienza della perdita, della morte.
Ed è proprio nella perdita, nella morte che possiamo incontrarlo.
Per questo diciamo: Vieni, Signore Gesù!
Tu, che sei Padre, tu che conosci il patire, tu che attraversi la morte, vieni!
Vorrei darti appuntamento in quel luogo che abiti Tu solo.
E sentirti vicino anche quando sono lontano.
Perduto "mille miglia" distante da te.
Tu che sei e doni la vita, tu che sei e doni la gioia, tu misericordia e perdono, vieni!
Vorrei incontrarti su questa strada e non evitarti più quando mi compari davanti brutto, malaticcio, malfermo sulle gambe, ubriaco…
Sei Tu il mio prossimo. E non il mio nemico.
Tu sei mio Padre.
Con tanta gratitudine per tutti i nostri "padri"… e "padrini"!
sr. Erika di Gesù
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ultimo aggiornamento
16 dicembre, 2008