omelia

P. Alberto Bastoni fam

Un tempo di misericordia e di conversione

Il 7 marzo la RAI ha trasmesso la santa Messa da Collevalenza
Omelia del Rettore del Santuario

Giunti ormai al cuore della Quaresima, in questa domenica ci raggiunge una parola insistente: conversione. La liturgia, nel significativo intreccio delle letture proposte, ne illumina il senso in una maniera nuova fino a mettere in relazione la conversione con la misericordia, la pazienza, la preghiera.

Da subito le letture ci mostrano il volto di un Dio che scende e manifesta la sua presenza ineffabile, quel Dio che in Gesù si fa solidale con gli uomini, quel Dio che non lascia solo l’uomo lungo il cammino arduo della libertà, quando sopraggiungono la paura, la debolezza, la pigrizia, lo scoraggiamento, che diventano ostacoli insormontabili, quel Dio che si fa presente per salvare e liberare, sul quale si può contare in qualsiasi momento, quel Dio ferito dal grido dei suoi figli, sconvolto dalle sofferenze dell’uomo, quel Dio vulnerabile nell’amore, quel Dio con un cuore di madre; un Dio personale, un Dio di uomini, vivo, vero e santo.

Il Vangelo propone una parabola della misericordia, una di quelle che ha scandalizzato i devoti di allora, i devoti e i critici della eccessiva bontà di Dio. In realtà il brano è un po’ più complesso perché Gesù, nella prima parte, risponde a quelle domande che ancora oggi ci facciamo nel giorno del dolore innocente: perché accadono certe cose? Dov’era Dio? Dio era lì, certamente e ancora oggi è crocifisso nei suoi figli sulle infinite croci della terra. È un Dio che si coinvolge, è un Dio fedele, e mentre lui si coinvolge ecco che la gente va da Gesù a porgli problemi d’altri, a farsi giudice di Dio e dei fratelli, a denunciare la mancata protezione, a chiamare in causa la "giusta" punizione di Dio per i peccati dell’uomo. Ma è costretta a guardarsi dentro: non dov’era Dio, ma dov’era l’uomo, dov’è l’uomo?! Se non vi convertirete: questo è il contenuto che attraversa la liturgia: se non vi convertirete perirete tutti. Magari non nel fragore di un crollo ma nel dramma silenzioso della sterilità. E convertirsi è credere a questo Dio,a questo "contadino" fiducioso che si prende cura di un po’ di terra in una vigna rigogliosa, quel po’ di terra, riarsa e inaridita, che è il mio cuore, il nostro cuore, che non dà più frutti, che non sa amare.

Questo Dio che si aggrappa ad un fragile "forse",un fragile forse capace di allontanare pensieri di morte, che sa riattivare il desiderio di cambiare il mondo, desiderio che oggi manca anche al cattolico che dovrebbe essere l’universale, l’uomo teso in un abbraccio che comprende tutto il tempo e tutto lo spazio e che invece è capace di costruire solo muri di cinta. Manca la speranza e si crede che il mondo non si possa cambiare e non si coglie la presenza nascosta ma efficace di Dio e non si leggono i segni discreti dei suoi interventi e non si sa più vedere ciò che regolarmente ci viene donato. Eppure Dio fa ancora "grandi cose" "… la scrittura ci ricorda che:"Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione; esse son rinnovate ogni mattina, grande è la sua fedeltà", (Lamentazioni 3, 22-23). Ci guarderà e ci sazierà se avremo l’umiltà di dire che abbiamo fame e non siamo capaci di raggiungere da soli ciò che cerchiamo, se saremo così leali da capire che essere cristiani non è un modo fatto sulla nostra misura e abbiamo bisogno di lui, se avremo il coraggio di soffrire ogni giorno la strettezza del nostro piccolo cuore e chiederemo a Dio di farcelo più grande, di abbattere ogni difesa e ogni chiusura e di buttarci sempre più nell’avventura del suo regno senza confini. Così il Signore guarisce la nostra sterilità e la prende tutta su di sé perché ognuno possa portare frutto.

La Chiesa poi, ma direi ognuno di noi, si senta chiamato a farsi intercessione e persino segno e strumento delle cure personali di Dio verso il fratello, con misericordia e compassione, adoperandosi per farlo vivere.

La Venerabile Madre Speranza lo faceva con la preghiera, la carità sapiente, la pazienza, con amore e coraggio, amando senza aspettarsi nulla e ponendo ai piedi del fratello la propria vita, ma indicando soprattutto la via sicura di ritorno al Signore nei sacramenti, in particolare la riconciliazione, e il bagno nelle piscine di questo Santuario. 50 anni fa, il Signore Gesù chiese alla Madre di scavare un pozzo: da esso è scaturita un’ acqua. Di che si tratta: è il Signore stesso a suggerirlo alla Madre: «A quest’acqua e alle piscine va dato il nome del mio Santuario. Desidero che tu dica, fino ad inciderlo nel cuore e nella mente di tutti coloro che ricorrono a te, che usino quest’acqua con molta fede e fiducia e si vedranno sempre liberati da gravi infermità; e che prima passino tutti a curare le loro povere anime dalle piaghe che le affliggono per questo mio Santuario dove li aspetta non un giudice per condannarli e dar loro subito il castigo, bensì un Padre che li ama, perdona, non conta, e dimentica».

Sta a noi raccogliere questa eredità. C’è speranza per tutti e il tempo ci è donato come un’opportunità, un tempo di misericordia e di conversione. Si tratta di iniziare o continuare a condividere i frutti dello Spirito. Il nostro cammino di ritorno al Padre è un cammino che conduce l’uomo a se stesso,oltre se stesso, per costruire una nuova e duratura relazione, libera dal peccato. Lasciamoci condurre dallo Spirito come Gesù, via via che scorrono i giorni della nostra Quaresima e con il salmista sapremo sgranare di stupore i nostri occhi dinanzi alla misericordia del Signore e sapremo cantare ancora il Suo amore folle, nella certezza di essere amati personalmente da Dio, non perché abbiamo dei meriti ma solo perché Lui è buono. A Maria, mediatrice di tutte le grazie, affidiamo le nostre debolezze, la nostra incredulità, la nostra rassegnazione perché ne faccia un gioioso Magnificat.

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ultimo aggiornamento 24 aprile, 2010