2009 - 19 giugno - 2010 - ANNO SACERDOTALE

† Armando Martín Gutiérrez, Figlio dell’Amore Misericordioso Vescovo di Bacabal (*)

 

La fraternità con il proprio presbiterio a Bacabal

 

Sono stato benedetto dal Buon Dio con la grazia di capire che il senso della mia vita era seguire i passi di Cristo Amore Misericordioso e collocarla al suo servizio. Il Buon Dio mi ha anche concesso la grazia di indicarmi il cammino concreto per realizzare questo ideale attraverso la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, nello spirito di Madre Speranza.

Ho sempre voluto lasciare che fosse la sua volontà, attraverso le legittime mediazioni umane, a indicarmi il dove, il quando e il come vivere, annunziare e testimoniare il suo Amore Misericordioso. Così quando mi é stato chiesto di servire la Chiesa come vescovo di Bacabal, ho accettato e interpretato l’incarico in questa ottica: un modo nuovo, inaspettato e sconvolgente, con il quale il Buon Dio mi chiedeva di servire il Suo Amore Misericordioso.

Per questo motivo quando sono arrivato nella diocesi, tre anni fa, il mio interesse per i sacerdoti aveva una doppia e profonda motivazione:

come FAM, l’unione con loro doveva avere la priorità nella mia missione, "essendo per essi un vero fratello, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole" (Cost. 18);

come vescovo, dovevo essere "padre, fratello e amico dei sacerdoti" della diocesi che mi era stata affidata (AS, 76).

Riconosco che mi risultavano più comprensibili i termini vero fratello e amico, mentre facevo una certa difficoltà a capire come potevo essere padre, soprattutto con quelli che erano più anziani di me e con più esperienza ministeriale. Un po' alla volta ho potuto intendere ed esperimentare che, in forza del mio ministero episcopale, potevo e dovevo manifestare la paternità di Dio, la sua sollecitudine, la sua bontà e la sua misericordia con quei sacerdoti che Lui mi aveva donato. E ciò non soltanto con quelli che generavo spiritualmente, mediante la trasmissione sacramentale del sacerdozio di Cristo, per l’imposizione delle mani, ma con tutti, indipendentemente dall’età o dagli anni di sacerdozio.

La situazione del clero diocesano quando sono arrivato alla diocesi di Bacabal, nel 2007, era un poco particolare. La prima impressione che ne ho avuto è che i sacerdoti erano pochi, molto dispersi e gravati da tantissimo lavoro.

La diocesi di Bacabal aveva allora 28 sacerdoti per attendere a circa 600.000 persone, sparse in un territorio tanto grande quasi come l’Umbria e le Marche messe insieme. Di questi 28 sacerdoti, 9 erano sacerdoti diocesani e uno di loro abitava in São Luis, (a 240 chilometri), poiché faceva il Rettore del nostro Seminario che ha la sua sede là. Gli altri 19 erano religiosi: 4 Francescani Cappuccini e 15 Francescani Minori (dei quali diversi in età già avanzata e altri a servizio della Provincia, che ha la sua sede qui). C’erano altri 2 presbiteri incardinati nella diocesi ma che risiedevano fuori: uno, già da nove anni, per motivi di studi e l’altro, lontano da molto tempo, che si considera un missionario itinerante.

La diocesi era organizzata in 16 parrocchie per attendere 27 municipi; Bacabal, una città di 100.000 abitanti ne ha 3 di parrocchie. I Frati Minori attendevano pastoralmente a 4 parrocchie e i Cappuccini a 2. I sacerdoti diocesani attendevano le altre 8. Rimanevano 2 che, per mancanza di presbiteri, erano state affidate alle cure pastorali delle suore.

Tutto considerato la situazione, non era per niente favorevole poiché soltanto in 12 municipi c’era la presenza stabile di un sacerdote. Negli altri 15, alcuni con 12-15.000 abitanti c’era una presenza missionaria, nel periodo della secca, che obbligava al parroco-missionario a percorrere grandi distanze, per cammini in condizioni precarie, ed essere frequentemente assenti dalla sede parrocchiale.

Se la situazione pastorale della diocesi si presentava come una grande sfida, - in fondo é terra di missione - mi preoccupava maggiormente la situazione dei sacerdoti diocesani.

Questi, a differenza dei religiosi, vivevano da soli, a grandi distanze uno dall’altro. Più della metà erano giovanissimi, fatti parroci appena usciti dal seminario per la urgenza e le necessità pastorali, sovraccaricati di un lavoro esigente che assorbiva tutto il loro tempo e con un ritmo di vita estenuante.

Cosa fare in questa situazione? Da dove cominciare?

Nei momenti di preghiera, echeggiavano con forza nel mio cuore le parole con le quali la nostra Madre ha espresso il fine principale dei FAM: "Devono porre tutto l’impegno e la cura nell’unirsi ai sacerdoti, essendo per loro veri fratelli, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole" (Cost 18). "Unione"! Ecco il cammino a seguire: unione con loro, unione tra loro!

E così ho cominciato a battere questo cammino: il cammino della presenza, della vicinanza, del contatto, della collaborazione; dell’unione, in una parola.

Feci capire che io stavo sempre disponibile per accoglierli in casa e riceverli a qualunque ora; anche il lunedì che, qui da noi, è il giorno sacro di riposo per i padri e per il vescovo; che nella mia agenda loro avrebbero avuto sempre la precedenza. E, soprattutto, ho cominciato a visitarli, a farmi presente nei loro anniversari o compleanni, nei momenti di difficoltà o di sofferenza (a volte senza preavviso), ad accettare i loro inviti per le feste, per le assemblee, per la formazione, ecc. Più un sacerdote era lontano e solo, più avevo motivi per accettare.

Suggerii che, se loro erano d’accordo, invece di ammucchiare tutti i cresimandi in unica celebrazione, sarei potuto andare anche ai paesetti sperduti nell’interno delle campagne e foreste. La scusa era che così avrei avuto occasione di conoscere meglio la diocesi, il che era vero; ma soprattutto mi avrebbe dato l’opportunità di stare più tempo con i preti, conoscere il loro ambiente di lavoro, le loro difficoltà. Con la mia macchina riuscivo ad arrivare solo alla sede della parrocchia e dopo dovevano accompagnarmi con le loro macchine "tutto terreno" (gippini). Li sentivo felici di portarmi per i cammini di terra, di sassi e di acqua che loro dovevano percorrere spesso; fino a luoghi dove non c’era mai stato un vescovo; facendomi conoscere le persone che loro servivano con gioia e dedizione, parlandomi delle loro difficoltà e delle loro realizzazioni. Nelle lunghe ore di viaggio avevamo modo di parlare, di conoscere, di conoscerci, di stare insieme, di crescere nella comunione e nella fiducia mutua.

Questa opzione modificava parecchio il mio ritmo di vita, perché spesso mi obbligava a mettermi in viaggio presto e a tornare molto tardi o dormire fuori; a stare meno tempo in curia e molte ore in macchina, facendo di questa la mia cappella e una seconda casa. Ma constatavo, nonostante l’infiammazione ai tendini dei piedi, che ne valeva la pena.

Dall’’altra parte vedevo che quando ci ritrovavamo insieme come presbiterio c’era un clima di fraternità e di condivisione gioiosa; ma il tanto lavoro pastorale da fare paralizzava sempre questi nostri incontri, considerandoli quasi facoltativi; comparivano sempre tante cose urgenti da fare che impedivano di cogliere l’occasione di questi incontri o li limitavano al minimo per dover ripartire quanto prima di corsa … Eppure c’era una certa nostalgia e desiderio di altre possibilità. Il paragone con i religiosi era inevitabile: loro avevano un’altra mentalità che valorizzava i momenti di fraternità, avevano più mezzi, si organizzavano meglio per incontri, formazione, momenti di svago, ecc ...

E perché noi non potevamo fare lo stesso, cominciando dal mettere al primo posto ciò che ci univa, i momenti e le iniziative che fortificano la nostra comunione e la nostra vocazione, il dedicare più tempo alla formazione, alla spiritualità? In fondo, non era ciò che mi avevano confidato e che tutti desideravamo?

Il primo gesto concreto, per rompere una certa mentalità e gli antichi schemi che distanziavano, é stato una gita di 4 giorni. Per la prima volta i sacerdoti diocesani si sono ritrovati per più giorni in gioiosa fraternità, condividendo un tempo di svago insieme, amici entusiasti di conoscere le bellezze naturali del loro territorio, assumendo un modo informale e scherzoso, pregando e celebrando "per loro".

Ho cominciato ad insistere per incontrarci più volte, nonostante le distanze e di essere sovraccarichi di lavoro, anzi proprio per questo! Potevamo ritrovarci al meno una volta al mese, e non soltanto 4 o 5 volte all’anno, distribuendo le varie iniziative: l’ unione, l`amicizia, il buono spirito del presbiterio, esercizi spirituali, giornate di santificazione del clero, formazione permanente, incontri di pastorale, giornate di fraternità, gite insieme.

Hanno accettato la sfida e abbiamo cominciato a organizzare così il nostro programma annuale intorno a tre iniziative che, in un certo senso, ci obbligano a essere insieme più giorni: una gita all’inizio dell’anno, gli esercizi spirituali a metà e la settimana di formazione permanente, nel secondo semestre. Inoltre ogni mese abbiamo occasione di ritrovarci, facendo anche qualcosa che ci aiuta a crescere nella propria vocazione e nello spirito di comunione. Qualcuno, come é normale, all’inizio si é lamentato che era troppo; ma subito i confratelli lo hanno incoraggiato.

Dallo stare insieme e dai dibattiti sono sorte altre iniziative che vogliono portare ad una maggiore comunione e condivisione, come quella di un accompagnamento specifico per i giovani sacerdoti fino ai cinque anni di ordinazione ("si avrà un interesse tutto particolare in lavorare con il clero giovane". Cost 19) o quella di insistere, - suggerito da loro! - nella formazione del seminario, sull’esigenza, che il futuro presbitero della nostra diocesi, doveva imparare a vivere insieme con altri preti, a collaborare, a fare comunità , a vivere in unione di vita, di missione e di ideali.

Non sempre le cose riescono tra noi come vorremmo. Io stesso non sempre sono capace di esercitare l’autorità con la tenerezza e la carità di Cristo misericordioso e poi c’é l’umanità di noi tutti con il suo limite, con le tendenze individualiste, con la stanchezza, con gli scoraggiamenti, con i condizionamenti e con le rivalità. Manca ancora tanto perché esista una vera koinonia nel nostro presbiterio e di questo col vescovo, riflesso di una comunione di persone, di affetti e di intenzioni; ma non é meno vero che avanziamo insieme in questa direzione, nonostante le difficoltà.

In quest’anno sacerdotale, per esempio, in mezzo a tante iniziative, ci siamo proposti come meta quella di organizzare una pastorale presbiterale che aiuti i sacerdoti del nostro presbiterio a collocarsi gli uni a servizio degli altri, sensibili alla sofferenza, alla solitudine, alla stanchezza, alla confusione e agli scoraggiamenti dei confratelli; partecipando delle loro aspirazioni, delle loro gioie e dei frutti pastorali; rafforzando i vincoli tra di loro, per sostenersi nella santità ministeriale con tutti i mezzi a disposizione. L’altro grande nostro obiettivo dell’anno sacerdotale é quello di creare l’abitudine dell’adorazione eucaristica, almeno, settimanale, in favore dei sacerdoti e delle vocazioni in tutte le parrocchie e grandi comunità. Senza il sostegno della preghiera del nostro popolo che sarebbe di noi preti e vescovi!

In questi tre anni la diocesi é stata benedetta con altri quattro sacerdoti. Nonostante che un sacerdote abbia dovuto lasciare momentaneamente l’attività pastorale per esaurimento e depressione, una parrocchia (e un municipio) in più ha la presenza e il servizio permanente di un padre; i tre sacerdoti più giovani fanno vita in comune con un altro prete di maggiore esperienza, crescendo insieme, distribuendo il lavoro pastorale e collaborando con maggiore efficacia e serenità nella grande missione di portare la Vita del Cristo Salvatore al popolo di questa diocesi.

Stiamo dando i primi passi e c’é ancora tanta strada da fare, ma sono fiducioso che l’Amore Misericordioso, che vede nei suoi sacerdoti "i primi destinatari e mediatori della sua infinita misericordia"( Cost. 18), ci illuminerà e ci aiuterà.

Chissà quando il Buon Dio nella sua infinita misericordia, concederà ai sacerdoti di questa diocesi il dono stupendo di una comunità di FAM, o almeno un religioso o SDFAM, "fidei donum" con il quale vivere e condividere questa missione che l’Amore Misericordioso ci ha confidato! Chiedo a tutti una preghiera!


(*) La diocesi di Bacabal è sede suffraganea dell’arcidiocesi di São Luís do Maranhão, appartenente alla regione ecclesiastica Nordeste 5, in Brasile. Nel 2006 contava 461.000 battezzati su 502.000 abitanti. È attualmente retta dal vescovo Armando Martín Gutiérrez, F.A.M.

La diocesi comprende la città di Bacabal, dove si trova la cattedrale di santa Teresina.

Il territorio è suddiviso in 16 parrocchie.

La diocesi è stata eretta il 22 giugno 1968 con la bolla Visibilis natura di papa Paolo VI, ricavandone il territorio dalla prelatura territoriale di São José do Grajaú (oggi diocesi di Grajaú) e dall’arcidiocesi di São Luís do Maranhão.

Vescovi della diocesi:

• Pascàsio Rettler, O.F.M. (24 luglio 1968 - 1º dicembre 1989 )

• Henrique Johannpötter, O.F.M. (2 dicembre 1989 - 10 aprile 1997 )

José Belisário da Silva, O.F.M. (1º dicembre 1999 - 21 settembre 2005)

• Armando Martín Gutiérrez, Figlio dell’Amore Misericordioso, vescovo dal 2 novembre 2006

 

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ultimo aggiornamento 16 marzo, 2010