una pagina di vangelo a cura di Ermes M. Ronchi
Quando è il pastore a dare la vita
Dal Vangelo di Giovanni 10, 27-30:
In quel tempo, Gesù disse:
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Io e il Padre siamo una cosa sola».
Le mie pecore ascoltano la mia voce». L’ascolto è il nostro primo lavoro, il primo servizio da rendere a Dio e al prossimo, il primo modo per dare all’altro - sia Dio, sia un fratello - l’evidenza che esiste, che è importante per me. Amare è ascoltare.
Ma come riconoscere la sua voce? Come faceva Maria, custodendola e meditandola nel cuore. «Gli uomini si chiamano da un silenzio all’altro, si cercano da una solitudine all’altra. E ogni voce viene da fuori. Ma tu, Tu sei una Voce che suona in mezzo all’anima» (G. Von Le Fort).
In molti dialetti non esiste neppure il verbo ubbidire, sostituito dal verbo ascoltare. Quante volte il lamento dei genitori ripete: quel figliolo non ascolta; quel ragazzo ormai non ascolta più nessuno. E intendono dire: non ubbidisce più a nessuno. È lo stesso lamento di Dio che riempie la bibbia: ascolta, Israele! Ascoltare significa ubbidire.
C’è una sproporzione, tutta a nostro vantaggio, nel vangelo di oggi, tra ciò che Gesù fa per noi, e ciò che noi dobbiamo fare per rispondere al suo dono. Ed è più importante, per una volta, soffermarci su quanto Gesù promette. Lo si fa così raramente. Tutti ci richiamano continuamente al dovere, all’impegno, allo sforzo di far fruttare i talenti, di mettere in pratica i comandamenti, e molti cristiani rischiano di scoraggiarsi per le tante volte che non ce la fanno. E allora è bene, è salute dell’anima, respirare la forza che nasce da queste parole di Gesù: «io do loro la vita». La vita di Dio è data, presente dentro di noi come umile seme, che inizia quasi a muoversi nel cuore ogni volta che sfioriamo Gesù un po’ più da vicino (A. Louf).
«Nessuno ti rapirà dalla mia mano». Nessuno, né angeli né uomini, né vita né morte, né presente né futuro, nulla potrà mai separarci dall’amore di Cristo (Rom 8,38). La forza e la consolazione di questa parola assoluta: «nessuno». Subito raddoppiata: «ti rapirà mai». C’ è un verbo non al presente, ma al futuro a indicare un’intera storia, lunga quanto il tempo di Dio. L’uomo è, per Dio, una passione in grado di attraversare l’eternità.
«Nessuno mai, dalla mia mano»: mani che hanno dispiegato i cieli e gettato le fondamenta della terra, mani di vasaio sull’argilla dell’Eden, mani di creatore su Adamo addormentato e nasce - estasi dell’uomo - Eva; mani inchiodate alla croce per un abbraccio che non può più terminare. Nessuno ti separerà da queste mani: sono parole per darci coraggio. Come passeri abbiamo il nido nella sua mano. Come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere. Come crocifissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita.
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ultimo aggiornamento
19 maggio, 2010