una pagina di vangelo a cura di Ermes M. Ronchi
Vuoi essere grande?
Diventa servo di tutti
Dal Vangelo di Marco 9, 30-37:
Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà". Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?". Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti ". E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".
"Per via avevano discusso chi fosse il più grande". Chi è il più bravo, il più capace,il migliore tra noi? È l’istinto primordiale del potere che si dirama dovunque, nella famiglia, nel gruppo, nella parrocchia, sul posto di lavoro, tra i ricchi e tra i poveri alle porte della chiesa, tra i potenti e tra gli schiavi.
A questo protagonismo che è il principio di distruzione di ogni comunità, Gesù contrappone il suo mondo nuovo. «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo, il servo di tutti». Il più grande è chi non si serve dell’altro, ma lo serve; chi non prende vite d’altri per i suoi scopi, ma suo scopo è la vita di qualcuno; chi saluta anche quelli che non lo salutano.
Che il servizio sia la realizzazione più alta del vivere poteva essere vero per Gesù. Ma per noi? Servire: verbo dolce e pauroso insieme, che evoca sforzo e sacrificio, croce e sofferenza. La nostra gioia è comandare, ottenere, possedere, essere i migliori. Non certo essere i servi.
E poi, servo "di tutti", senza limiti di gruppo, di etnìa, senza esclusioni, senza preferire i miei amici ai lontani, i poveri buoni ai poveri cattivi. La novità di Cristo: parole mai pensate, mai dette, liberate ora per raggiungere i confini del mondo intero. Sono quelle frasi abissali: o ti conquistano o le cancelli per paura che siano loro ad abbattere il tuo sistema di vita.
«Gesù prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciava dicendo: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me». Accogliere un bambino significa entrare nel suo mondo, grande appena quanto lo spazio dove arriva il grido con cui chiama la madre;
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il bambino che non basta a se stesso e•
vive solo se è amato;•
che riceve tutto e può dare così poco;•
improduttivo eppure tranquillo davanti al futuro,•
sicuro non di sé, ma dei suoi genitori;•
forte non della propria forza,•
ma di quella con cui lo sollevano le braccia del padre.La sua debolezza è la sua forza. «Se non diventerete come bambini», se non ritroverete lo stupore di essere figli, figli piccolini che sanno piangere, che imparano a ridere, figli la cui forza è il Padre, non entrerete nel Regno.
«Chi accoglie un bambino, accoglie me, accoglie il Padre». Mi commuove l’ottimismo di Dio: il bambino è sua immagine; non tanto l’uomo, ma proprio il bambino. L’eterno si abbrevia nel frammento, anche lui vive solo se è amato. L’immagine ultima del vangelo di oggi è Gesù abbracciato ad un bambino. In tutta la sua vita si è "affannato" ad annunciare che Dio è solamente buono, padre che scorge il figlio da lontano e gli si butta al collo, pastore in cerca della pecora perduta, che trova e se la pone sulle spalle. E che a noi non resta che farci prendere in braccio.
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ultimo aggiornamento
19 ottobre, 2009