2009 - 19 giugno - 2010 - ANNO SACERDOTALE
P. Antonio Garofalo fam
IL SANTO CURATO D'ARS
(seguito)
Prendete e mangiate ...
fate questo
in memoria di me
L’Eucarestia
«Ai suoi parrocchiani il Santo Curato insegnava soprattutto con la testimonianza della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia. "Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare" - spiegava loro il Curato - "Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera"».
Il Santo Padre Benedetto XVI, nella lettera ai Sacerdoti con cui apriva l’Anno Sacerdotale, così riassumeva la bella testimonianza del Santo Curato d’Ars. Insegnava a pregare, pregando. Chi cercava il Curato sapeva dove trovarlo: davanti al tabernacolo. E non aveva bisogno di tante parole … erano quelle giuste che gli salivano dal cuore. Il fatto stesso di stare davanti al tabernacolo in adorazione, per lui era la forma più alta di preghiera. Possiamo affermare con certezza che la sua era una preghiera "eucaristica", nel senso che partiva dall’Eucarestia e ad essa ritornava.
Alfred Monnin, primo biografo del Santo, afferma: « Il giorno, cominciato con l’offerta del santo sacrificio, terminava regolarmente con la recita del rosario e la preghiera della sera in comune. Uno spettacolo così edificante non poteva non riuscire efficace per coloro che ne erano testimoni … quando i fedeli lo vedevano celebrare il Santo Sacrificio della Messa. Chi vi assisteva diceva che "non era possibile trovare una figura che meglio esprimesse l’adorazione... Contemplava l’Ostia amorosamente"».
Partecipare a una Messa celebrata dal Santo Curato d’Ars era proprio trasferirsi in un’altra dimensione, vivere alla presenza del Signore, entrare in profonda intimità con Lui, aveva proprio questa capacità: introdurti alla presenza di Dio. «Dopo la consacrazione, il buon Dio è là, come in cielo. Quanto è bello! Se l’uomo conoscesse bene questo mistero, ne morirebbe d’amore. Dio ha cura di noi a causa della nostra debolezza. Allorché Dio volle dare un nutrimento alla nostra anima per sostenerla durante la sua esistenza, egli lasciò vagare il suo sguardo su tutta la creazione non trovando nulla che fosse degno di essa. Allora si ripiegò su se stesso, decidendo di donare se stesso».
Con quanta sofferenza si esprimeva nel descrivere atteggiamenti sbagliati di tanta gente che partecipa alla Messa, egli così innamorato dell’Eucarestia doveva constatare la superficialità e l’indifferenza di tante persone: «Cosa si potrebbe pensare vedendo come la maggioranza dei cristiani si comporta nelle nostre chiese? Alcuni hanno la mente che va ai loro affari temporali, altri ai loro piaceri; uno dorme, un altro non vede l’ora che finisca; si gira la testa qui e là, si sbadiglia, ci si gratta, si sfoglia il libretto; non si vede l’ora che i sacri offizi volgano presto al termine».
Anche la vita spirituale dei sacerdoti a volte è frenata da una superficiale e scarsa partecipazione alla celebrazione dell’Eucarestia. Soleva affermare, perché evidentemente ne toccava con mano le conseguenze, che «la causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!». Per questo raccomandava ai preti quanto lui regolarmente faceva: «Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!».
Approfittava di ogni occasione, nella predicazione o nella catechesi, ma anche nelle confessioni e nei colloqui spirituali per suscitare amore e rispetto, adorazione e preghiera verso l’Eucarestia e la presenza del Signore nel tabernacolo. Soleva ripetere spesso, anche alzando la voce: « Egli è là, è là nel Sacramento dell’Amore» e con un gesto inequivocabile indicava ai suoi ascoltatori il Tabernacolo.
Le persone semplici e umili, come i suoi contadini, riuscivano a percepire i sentimenti profondi di stupore, adorazione, meraviglia ecc. che albergavano nel cuore infiammato del Curato d’Ars. Vorrei proporre a tutti voi, cari lettori, il racconto, così come ci viene narrato dal primo biografo del Santo, di quel celebre episodio del contadino che in silenzio contemplava ogni sera il Tabernacolo. È sicuramente uno degli episodi più belli e veri della vita di Giovanni Maria Vianney. Mons. Alfred Monnin così racconta: « Vi era allora nel villaggio un buon padre di famiglia, un semplice agricoltore, del quale abbiamo udito molte volte il nostro Santo nel suo catechismo ripeterci con le lacrime agli occhi la storia semplice e commovente. Sia che egli andasse ai campi, sia che ritornasse, il brav’uomo non passava mai davanti alla chiesa senza entrarvi. Deposti alla porta i suoi strumenti di lavoro, lo vedeva lunghe ore, seduto o in ginocchio, alla presenza del Dio dell’Eucaristia. Il Curato ne era consolatissimo. Di una cosa però si meravigliava: di non aver mai sorpreso in quell’uomo che pregava il più impercettibile movimento delle labbra. «Buon uomo, pensò un giorno di domandargli, che cosa dite al Signore nelle lunghe visite che gli fate ogni giorno e più volte al giorno? - lo non gli dico nulla; io lo guardo, ed egli mi guarda ... ». Bella e sublime risposta! Quel brav’uomo non proferiva parola, non apriva alcun libro, non sapeva leggere ma egli aveva occhi, gli occhi del corpo e gli occhi dell’anima; apriva, quelli dell’anima soprattutto, e guardava il Signore: « lo guardo!» E nel guardarlo metteva tutta la sua mente, tutto il suo cuore, tutti i suoi sensi; s’immergeva in quella ardente e muta contemplazione; vi si perdeva deliziosamente.
In quell’intimo colloquio, in quella muta parola, che andava e veniva dal cuore del servo al cuore del suo Signore vi era uno scambio d’ineffabili sentimenti espressi con sguardi indicibili. È questo il grande segreto per giungere alla santità».
Il Santo Curato d’Ars aveva il cuore ricolmo di gioia quando vedeva gente che accorreva a far visita al Signore presente nel Tabernacolo e sosteneva sempre che è una questione di fede. Tanta lontananza e indifferenza, secondo lui non si spiegano se non con una mancanza grave di fede e prendeva come modello il cieco di Gerico che pieno di fede gridava al Maestro: «Fà che io veda». Il Signore vorrebbe esaudirci, ma la nostra poca fede glielo impedisce. Per questo ogni occasione era buona per il Curato per risvegliare nei suoi ascoltatori quella fede necessaria per essere esauditi: «Fratelli miei, se noi avessimo gli occhi degli angeli, vedendo Nostro Signore Gesù Cristo che è qui presente, su quest’altare, e ci guarda; oh quanto l’ameremmo! Vorremmo non separarcene più, e rimanere sempre ai suoi piedi; sarebbe un anticipo delle gioie del Cielo; ogni altra cosa ci diverebbe insipida. Ma, vedete, è la fede che ci manca; noi siamo poveri ciechi, ed una densa nebbia ci sta davanti agli occhi. La fede soltanto potrebbe dissiparla ... Ora, fratelli miei, quando io solleverò il Signore nelle mie mani, quando il buon Dio vi benedirà, pregatelo che vi apra gli occhi del cuore: ditegli come il cieco di Gerico: - Signore, fate che io veda! - Se voi gli diceste sinceramente: Fate che io veda! otterreste sicuramente ciò che desiderate, perchè egli non vuole che il nostro bene; egli ha le mani ricolme di grazie, e cerca a chi distribuirle; ma nessuno ne vuole. Quanta indifferenza e ingratitudine! Fratelli miei, siamo troppo disgraziati se non comprendiamo queste cose! ».
Quando Giovanni Maria proponeva queste riflessioni, si commoveva fino alle lacrime e coinvolgeva anche i presenti: «le lacrime gli soffocavano la voce, e i presenti ne erano commossi».
La sua insistente predicazione e il suo ardente amore per l’eucarestia cominciarono a dare i primi frutti: parecchie donne e ragazze iniziarono a frequentare quotidianamente la messa e a ricevere i sacramenti. Soleva, con rammarico, ripete spesso:« Ah! Se potessi vedere il nostro divino Salvatore conosciuto ed amato! Se potessi tutti i giorni distribuire il suo santo corpo ad un gran numero di fedeli, come sarei felice!» Il Signore l’accontentò perché il numero dei comunicandi cresceva sempre più e quella che era una semplice devozione adatta per le feste solenni cominciò a diventare una buona abitudine per tanti fedeli di Ars.
Per arrivare agli uomini, il Santo Curato d’Ars pensò di ricorrere ai mezzi che la Chiesa in quel momento suggeriva: le confraternite. Per le donne, qualche tempo prima, aveva fondato la Confraternita del Santo Rosario, ora era giunto il tempo di pensare agli uomini e per loro pensò alla Confraternita del SS. Sacramento. Voleva infiammare il cuore dei giovani e degli uomini radunandoli attorno all’altare e al dono prezioso dell’Eucarestia. «Gli uomini hanno un’anima da salvare, come le donne. Essi sono i primi in ogni cosa; perchè non dovrebbero essere anche i primi a servire Dio ed a rendere omaggio a Gesù Cristo nel grande Sacramento del Suo Amore?».
Con la maturità, l’esperienza e con i doni particolari ricevuti dal Signore ha scoperto l’importanza dell’Eucarestia nella vita del cristiano e nella crescita spirituale. Il poco tempo disponibile o la falsa umiltà di tante persone che si ritenevano indegne di partecipare al banchetto eucaristico veniva smascherata senza mezzi termini: «Andate alla Comunione, fratelli miei, andate a Gesù con amore e fiducia! Andate a vivere di lui, se volete vivere per lui. Nè state a dirmi che avete troppo da fare. Il divino Salvatore non ha detto: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi; venite, ed io vi ristorerò? Potreste voi resistere ad un invito così pieno di tenerezza e di amicizia? Non dite di non esserne degni. È vero, non ne siete degni, ma ne avete bisogno. Se il Signore nostro avesse guardato al nostro merito, non avrebbe istituito mai questo suo Sacramento d’amore; poichè nessuno al mondo ne è degno, nè i Santi, nè gli Angeli, nè gli Arcangeli, nè la santa Vergine; ... ma egli ha guardato ai nostri bisogni, e chi è che non ha bisogni? Non mi dite che siete peccatori, che avete troppe miserie e che perciò non osate accostarvici. Sarebbe come dirmi che siete troppo ammalati, e che perciò non volete vedere il medico».
Quando Giovanni Maria Vianney trovava un’anima debole, ma desiderosa di santificarsi, non esitava a proporle la Comunione frequente, possibilmente quotidiana, per aiutarla a liberarsi dai suoi peccati e per fortificarla nel cammino di santificazione. Ricorreva ad esempi semplici, tratti dalla vita agricola, per essere compreso. Mostrava come solo l’Eucarestia ha il potere di eliminare la fame degli uomini. «Fratelli miei, tutti gli esseri creati hanno bisogno di nutrirsi per vivere; per questo Dio fece crescere gli alberi e le piante; è una mensa bene imbandita, dove tutti gli animali vengono a prendere ciascuno l’alimento che gli conviene. Ma l’anima deve anch’essa nutrirsi. E dove è dunque il suo nutrimento? Fratelli miei, nutrimento dell’anima è Dio. L’anima non può nutrirsi che di Dio! Non v’è che Dio che le basti! Non v’è che Dio che possa riempirIa! Non v’è che Dio che possa saziare la sua fame! Ha bisogno assolutamente del suo Dio!».
I sacerdoti
Come abbiamo visto, il Santo Curato d’Ars aveva una profonda venerazione per l’Eucarestia, ne parlava da vero innamorato e faceva del tutto per trasmettere questo suo amore a tutte le persone che a lui, in qualche modo, si rivolgevano. Questo attaccamento all’Eucarestia lo portava, direi quasi necessariamente, a vedere nel sacerdote l’uomo dell’Eucarestia, per questo affermava: « Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù ».
Il Santo Padre indicendo quest’anno sacerdotale, all’inizio della sua lettera vuole ringraziare i tantissimi sacerdoti che fedeli alla loro vocazione, a volte con vero eroismo, portano avanti la loro missione: « Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di "amici di Cristo", da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?».
Prima di approfondire quanto il Santo Curato d’Ars pensava e diceva del sacerdote, vorrei riportare un breve giudizio di un laico, il visconte d’Ars, proprio sul suo parroco. Questo giudizio ci aiuta a capire quanto un sacerdote santo trascini verso il bene le persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo. «Quale tesoro è mai quell’umile, prete! Non è dotto, ma vale più che se lo fosse. Quanto invidio mia sorella! Quanto la stimo felice di poter vivere all’ombra della sua virtù! Com’è privilegiato il villaggio d’Ars!... Per compiacere questo sant’uomo, per partecipare alle sue opere, non c’è nulla che io non sia pronto a fare; dovessi sacrificare la metà dei miei beni!».
A volte spiegando il catechismo ai suoi parrocchiani si lasciava andare a considerazioni semplici, ma vere e profonde, come per esempio quando spiega i sacramenti e pone una serie di domande retoriche proprio sulla persona e la figura del sacerdote: «Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo».
Il Nodet nel suo libro, Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, Gribaudi 1967, riferendo un insegnamento del Vianney sottolinea la grandezza del sacerdote come un dono d’amore che spinge i fedeli a ringraziare Dio per avercelo donato e a pensare a Gesù quando si vede un sacerdote. «Là avrete duecento angeli, che non potranno assolvervi. Un sacerdote, per quanto semplice sia, può farlo. Egli può dirvi: «Andate in pace, vi perdono». Oh, il sacerdozio è qualcosa di veramente grande! Il sacerdote non verrà capito bene se non in cielo ... Se si riuscisse a capirlo sulla terra, ne moriremmo, non di paura bensì d’amore. Il sacerdote, infatti, non è sacerdote per se stesso. Egli non si dà l’assoluzione da solo, né può amministrare i sacramenti per se stesso. Egli non vive per sé, ma per voi. Quando vedete un sacerdote, pensate a Nostro Signore».
Benedetto XVI non chiude gli occhi dinanzi alle difficoltà di alcuni sacerdoti, ma pone all’attenzione del mondo una lunghissima schiera di presbiteri, religiosi e direttori spirituali che hanno offerto a Dio e alle anime la loro intera esistenza. L’infedeltà di alcuni non può offuscare il dono di Dio, sempre valido e grande, né tantomeno la dedizione totale della stragrande maggioranza dei consacrati. «Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti».
Giovanni Maria Vianney accoglieva sempre con grande rispetto e cortesia i sacerdoti e i vescovi che lo andavano a trovare e dedicava loro il tempo necessario, non si rifiutava mai di ascoltarli nella confessione perché era solito ripetere: «Dopo Dio, il sacerdote è tutto, e aggiungeva, Non potete ricordare un solo beneficio di Dio, senza ritrovare, accanto a quel ricordo, l’immagine del sacerdote». Era convinto che un buon sacerdote oltre a essere una benedizione per la parrocchia, era un grande aiuto per la santificazione dei fedeli: « Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina… Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... ».
Tra i molti sacerdoti e vescovi che si recarono ad Ars, il sabato 3 maggio del 1845 vi giunge anche il celebre predicatore domenicano P. Lacordaire, in giro nella zona per delle conferenze. Il curato lo accoglie con grande amicizia e cordialità. Dopo la messa mattutina della domenica il celebre predicatore resta a sentire il sermone del parroco e conclude: «Mi ha fatto comprendere lo Spirito Santo». Nel pomeriggio viene invitato dopo la recita del Rosario e dei Vespri a rivolgere la parola ai presenti. Lo fa volentieri e con molta semplicità. Il Rev. Raymond, viceparroco di Ars, nelle sue memorie ci riporta il commento del Santo Curato d’Ars: «Si dice talvolta che gli estremi si toccano. Questo si è senz’altro verificato ieri sul pulpito di Ars: si sono viste l’estrema scienza e l’estrema ignoranza».
La sensibilità e la profonda stima del suo vescovo, Mons. Devie, costringono quest’ultimo a cercare un viceparroco che gli desse una mano per la parrocchia, poiché i pellegrini aumentavano continuamente e tutti chiedevano di vedere, parlare e soprattutto confessarsi con il Santo Curato. Il vescovo cedette e la scelta cadde sul rev. Antonio Raymond già parroco di Savigneaux. La cattiva reputazione che si portava dietro non fu un buon biglietto da visita per gli abitanti di Ars, i quali lo accolsero mal volentieri. Aveva un carattere dispotico e si considerava quasi un tutore del Curato. La contessa des Garets, molto delicata e misurata nei giudizi, così ne parla: «Egli (il rev. Raymond) era un eccellente sacerdote, animato dalle migliori intenzioni, ma con vedute del tutto diverse. Era, del resto, un carattere difficile e, in molti casi, mancava di prudenza e di tatto. Appena si trovò vicino al parroco, cominciò, col pretesto di far meglio le cose, a contrariarlo in mille modi. Don Vianney non fu più il capo nella sua parrocchia e, a volte, era costretto a nascondere le sue opere buone, le somme di denaro che riceveva, ecc.». In una lunga lettera che scrive al suo vescovo per confutare le tante accuse che i parrocchiani avevano denunciato circa il comportamento del suo vicario, così si esprime: «Non ho mai trovato un sacerdote buono come il rev. Raymond: pieno di bontà verso di me, che fa tutto come voglio, che non dice mai no ... ». Dopo il trasferimento del rev. Raymond, la sua più stretta collaboratrice, Caterina Lasagne, ci trasmette questa sua confidenza: «Veramente, mi ha fatto un po’ soffrire … Se non fossi vissuto con il rev. Raymond, non avrei saputo se amavo il Buon Dio».
Voglio concludere queste riflessioni sull’Eucarestia e sul Sacerdozio, in cui ci siamo lasciati guidare dal Santo Curato d’Ars, con le parole di Papa Benedetto che nella lettera di indizione di questo anno sacerdotale incoraggia i presbiteri a trasmettere l’amore misericordioso per edificare il popolo santo di Dio. « Il Curato d’Ars, nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’Amore: Deus caritas est (1 Gv 4,8). Con la Parola e con i Sacramenti del suo Gesù, Giovanni Maria Vianney sapeva edificare il suo popolo, anche se spesso fremeva convinto della sua personale inadeguatezza, al punto da desiderare più volte di sottrarsi alle responsabilità del ministero parrocchiale di cui si sentiva indegno. Tuttavia con esemplare obbedienza restò sempre al suo posto, perché lo divorava la passione apostolica per la salvezza delle anime».
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ultimo aggiornamento
21 dicembre, 2009