2009 - 19 giugno - 2010 - ANNO SACERDOTALE
† Domenico Cancian, Figlio dell’Amore Misericordioso, Vescovo di Città di Castello (*)
L’esperienza di vita fraterna nel presbiterio di Città di Castello
1. Figlio dell’Amore misericordioso
La vocazione che più ha segnato la mia vita è quella del figlio dell’Amore misericordioso.
Posso dire che tale vocazione è il filo rosso della mia vita, nel senso che spiega tutte le grazie che il Signore mi ha donato. Il battesimo e gli altri sacramenti (sacerdozio ed episcopato compreso), tutti i doni del Signore hanno per me il seguente messaggio: "Ti ho voluto come figlio del mio Amore misericordioso. Per questo ti ho chiamato alla vita, nel tempo e nelle circostanze che conosci. Accogli le mie attenzioni, impara la misericordia e donala alle persone che incontri sul tuo cammino. Sii un testimone del mio Amore, ricordando l’esempio di Madre Speranza che per 25 anni hai visto coi tuoi occhi".
In effetti, tutto il cammino verso il sacerdozio e l’esercizio del ministero fino a tre anni fa, è stato vissuto nella Famiglia dell’Amore misericordioso. E questo per me ha significato intendere e vivere il mio essere uomo, cristiano, sacerdote come "mistero di misericordia", come "segno e strumento della misericordia". Sono espressioni di Giovanni Paolo II nelle quali mi riconosco.
Ecco la citazione che più sento mia: "È importante […] che noi sentiamo la grazia del sacerdozio come una sovrabbondanza di misericordia. Misericordia è l’assoluta gratuità con cui Dio ci ha scelti: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16). Misericordia è la condiscendenza con cui ci chiama ad operare come suoi rappresentanti, pur sapendoci peccatori. Misericordia è il perdono che Egli mai ci rifiuta, come non lo rifiutò a Pietro dopo il rinnegamento. Vale anche per noi l’asserto secondo cui c’è «più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7). Riscopriamo, dunque, la nostra vocazione come «mistero di misericordia». Nel Vangelo troviamo che è proprio questo l’atteggiamento spirituale con cui Pietro riceve il suo speciale ministero. La sua vicenda è paradigmatica per tutti coloro che hanno ricevuto il compito apostolico, nei vari gradi del sacramento dell’Ordine" 1.
Non pochi testi del Magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI mettono al centro della spiritualità cristiana il tema della misericordia, particolarmente utile ai nostri tempi2.
Nell’esperienza della Madre Speranza ed anche nel carisma e nella missione dei Figli dell’Amore misericordioso, i sacerdoti sono visti come "i primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini"3. Tanto che il fine principale della Congregazione dei FAM è la comunione con i sacerdoti e l’aiuto fraterno nella loro necessità.
Nei Vangeli, negli scritti di S. Paolo, nella Lettera agli Ebrei, appare evidente che il sacerdozio di Gesù e quello fondato da Lui è caratterizzato dalla carità pastorale e quindi dalla misericordia4. Si potrebbe affermare che l’evangelizzazione, i sacramenti, la carità hanno come oggetto l’esperienza della misericordia divina, che il sacerdote stesso trasmette sia perché la tocca con mano nella propria fragile esistenza personale, sia perché la vede infinite volte all’opera nei confronti dei fratelli.
"Il Curato d’Ars, nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone perché è riuscito far loro percepire l’Amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’Amore: Deus caritas est (1Gv 4,8)"5.
2. Fraternità presbiterale
"Chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli - perché stessero con lui e per mandarli a predicare …"
(Mc 3, 13-14). Ogni vocazione ha tre dimensioni connotate dalla misericordia: personale, comunitaria, missionaria. Dopo averli chiamati personalmente (subito dopo seguono i nomi), Gesù costituisce (letteralmente: fece, creò) i Dodici, come comunità. Più avanti saranno chiamati "i suoi" (gli apostoli sono la famiglia di Gesù), i suoi amici. Quelli che stanno con lui e che lui invierà a evangelizzare il mondo, a continuare la sua opera.Papa Benedetto ha molto sottolineato questo aspetto. Ha affermato che la relazione amicale con Gesù, il rimanere nel suo amore, costituisce il cuore dell’identità del presbitero. "Non vi chiamo più servi, ma amici: in queste parole si potrebbe addirittura vedere l’istituzione del sacerdozio. Il Signore ci vede suoi amici: ci affida tutto; ci affida se stesso, così che possiamo parlare con il suo Io – in persona Christi capitis. Che fiducia! […] Non vi chiamo più servi ma amici. E’ questo il significato profondo dell’essere sacerdote: diventare amico di Gesù Cristo. Per questa amicizia dobbiamo impegnarci ogni giorno di nuovo. […] Non vi chiamo più servi, ma amici. Il nucleo del sacerdozio è l’essere amici di Gesù Cristo"6.
Come vescovo mi sono proposto di dedicare molta attenzione alla fraternità presbiterale nel mistero della Chiesa-comunione. Sono chiamato a diventare amico, fratello, padre dei sacerdoti.
Città di Castello è una Chiesa antichissima: a partire dalla prima evangelizzazione da parte dei santi Crescenziano e compagni martiri nel III secolo. Dal primo vescovo Eubodio a me si sono succeduti una novantina di pastori. Innumerevoli generazioni cristiane hanno inciso fortemente nella vita sociale, politica, culturale. Una decina tra santi e beati fanno particolare onore alla Chiesa tifernate.
Attualmente la diocesi conta circa 60 mila abitanti, 60 parrocchie, distribuite in tre vicariati, 57 sacerdoti diocesani, 14 sacerdoti religiosi, 11 diaconi, 4 seminaristi (arrivati grazie a Dio proprio in questi due ultimi anni).
Nel 2008 ho scritto le Linee pastorali per la Chiesa tifernate intitolandole "Rimanete nel mio Amore" (Gv 15,9). Sono quattro parole semplici e profonde, rivolte ai Dodici. È l’imperativo di Gesù a vivere la comunione d’amore con lui e tra di loro.
Poco prima Gesù aveva donato il suo testamento. "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 34-35).
La Chiesa è mistero di comunione con Dio (figli) e tra di noi (fratelli). È questa la prima testimonianza della Chiesa.
Attraverso il sacramento dell’Ordine il sacerdote è costituito nel presbiterio e il ministero non può che esercitarsi se non in comunione col Vescovo e con gli altri ministri. La fraternità sacerdotale è chiamata anche sacramentale perché deriva dal sacramento dell’Ordine. Negli Atti degli Apostoli ricorre spesso come soggetto ecclesiale l’espressione "lo Spirito Santo e noi".
Dunque il sacerdote è uomo di comunione, sia nel senso che nasce e vive nel presbiterio, sia nel senso che è chiamato a favorire e sostenere la comunione ecclesiale.
I sacerdoti hanno in comune la vocazione, il sacramento dell’ordine e la stessa missione. Comunione che è l’Amore di Dio, ossia lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori e nello stesso tempo il comandamento di Gesù che riassume tutti gli altri.
Tale fraternità ha tre livelli: quello economico e collaborativo, quello amicale e quello spirituale. Dovrebbero insieme interagire per arricchire una fraternità che richiede un percorso di maturazione umana ed evangelica, mai perfettamente compiuto.
3. Come sto cercando di favorire la fraternità sacerdotale
Ecco alcune mie attenzioni per alimentare la fraternità presbiterale.
♦
D’accordo col consiglio Presbiterale (che è stato rinnovato e che si raduna regolarmente) si progetta per tutto l’anno mediamente due incontri sacerdotali mensili: uno per il ritiro spirituale e un altro per la formazione; uno o due corsi di esercizi spirituali all’anno; gite – pellegrinaggio (siamo stati tre giorni ad Ars – Lyon; una settimana sulle orme di S. Paolo in Turchia e in giugno prossimo visiteremo i luoghi dove sono vissuti Giovanni XXIII, Davide Maria Turoldo e don Primo Mazzolari). Devo dire che la partecipazione è abbastanza buona come numero e qualità.
Nel primo anno ho incontrato tutti i mesi il gruppo dei preti giovani e ho partecipato varie volte agli incontri di Vicaria.♦
Mi sono proposto personalmente di essere sempre disponibile ad incontrare i sacerdoti dando loro precedenza, cercando di ascoltarli seriamente e benevolmente; essere in qualche modo vicino nel giorno del compleanno, onomastico, anniversario di ordinazione; ritrovarci quando è possibile a pranzo o cena; cercare quelli che sono più "lontani"; seguire gli anziani e quelli che hanno problemi di salute o difficoltà di vario genere; collaborare il più possibile nei servizi pastorali da loro richiesti, incoraggiandoli nelle loro attività; pregare ogni giorno per loro.
Sono piccoli gesti di attenzione che servono a stabilire rapporti diretti, semplici e quindi fraterni.♦ Dopo iniziali difficoltà mi sembra buona e valida la testimonianza serena della comunità-comunione nel vescovado con l’emerito S.E.Mons. Pellegrino Tomaso Ronchi (pur tra le normali difficoltà, credo sia una grazia per lui e per me) e con don Francesco Cos¸a, segretario e parroco, disponibile anche ai servizi di casa. Credo che questo aiuti noi tre e sia anche di esempio agli altri.
♦ Sto cercando di valorizzare l’anno sacerdotale attraverso opportune iniziative: nell’orientamento dell’anno pastorale 2009-2010 "Come io ho amato voi" (Gv 15,12) ho scritto che "l’attenzione e l’impegno di quest’anno verterà sul nostro essere e fare comunione"; sono in corso ritiri spirituali e formazione permanente su temi di spiritualità presbiterale e fra poco gli esercizi spirituali, guidati dal Card. S. Piovanelli; abbiamo avuto 24 ore di adorazione eucaristica con la partecipazione di tutte le parrocchie; varie celebrazioni diocesane e parrocchiali nelle quali si prega con la gente per i sacerdoti (centenario dell’episcopato del beato Carlo Liviero; i 350 anni della nascita di S.Veronica; 25° di episcopato di Mons. Ronchi; i 100 anni di Mons. Schivo nel prossimo giugno).
♦ Da circa un anno e mezzo col Consiglio Presbiterale e Pastorale sto proponendo le unità o comunità pastorali. L’unità pastorale è intesa come "l’unione o almeno la collaborazione pastorale di più parrocchie che insistono su un territorio omogeneo e che mantenendo la loro identità parrocchiale e il proprio parroco, svolgono con stile armonico un programma pastorale al quale contribuiscono tutti gli operatori pastorali (sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, laici)".
Mi sembra che questa modalità esprime meglio la chiesa-comunione, favorisce la fraternità dei presbiteri nella dimensione spirituale-amicale-pastorale, aiuta ad affrontare meglio le complesse sfide socio-culturali. La modalità di attuazione sarà diversificata secondo la disponibilità degli interessati: dalla semplice collaborazione a qualche comunità di vita dei presbiteri (coabitazione, mensa comune, frequenti e periodici incontri)7. Occorre in ogni caso qualche regola di vita condivisa e un moderatore.
Devo dire che i laici vedono bene questa prospettiva, mentre da parte dei sacerdoti ci sono resistenze dovute al modo di pensare e di agire un po’ individualistico e a volte clericale, alle difficoltà di carattere e di sensibilità, ed anche ovviamente ai miei limiti, sbagli, peccati. Abbiamo però fiducia perché la comunione fraterna di cui parliamo è opera principalmente dello Spirito Santo che sollecita, da parte nostra, umiltà, fede, pazienza, capacità di perdono, fiducia.
È in atto, grazie a Dio, una buona comunione presbiterale che si esprime a livello diocesano, vicariale ed anche nella collaborazione pastorale, negli incontri regolari di condivisione spirituale (ad esempio ogni lunedì in una parrocchia, ogni sabato in un’altra) e quattro o cinque esempi di coabitazione.
Abbiamo da quattro anni la grazia straordinaria di un’adorazione perpetua (giorno e notte) in una parrocchia e un’adorazione diurna in città. Tale preghiera tiene presente le necessità dei sacerdoti e la domanda di nuove vocazioni.
Ma il cammino è ancora lungo per arrivare a testimoniare una reale e profonda comunione presbiterale. A ciò siamo incoraggiati anche dalla stima e dall’affetto della gente che vuol bene al prete perché avverte che è disponibile, vicino ai problemi di tutti come un fratello e un padre.
Ho fiducia che con la necessaria pazienza tale comunione tra i sacerdoti cresca: ci sarebbe un guadagno spirituale, pastorale ed anche … economico per tutti.
4 Valutazione e prospettive
In base a ciò che ho potuto riscontrare, anche confrontandomi con altri vescovi, i punti deboli del sacerdote oggi sembrano essere i seguenti.
– Insufficiente vita di preghiera personale e comunitaria centrata sulla Parola di Dio, confrontata con la cultura attuale.
– Tendenza a vivere il ministero in modo individualistico.
– Una certa superficialità nel prendere seriamente la formazione/conversione permanente a livello umano-sprituale-pastorale che impegna a coltivare le virtù come la fede e l’umiltà, la povertà e la vita semplice, la castità e il celibato finalizzato alla carità pastorale, l’obbedienza come reale disponibilità a servire senza autoreferenzialità, la vigilanza evangelica sul proprio modo di vivere e di relazionarsi, un ordine di vita confrontato col padre spirituale, l’approfondimento teologico-culturale-pastorale.
– Si evidenziano carenze al livello umano e psicologico, non riconosciute e non curate, scarsa conoscenza di sè, difficoltà a gestire sentimenti ed emozioni per sviluppare maturità affettiva, scarsa disponibilità a farsi aiutare da chi ne ha la capacità.
– Iniziative e attività pastorali non ben ponderate, un po’ abitudinarie, che portano a vivere un ruolo (a volte part-time), magari senza sintonizzarsi con chi ha preceduto e chi lavora vicino.
In genere non si coglie dall’esterno la gioia di essere prete. Si vede più la stanchezza. Col tempo, pian piano, si tende a cercare compensazioni e a riprendere ciò che si era lasciato per seguire Gesù, buon Pastore.
La prospettiva è quella di favorire una vera formazione/conversione permanente, fatta insieme, fraternamente, aiutandoci a prendere sul serio la crescita umana, spirituale e pastorale. Occorre superare la presunzione di essere "già arrivato", di sapere già tutto, di vivere nel ruolo e nel proprio guscio uno stile di vita mediocre o addirittura una doppia vita, sottovalutando possibili casi di grave scandalo.
Il prete che cerca di vivere la comunione con Cristo, con i confratelli e quindi con la gente in modo umile e libero, anche con limiti e debolezze, porta sicuramente un grande contributo alla Chiesa-comunione e alla evangelizzazione del mondo. La chiesa si rinnova a partire dalla comunione presbiterale di preti attenti sia al vangelo, sia all’uomo d’oggi. Insieme con Cristo e con i fratelli il prete può vivere serenamente e gioiosamente il suo sacerdozio; anche in questi tempi complessi sta offrendo testimonianze evangeliche di speranza, di fraternità e di gioia.
1. Non è un caso che Gesù nella sua grande preghiera sacerdotale (Gv 17) per ben cinque volte abbia supplicato il Padre perché i suoi fossero una cosa sola (en), come lui e il Padre (Cf 17,11.21-23). Chiede questa unità perfetta/divina come dono; chiede, proprio nell’espressione finale, che il Padre riversi nei discepoli lo stesso Amore che ha per il Figlio. Allora tale unità assomiglia realmente a quella tra il Padre e il Figlio perché si realizza nello stesso Amore che è lo Spirito Santo (cf Gv 17,26).
Questo è il compimento del progetto di Dio: il nostro essere finalmente "perfetti nell’unità" (consummati in unum), l’opposto della divisione che è il peccato.
2. Qualcuno ogni tanto mi ricorda (e credo possa essere vero) che forse il Signore ha voluto che fossi vescovo per far presente qui il carisma dell’Amore misericordioso anzitutto con i sacerdoti.
Aiutatemi, perché mi sento qui anche a nome della Famiglia religiosa fondata dalla Madre Speranza, a servizio principalmente dei sacerdoti. Penso alle Chiese particolari che sono in Salvador Bahia, Bacabal e Città di Castello come tre chiese collegate in modo particolare all’Amore misericordioso.
Il fatto che sia stato nominato dalla CEI coordinatore nazionale del Congresso Mondiale della Misericordia, è un altro piccolo segno.
Città di Castello, 12 marzo 2010
+ Domenico Cancian f.a.m.
Vescovo di Città di Castello
Diocesi di Città di Castello
(*)
La diocesi di Città di Castello (Dioecesis Civitatis Castelli o Tifernatensis;
eretta nel V° secolo) è una sede della Chiesa cattolica suffraganea
dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve appartenente alla regione
ecclesiastica Umbria. Nel 2006 contava 58.900 battezzati su 60.060 abitanti. È
attualmente retta dal vescovo Domenico Cancian, F.A.M.
La diocesi comprende sette comuni della provincia di Perugia: Città di Castello,
Citerna, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga, San Giustino e
Umbertide.
Sede vescovile è Città di Castello, dove si trova la cattedrale dei santi
Florido e Amanzio.
Il territorio è suddiviso in 60 parrocchie; sono presenti una sessantina di
sacerdoti secolari, una diecina di sacerdoti regolari, una diecina di diaconi e
circa 130 religiose.
2 Si pensi all’enciclica Dives in misericordia, all’esperienza del Grande Giubileo, alla Deus caritas est, alla Caritas in veritate.
3 Costituzioni FAM, art 18.
4 cfr Pastores dabo vobis; Discorso di Giovanni Paolo II ai sacerdoti di Orvieto e Todi, 1981; Lettere ai sacerdoti nel giovedì santo 2001 e 2002 ecc.
5 Benedetto VI, Lettera per l’indizione del anno sacerdotale in occasione del 150° anniversario del "Dies natalis" di Giovanni Maria Vianney, Roma, 2009.
6 Benedetto XVI, Giovedì Santo, 13 aprile 2006.
7 cf PO, n.8.
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ultimo aggiornamento
24 aprile, 2010