pastorale familiare |
Marina Berardi |
Famiglia, "…per un sacerdozio santo"
La missione educativa e il sacramento del matrimonio Per i genitori cristiani la missione educativa, radicata come si è detto nella loro partecipazione all’opera creatrice di Dio, ha una nuova e specifica sorgente nel sacramento del matrimonio, che li consacra all’educazione propriamente cristiana dei figli, li chiama cioè a partecipare alla stessa autorità e allo stesso amore di Dio Padre e di Cristo Pastore, come pure all’amore materno della Chiesa, e li arricchisce di sapienza, consiglio, fortezza e di ogni altro dono dello Spirito Santo per aiutare i figli nella loro crescita umana e cristiana. Dal sacramento del matrimonio il compito educativo riceve la dignità e la vocazione di essere un vero e proprio «ministero» della Chiesa al servizio della edificazione dei suoi membri. Tale è la grandezza e lo splendore del ministero educativo dei genitori cristiani, che san Tommaso non esita a paragonare al ministero dei sacerdoti: «Alcuni propagano e conservano la vita spirituale con un ministero unicamente spirituale, e questo spetta al sacramento dell’ordine; altri lo fanno quanto alla vita ad un tempo corporale e spirituale e ciò avviene col sacramento del matrimonio, nel quale l’uomo e la donna si uniscono per generare la prole ed educarla al culto di Dio («Summa contra Gentiles», IV, 58). La coscienza viva e vigile della missione ricevuta col sacramento del matrimonio aiuterà i genitori cristiani a porsi con grande serenità e fiducia al servizio educativo dei figli e, nello stesso tempo, con senso di responsabilità di fronte a Dio che li chiama e li manda ad edificare la Chiesa nei figli. Così la famiglia dei battezzati, convocata quale chiesa domestica dalla Parola e dal Sacramento, diventa insieme, come la grande Chiesa, maestra e madre. (Familiaris Consortio n. 38) |
Il n. 38 della Familiaris Consortio ci introduce in un tema quanto mai attuale ed urgente quale è quello dell’educare; vorrei dedicare ad esso uno spazio particolare, proprio a partire da quell’emergenza educativa di cui ogni giorno prendiamo atto e di cui le nuove generazioni subiscono le dannose e devastanti conseguenze.
Vorrei farlo, però, con una prospettiva di speranza perché, come ci ricorda Giovanni Paolo II, l’importante missione di educare non è solamente opera umana ma è legittimata dalla specifica natura del matrimonio e del sacramento che è: vocazione all’amore; chiamata alla trasmissione del senso e del fine della vita; "ministero" che rende visibile la paternità e la maternità di Dio per l’edificazione della Chiesa, per una comunità fraterna, per la trasformazione del mondo del lavoro, politico, sociale.
Proprio perché immersa in una cultura che delegittima su vari fronti l’impegno educativo, la famiglia è chiamata a continuare a trasmettere con responsabilità, convinzione e tenacia quei "valori naturali e cristiani che danno significato al vivere quotidiano e formano ad una visione della vita aperta alla speranza"1, esercitando così quel sacerdozio comune che le è proprio.
Recentemente ho partecipato ad un incontro che si è tenuto presso la Sala del Capitano di Todi, dove la prof.ssa Almerina Bonvecchi ha presentato il libro di Don Giussani, Il rischio educativo.
In quella circostanza è risuonato l’invito del Vescovo, Mons. Scanavino, a vivere questo tempo come occasione di grazia, di responsabilità e di amore perché "i ragazzi ci aspettano"!
I ragazzi "aspettano" genitori, insegnanti, catechisti, adulti solidi, capaci di testimoniare senso e fiducia nella vita, desiderosi di metter loro in mano la bussola che li orienti nella vita e non di navigare per loro. Il compito dell’educazione, riprendendo il pensiero di Giussani, è farli diventare adulti nel pensiero, è risvegliare il senso critico, è risvegliare le esigenze sopite nel loro cuore.
L’emergenza educativa allora non ci appare più come un "problema" giovanile ma una preoccupazione, un compito di noi adulti e, in primis, dei genitori i quali dovrebbero sostenere questa loro delicata missione promuovendo la propria crescita, prendendo sul serio la propria vita e difendendola dagli attacchi delle troppe "agenzie dis-educative" esistenti.
I ragazzi, i nostri figli, come si diceva nell’incontro, vogliono rovistare in quello zaino che sono andati riempiendo negli anni, al fine di rendersi conto di ciò che veramente vale, di quanto è veramente importante e ci chiedono di fare altrettanto, di farlo con loro.
Purtroppo questa umanità giovane che si interroga, che pone domande, che ci confronta nelle nostre incongruenze, che si fa del male… spesso fa paura all’adulto che non ha saputo prendersi in mano, che non ha ancora scoperto il proprio volto umano, che non si sa amare e che, magari, sente come fallimento la propria vita, la propria coniugalità…
Dove attingere allora quei valori che, troppo spesso, i genitori stessi stentano a riconoscere, a trovare, ad indicare, a vivere? Dove attingere l’esperienza di essere amati che sola può aprire al dono? Dove trovare il coraggio di credere che qualcosa, anche in noi, può ancora cambiare?
Dalla certezza, come diceva M. Speranza, di poter chiamare "Padre tutto un Dio" e di essere preziosi ai suoi occhi tanto che, "sia pure estremamente piccoli, siamo sufficientemente grandi perché Dio, nostro buon Padre, si preoccupi di noi con la stessa sollecitudine che se fossimo l’unica persona al mondo". Ed ancora, dalla consapevolezza che, al di là degli inevitabili sbagli, limiti, errori, il Signore guarda al cuore, guarda a tutte quelle volte che abbiamo tentato di essere migliori, di superarci, di crescere sebbene non ci siamo riusciti.
Se ci aprissimo a questa esperienza, se ci lasciassimo amare noi per primi, se lasciassimo che qualcuno curi le inevitabili ferite, non dovrebbe risultare poi così difficile donare ciò che gratuitamente si è ricevuto, trasmettere la vera sapienza della vita.
Nell’interrompere questa riflessione sull’educativo che accompagnerà anche i prossimi numeri, vi propongo il testo di una pianista russa, Maria Judina, con cui Almerina ha concluso il suo intervento:
«Proprio nel mio gruppo c’era un rompiscatole, un ragazzino di otto-nove anni, praticamente senza famiglia, che viveva presso parenti che non amava e da cui non era amato, di nome Akinfa; era indisponente, stuzzicava tutti, prendeva in giro i bambini ebrei, si azzuffava e così via. Noi tutti, e soprattutto io che ne avevo la responsabilità, lo esortavamo con la parola e con l’esempio, ma una volta Akinfa passò tutti i limiti: picchiò uno dei compagni, prese a male parole gli adulti, commise un furtarello e così fu decretata la sua espulsione.
Quando venne il momento di eseguire la condanna, il momento del distacco io, non so come, scoppiai a piangere, e a questo punto avvenne la seconda nascita di Akinfa: scoppiò a piangere anche lui, chiese perdono a tutti, rese la refurtiva e da quel momento mi seguiva sempre ovunque nel campo come un fedele cagnolino, spiegava a tutti che in vita sua non aveva mai visto che una maestra piangesse per un suo alunno, che piangesse, per dirlo con le sue parole, "sull’anima e sulla vita di un monello"; proprio questo era il senso del suo stupore e del desiderio di rimettersi sulla strada»2.
Il miglior frutto dell’educazione è quello di generare, facendosi compagno di viaggio di chi ha deciso di "rimettersi sulla strada"!
1 Benedetto XVI, 12.1.2009.
2 http://antologiacosebelle.blogspot.com/2010/03/akinfa.html
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ultimo aggiornamento
23 aprile, 2010