2009 - 19 giugno - 2010 - ANNO SACERDOTALE |
† Giancarlo Petrini, Vescovo Ausiliare di Salvador - Bahia (*) |
Vice Preside della Sezione brasiliana del Pontificio Istituto
Giovanni Paolo II |
La fraternità con il proprio presbiterio a Salvador de Bahía
La vita e la missione del sacerdote affrontano grandi sfide nel nostro tempo che esigono una radicalità che forse in altri tempi sembrava meno urgente. A questo riguardo, il Documento di Aparecida dice "Si apre il passaggio a un nuovo periodo della storia, caratterizzato dal disordine generalizzato che si propaga attraverso nuove turbolenze sociali e politiche, la diffusione di una cultura distante e ostile alla tradizione cristiana e l’emergenza di varie offerte religiose che cercano di rispondere, a loro modo, alla sete di Dio che i nostri popoli manifestano". (DA 10)
Nel numero seguente, il Documento di Aparecida, ricordando un passaggio della Novo Millennio Ineunte (28-29) diceva: "A ciascuno di noi tocca ricominciare da Cristo", a ciascuno di noi, dunque anche ai sacerdoti, tocca ricominciare dal fascino di Gesù Cristo, dall’attrazione che la sua persona ha esercitato in qualche momento nel cammino vocazionale e che può essere risvegliata, rinnovata ora, nelle circostanze presenti, ci tocca ricominciare dalla sua presenza che ci raggiunge nel volto umano della Chiesa e che può essere riconosciuta e accolta, perché diventi ancora la fonte di un’esperienza umana ricca di bellezza e di significato, di gratitudine e di gioiosa testimonianza.
Quando Gesù risorto è apparso agli apostoli riuniti, ha mostrtato loro le mani e il fianco, ci dice il Vangelo. Cioè, ha mostrato i segni di quelle che erano state ferite dolorose e mortali, ma ora sono i segni della vittoria sul male e sulla morte, i segni della vita nuova, appunto, della risurrezione. La testimonianza più persuasiva, che rende presente l’attrativa propria di Gersù è che anche noi sacerdoti possiamo mostrare le mani e il fianco, cioè, i segni di ferite che erano per noi fonte di dolore e di morte, ma che ora, curate dalla Presenza amorosa e misericordiosa di Cristo, costituiscono i segni della sua vittoria, della redenzione in atto, della convenienza, dunque, a seguirlo, ad appartenergli.
Così, a tutti i Tommaso di oggi che fanno fatica a credere, come l’apostolo di quei tempi antichi, possiamo mostrare un’umanità rinnovata, redenta, un modo differente di vivere l’affetto, il lavoro, la paternità e la maternità, la malattia, insomma, tutti gli aspetti più ordinari e quotidiani della nostra esperienza, un modo più carico di significato, di bellezza, che rende visibile una umanità più intensa e più appassionata, entusiasta del cammino di realizzazione, certa del bene incontrato.
Infatti è proprio nel modo di vivere il quotidiano con i suoi drammi e le sue sfide che emerge un’umanità frammentata e sperduta, invasa dalla cultura della banalità e dal ripiegamento sui propri interessi e sul calcolo di possibili vantaggi, tendente alla depressione, salvo momenti di euforia per qualche emozione o un’umanità che si riconosce voluta, amata dal Mistero che fa tutte le cose, depositaria del dono che Gesù fa di se stesso, commosso davanti alla condizione di indigenza umana nella quale ci troviamo.
Da questo riconoscimento e da questa differenza di umanità rinasce ogni giorno il sacerdote "nuovo", discepolo attento e appassionato, testimone della misericordia che lo accoglie e lo abbraccia, missionario indomabile per annunciare a tutti la bellezza dell’incontro con Cristo che rinnova la vita, disposto a servire la Chiesa nella semplicità e nella gioia.
È possibile vivere così, anche se non è facile trovare sacerdoti mobilitati da questa intensità di coscienza, sacerdoti nei quali traspare un cuore traboccante di gratitudine per la Presenza di Cristo, la cui azione pastorale fiorisce sul si detto a Gesù Cristo simile a quello di Pietro: "Ma tu, mi ami più di questi altri?". Si, Signore, Tu sai tutto, Tu sai che io ti amo". Per questo, la Pastores dabo vobis afferma: "Il ministero ordinato può essere esercitato solo nella misura in cui il presbitero è unito a Cristo" (PV 17). "Infatti, il sacerdote dovrebbe essere colui che è delegato e dotato di autorità da Cristo, cioè dall’alto, afferma Hans Urs von Balthasar in "Il prete che io cerco", recentemente pubblicato dalla Queriniana. E continua: "Se gli manca l’esperienza, non potrebbe proclamare credibilmente la parola di Dio neppure dal pulpito".
Ed anche il venerabile Papa Giovanni Paolo II, nell’ultima della lunga serie di lettere ai sacerdoti in occasione del Giovedi Santo, afferma: "Noi siamo i primi il cui intimo è raggiunto dalla grazia che, liberandoci dalle nostre fragilità, ci fa gridare ‘Abbà, Padre’, con la fiducia propria di figli" (Giovedi Santo, 2005, n. 4). E commentando le parole "Accipite et manducate... accipite et bibite..." lo stesso Papa dice: "L’auto-donazione di Cristo, che ha la sua sorgente nella vita trinitaria del Dio-Amore, raggiunge la sua più alta espressione nel sascrificio della Croce, la cui anticipazione sacramentale è l’Ultima Cena. Non è possibile ripetere le parole della consacrazione senza sentirsi implicato in questo movimento spirituale, (...) facendosi dono". (ivi, n. 3)
Nessun sacerdote può vivere con questa profondità di coscienza e di offerta di se solo perché ha letto qualche libro di teologia o di spiritualità. È molto importante continuare ad alimentare l’intelligenza ed il cuore con letture adeguate, ma ci vuole qualcosa di più. È necessario avere davanti agli occhi persone che già vivono questa realtà e testimoniano il fascino di Cristo e l’entusiasmo per la loro dedicazione sacerdotale. Il metodo è seguire qualcuno che ci cammina davanti e mostra come ragionevole e conveniente quello che alla nostra sensibilità, così facilmente inquinata dalla mentalità dominante, sembrerebbe eccessivo o perfino disumano.
Da 25 anni faccio parte di una fraternità sacerdotale a livello nazionale, che ha avuto e continua ad avere un grandissimo significato nella mia vita. Un prete incontra difficoltà che a volte sembrano insormontabili e, di fatto, lo sono se esse sono affrontate in modo solitario. Basta pensare alle pressioni ideologiche esterne ed interne alla realtà ecclesiale; alla durezza dei contesti urbani, specialmente nelle periferie delle grandi città e ai drammi di persone e di famiglie che quotidianamente sono condivisi; oltre alle normali difficoltà in ambienti molto "liberati". L’appartenenza ad una fraternità, i rapporti di amicizia sincera con altri sacerdoti, la facilità a condividere preoccupazioni e problemi, costituiscono un aiuto indispensabile per vivere con equilibrio e giustizia le diverse circostanze, che diventano motivo di una più grande maturità di fede e di azione pastorale. La fraternità è il concreto veicolo attraverso il quale il Signore si rende presente in maniera sensibile ed usa misericordia con noi, agisce vincendoci con il Suo amore.
Anche nella città di Salvador, dove vivo da 21 anni, una piccola fraternità sacerdotale offre lo spazio settimanale per un momento di incontro, per recitare insieme l’ora media, per meditare insieme un testo del magistero, per condividere l’esperienza pastorale della settimana, per godere della buona tavola, per chiedere perdono dei propri peccati. Partecipano soprattutto giovani preti, già chiamati a grandi responsabilità pastorali, che hanno vinto la tendenza a rimanere da soli.
Infatti, la maggior parte riserva il lunedi per fare le cose preferite, per le quali non rimane tempo negli altri giorni della settimana, immaginando che questa sia la maniera migliore di riposarsi e di fare il sognato relax. In realtà, il riposo che cerchiamo è una vera ri-creazione, cioè un rinnovamento del cuore che nella semplicità della fraternità, incontra di nuovo la sua vocazione e la sua fatica abbracciate da Cristo. Quando è Lui che ci dice: "Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati, Io vi darò ristoro", allora il cuore riposa veramente, siamo ricreati nella verità della nostra vocazione e nella certezza che nel nostro si sincero a Colui che ci chiama, troviamo simultaneamente la più grande soddisfazione, la realizzazione della nostra vita, ed il bene più grande che possiamo fare agli altri.
Allora, il dono più grande che l’anno sacerdotale può portare ad un sacerdote è proprio il risvegliarsi di una profonda affezione alla propria vocazione e la conquista della certezza che essa si rinnova nella semplicità di una fraternità sacerdotale, dove è possibile riconoscere che il Verbo incarnato ci raggiunge e la Sua Misericordia ci avvolge attraverso la testimonianza reciproca che i sacerdoti si scambiano.
(*)
L'arcidiocesi di San Salvador di Bahia, in Brasile, è una sede
metropolitana della Chiesa cattolica appartenente
alla regione ecclesiastica Nordeste 3. Nel
2004 contava 2.495.439 battezzati su 3.544.658
abitanti. È attualmente retta dall'arcivescovo
cardinale Geraldo Majella Agnelo,
coadiuvato da tre vescovi ausiliari: Josafá Menezes da Silva,
Gregório (Leozírio) Paixão Neto, João
Carlos Petrini. L’arcidiocesi su un territorio di 6.241
km quadrati, è divisa in 109 parrocchie, con 142
sacerdoti secolari e 121 regolari, con 222 religiosi, 775 religiose e 49
diaconi. La diocesi di San Salvador di Bahia fu
eretta il 25 febbraio 1551; il
16 novembre 1676 la diocesi è
stata elevata ad arcidiocesi
metropolitana; successivamente - tra il 1854 e il 1974 - ha ceduto a
più riprese porzioni di territorio a vantaggio dell'erezione di nuove
diocesi. Il vescovo ausiliare Mons. Giancarlo Petrini è membro della
Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso quale sacerdote diocesano
con voti.
Sede arcivescovile è la città di Salvador, dove si trova la
cattedrale della Trasfigurazione del Signore.
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ultimo aggiornamento
19 maggio, 2010