2009 - 19 giugno - 2010 - ANNO SACERDOTALE |
P. Antonio Garofalo fam |
IL SANTO CURATO D’ARS
Attratto dall’amore per trasmettere misericordia
«Il Curato d’Ars, nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’Amore: Deus caritas est (1 Gv 4,8)».
Così scrive Benedetto XVI nella lettera indirizzata ai sacerdoti per l’indizione di un anno sacerdotale in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. In queste poche parole è tratteggiato il profilo sacerdotale di Giovanni Maria Vianney: un ardente, appassionato amore per il Signore e un bisogno di far sperimentare ai peccatori la bontà di Dio attraverso il ministero della riconciliazione.
Il Vicario Generale della sua diocesi inviandolo in quella piccola parrocchia, appena 230 anime, gli illustra la situazione poco esaltante, ma nello stesso tempo gli affida un compito non facile: «Non c’è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete». Consapevole della sua missione di pastore e pronto ad obbedire al mandato affidatogli, continuamente affida la sua parrocchia a colui che apre il cuore delle persone:
«Mio Dio, accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita!».La situazione della chiesa in Francia in quel particolare periodo non era dei più sereni: dopo la bufera della rivoluzione francese e il ciclone Napoleone, piano piano si stava ricostruendo sulle macerie. Ma prima di questi fatti dolorosi e tragici per la Chiesa, altri pericoli avevano attentato e minato la fede dei semplici. Mi riferisco al cosidetto "secolo dei lumi" con la diffusione delle loro idee perniciose e ancora prima al pericolo giansenista. Gli strascichi di queste idee errate avevano lasciato un segno.
Il Curato d’Ars si era formato alla scuola di Mons. Balley e in casa sua aveva respirato l’aria di un rigorismo ascetico. Anche molti buoni sacerdoti vivevano immersi in queste idee, ma non per questo si possono tacciare di giansenismo. Essi infatti non credono che solo un piccolo numero di predestinati si salverà e che tutti gli altri saranno irrimediabilmente dannati, essi prima di tutto credono all’amore di Dio verso tutti gli uomini, suoi figli, e che la misericordia trionferà sul male e sul peccato. Tuttavia non propongono una salvezza a buon mercato: sono precisi nel riaffermare il contenuto della nostra fede centrata sulla morte e risurrezione di Cristo e proprio per questo sono molto esigenti nei riguardi della condotta morale dei fedeli.
Questo clima si respira nella predicazione e nel catechismo; anche Giovanni Maria Vianney, almeno nei primi anni del suo ministero, non fa eccezione. Con la maturità umana e la grande esperienza fatta nel confessionale cambierà, e di molto, sia il suo insegnamento che il suo atteggiamento nei confronti dei penitenti.
Gianfrancesco Renard, seminarista a Lione, passa ad Ars i tre mesi di vacanza dell’estate 1818 e frequenta il parroco, che aiuta come può. A proposito della sua predicazione, egli scrive: «Si chiudeva in sagrestia per scrivere le istruzioni della domenica e impararle a memoria. Non le componeva: le prendeva dal corso di Istruzioni familiari cercando con gran cura di adattarle alle necessità dei parrocchiani. Là, da solo (...) egli si esercitava alla dizione e predicava come fosse sul pulpito».
Giovanni Maria Vianney è un prete del suo tempo e secondo gli insegnamenti ricevuti dal suo maestro, Mons. Balley, prepara con coscienza e responsabilità le sue prediche. Si serve dei libri di omiletica allora in circolazione e il suo lavoro, stressante, consiste nel prendere brani a destra e sinistra, nello stendere la sua omelia e nell’impararla a memoria. Alle nostre orecchie potrebbe apparire una predicazione estremamente severa e rigida, ma questo era l’ambiente e l’aria che in quel tempo si respirava. Certe esclamazioni fuori dal contesto in cui erano state pronunciate ci potrebbero portare fuori strada, ma per chi allora ascoltava forse erano salutari. Ecco come si esprimeva a proposito della partecipazione alla S. Messa: «Quanti cristiani escono di chiesa con forse più di trenta e cinquanta peccati mortali di quando vi sono entrati!». E a proposito della confessione, la sua specializzazione, parla di molti sacrilegi che si commettono e vorrebbe i suoi penitenti già convertiti:
«Si deve vedere in noi un completo cambiamento, altrimenti non abbiamo meritato l’assoluzione: e c’è da temere che il nostro sia solo un sacrilegio. Ahimè, sono pochissimi quelli in cui si può scorgere tale cambiamento dopo l’assoluzione! Mio Dio, quanti sacrilegi! Ah, se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una valida, come si convertirebbe presto il mondo! … Se non siete in queste disposizioni, non spingetevi oltre; o in caso contrario, abbiate il timore che le folgori del cielo cadano su di voi e vi gettino nell’inferno! … Quante anime nell’inferno ... I peccatori vi cadono di continuo, a migliaia. Quanti cristiani si dannano, quanti cristiani si perdono … si sono già perduti!».Ma il Curato d’Ars, non si limita a tuonare dal pulpito, come era allora consuetudine, trova altri canali per giungere al cuore delle persone, potremmo dire al di là dell’ufficialità di circostanza. Il Canonico Alfred Monnin, primo biografo del Santo, con uno stile ampolloso, proprio del tempo, così sintetizza la grande scoperta di Giovanni Maria Vianney: amare per farsi amare.
«Vi è per il buon prete un altro apostolato oltre quello del pulpito; l’apostolato della conversazione, quell’apostolato comune che si esercita sulla strada, nei campi, al focolare di famiglia, al capezzale dell’infermo. Chi potrebbe dire il numero delle anime ricondotte a Dio grazie a questa maniera di predicazione, soprattutto quando è ispirata dal cuore? Il nostro Santo aveva compreso che non avrebbe cominciato a fare del bene ai suoi parrocchiani, se non dopo essersi fatto amare. Ora, v’è un segreto per farsi amare, e il nuovo Curato d’Ars lo possedeva: egli amava.
Che fare per rendere gli uomini migliori? La risposta si trova in tutte le pagine del Vangelo: bisogna amarli, amarli ad ogni costo, amarli sempre. Dio volle che si facesse del bene all’uomo non in altro modo che amandolo. «Il mondo appartiene a chi più lo ama e meglio gliene dà la prova». La vita intera di San Giovanni Vianney ne fu una luminosa dimostrazione.
Come egli amò anzitutto i suoi parrocchiani! Appena stabilitosi fra loro, volle tutto vedere con i suoi occhi, tutto conoscere col suo cuore, tutto rallegrare con la sua presenza, farsi tutto a tutti per guadagnarli tutti a Gesù Cristo».
Chi parla in questo modo è un innamorato di Dio, uno che ha fatto una profonda esperienza di Dio. E’ talmente certo dell’amore di Dio che afferma senza paura di essere smentito dai fatti che non ci sono cuori così chiusi da non essere riscaldati da quest’amore. In mezzo a tante incertezze e confusione, l’unica consolazione e gioia viene dal sapersi amati da Dio e dalla grazia che noi abbiamo di poterlo ricambiare. «
O Gesù, conoscerti è amarti! Se sapessimo quanto nostro Signore ci ama, moriremmo di gioia! Non credo che ci sono cuori così duri da non amare, vedendosi tanto amati… L’unica felicità che abbiamo sulla terra è di amare Dio e di sapere che Dio ci ama».Il Santo Curato d’Ars nella sua lunga e profonda esperienza di pastore era arrivato a conoscere Dio come il migliore dei padri e anche la più affettuosa delle madri. La sua pace e serenità, la sua gioia proveniva dal proposito di compiere, sull’esempio di Cristo, la divina volontà. «Dio ci ama più che il migliore dei padri, più che la madre più affettuosa. Basta che ci sottomettiamo e ci abbandoniamo alla sua volontà, con un cuore da bambino … Se vogliamo testimoniare al buon Dio che lo amiamo, bisogna compiere la sua santa volontà».
L’insegnamento forte di grande intercessore ci viene da questa consapevolezza: «Gesù Cristo si mostra pronto a fare la nostra volontà, se noi cominciamo a fare la sua».
In questo estratto dal suo commentario al Padre Nostro ci mostra l’itinerario spirituale per la sua vita e il suo desiderio costante di compiere l’opera del Signore. «Siamo in questo mondo ma non siamo di questo mondo, poiché tutti i giorni diciamo: «Padre Nostro che sei nei cieli». Oh! Com’è bello avere un Padre nei cieli! «Venga il tuo regno». Se faccio regnare il buon Dio nel mio cuore, egli mi farà regnare con lui nella sua gloria. «Sia fatta la tua volontà». Non c’è nulla di così dolce che fare la volontà di Dio, nulla di così perfetto. Per fare bene tutte le cose, bisogna farle come Dio le vuole, in conformità piena con i suoi disegni».
Queste riflessioni, queste esperienze mistiche cercava di comunicarle prima ai suoi parrocchiani e poi ai pellegrini. E’ significativa la testimonianza di Caterina Lassagne circa il coinvolgimento del Curato, durante la predicazione, in quello che diceva: «Quando predicava sull’immenso amore del Signore, gli veniva un nodo alla gola e non riusciva piu a parlare: allora piangeva». E rifacendosi alla sua esperienza diceva con semplicità: «Il mezzo piu sicuro per accendere questo fuoco - l’amore di Nostro Signore - nel cuore dei fedeli, è spiegare loro il Vangelo». E a chi gli proponeva un attimo di sosta per riprendere fiato e pensare anche alla sua salute, rispondeva: «Quando si tratta di parlare del Buon Dio, ho ancora molta forza».
Il pensiero dell’amore di Dio l’ha accompagnato sempre, anche sul letto di morte. Dopo aver ricevuto l’unzione degli infermi, a chi gli chiedeva il perché delle sue lacrime, rispondeva: «Piango pensando a quanto è buono Nostro Signore a venirci a visitare nei nostri ultimi momenti».
L’esperienza dell’amore di Dio nella sua vita lo portava spesso ad esclamare:« Non capisco come si possa offendere Dio, è tanto buono! … Ditemi, amico mio, che male vi ha fatto nostro Signore che lo trattate in questa maniera?... Quanto siamo ingrati! Dio ci chiama e noi fuggiamo da Lui. Egli vuole renderci felici e noi non vogliamo la sua felicità. Ci domanda d’amarlo, e noi diamo il nostro cuore al demonio; utilizziamo per perderci il tempo che ci ha dato per salvarci; gli facciamo guerra con quegli stessi mezzi che ci ha dati per servirlo!».
Papa Benedetto nella lettera ai sacerdoti per l’indizione dell’Anno Sacerdotale afferma: «
I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento. Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale … ».L’abbè Monnin al capitolo 32° della sua biografia del Curato d’Ars afferma con sicurezza: «La vita di San Giovanni Maria Vianney passò nel confessionale. Delle diciotto o venti ore che componevano la sua giornata di lavoro, non si prendeva che il tempo per la meditazione, di pregare sul messale o sul breviario, e di fare a mezzogiorno un’apparenza di refezione. Non si sa comprendere com’egli uscisse da così lunghe sedute non affaticato, non tramortito».
Come nella predicazione, anche nel ministero della riconciliazione, all’inizio risente molto della sua formazione piuttosto rigida. E’ molto esigente, ma pian piano comincia a conoscere la pazienza di Dio e ripeteva spesso come un ritornello questa espressione: «Oh, la pazienza di Dio!». Egli stesso imparerà questa pazienza e modererà la sua intransigenza, fino al punto da confidare a fratel Atanasio:
«Come posso mai essere severo con persone che vengono da tanto lontano, fanno tanti sacrifici, e spesso devono venire di nascosto?».È passato il tempo della gioventù quando sull’esempio del suo maestro don Balley rimandava l’assoluzione anche di quindici giorni. Ora, con la grazia di Dio e illuminato dallo Spirito Santo, incoraggia alla comunione frequente e per quanto riguarda la penitenza a chi gli chiedeva perché era di manica larga rispondeva con umiltà: « Vi dico qual è la mia ricetta: do loro una penitenza piccola e il resto lo faccio io al posto loro ». E confessava: « Il buon Dio mi ha fatto vedere quanto gradisce che io preghi per i poveri peccatori … Se i peccatori vogliono venire, mi incarico io di fare penitenza per loro ». E invitava tutti alla mensa del perdono e della misericordia incoraggiando tutti, in modo particolare i grandi peccatori: « Fa più presto il Buon Dio a perdonare un peccatore pentito, che una madre ad afferrare il figlio caduto nel fuoco».
Nella lettera prima citata, il Papa richiamando il suo primo biografo, A. Monnin, afferma che: « La grazia che egli otteneva [per la conversione dei peccatori] era sì forte che essa andava a cercarli senza lasciar loro un momento di tregua! ». Infatti il Santo Curato d’Ars ripeteva che: « Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui ».
La confessione durava in genere meno di cinque minuti, raramente arrivava a dieci; un sacerdote penitente afferma: «In cinque minuti ho gettato la mia anima nella sua». E a chi la mandava per le lunghe con chiacchiere inutili ripeteva: « Evitate tutte le accuse inutili che fanno perdere tempo al confessore, stancano quelli che aspettano il loro turno e spengono la devozione ». Ai penitenti chiedeva chiarezza e sincerità. Da parte sua a volte faceva una domanda pertinente, qualche parola di esortazione e poi l’assoluzione.
Certamente nel suo ministero di confessore aveva ricevuto da Dio un carisma particolare; da una parola, da un accenno o direttamente ispirato arrivava al nocciolo della questione e illuminava la persona per quel suo problema particolare. A volte gli capitava di piangere, durante la confessione, proprio perché non vedeva un pentimento sincero e la superficialità nel confessare i propri peccati. La contessa des Garets ci dice che « a volte, le lacrime erano la sua unica esortazione », quello che disse a un peccatore ostinato: « piango per quello che tu non piangi ». E a chi si presentava per sfida o per curiosità non faceva sconti: « Mettiti qui e confessati », tra lo stupore e la confusione prima e la gioia della pace riacquistata poi.
Il Santo Padre Benetto XVI concludendo la sua lettera di indizione, incoraggia i sacerdoti a rimettere al centro della propria vita spirituale e dei piani pastorali proprio il sacramento della riconciliazione sul modello di Giovanni Maria Vianney avendo sempre grande attenzione per tutte le varie categorie di persone che si avvicinano al torrente inesauribile della misericordia di Dio. «Dal Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del "dialogo di salvezza" che in esso si deve svolgere. Il Curato d’Ars aveva una maniera diversa di atteggiarsi con i vari penitenti. Chi veniva al suo confessionale attratto da un intimo e umile bisogno del perdono di Dio, trovava in lui l’incoraggiamento ad immergersi nel "torrente della divina misericordia" che trascina via tutto nel suo impeto. E se qualcuno era afflitto al pensiero della propria debolezza e incostanza, timoroso di future ricadute, il Curato gli rivelava il segreto di Dio con un’espressione di toccante bellezza: "Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l’amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontariamente l’avvenire, pur di perdonarci!"».
Vorrei chiudere queste riflessioni con una citazione stupenda del Santo Curato d’Ars perché molto simile a certe espressioni di Madre Speranza circa la misericordia di Dio e il suo immenso amore per tutti i peccatori, soprattutto i più lontani e scoraggiati. « Il suo [ di Dio ] piacere più grande è quello di perdonarci ... I nostri sbagli sono come dei granelli di sabbia accanto alla grande montagna delle misericordie di Dio ... Com’è grande la bontà di Dio: il suo buon cuore è un oceano di misericordia. Per quanto grandi peccatori possiamo essere, non dobbiamo mai disperare della nostra salvezza. È così facile salvarsi!
PREGHIERA PER L’ANNO SACERDOTALE
Signore Gesù, che in san Giovanni Maria Vianney hai voluto donare alla Chiesa una toccante immagine della tua carità pastorale, fa’ che, in sua compagnia e sorretti dal suo esempio, viviamo in pienezza quest’ Anno Sacerdotale.
Fa’ che, sostando come lui davanti all’Eucaristia, possiamo imparare quanto sia semplice e quotidiana la tua parola che ci ammaestra; tenero l’amore con cui accogli i peccatori pentiti; consolante l’abbandono confidente alla tua Madre Immacolata.
Fa’, o Signore Gesù, che, per intercessione del Santo Curato d’Ars, le famiglie cristiane divengano «piccole chiese», in cui tutte le vocazioni e tutti i carismi, donati dal tuo Santo Spirito, possano essere accolti e valorizzati.
Concedici, Signore Gesù, di poter ripetere con lo stesso ardore del Santo Curato d’Ars le parole con cui egli soleva rivolgersi a Te:
«Ti amo, o mio Dio, e il mio solo desiderio
è di amarti fino all’ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, o Dio infinitamente amabile,
e preferisco morire amandoti
piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore, e l’unica grazia che ti chiedo è di amarti eternamente.
Mio Dio, se la mia lingua non può dirti ad ogni istante che ti amo,
voglio che il mio cuore te lo ripeta tante volte quante volte respiro.
Ti amo, o mio Divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me,
e mi tieni quaggiù crocifisso con Te.
Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti e sapendo che ti amo». Amen.
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ultimo aggiornamento
19 ottobre, 2009