da giornalista, non posso darti torto. È da tempo che si parla di
questo potere esorbitante, al limite di tutte le regole. Una
comunicazione manipolata dalle ideologie, dagli interessi, drogata
dalla violenza, dal sesso, deformata, accusata di inventare la
realtà, di fornire apparenze, di dare per reale il virtuale, per
esistente solo quello che dice.
Immagini di brutalità, minori espropriati di ogni tutela, licenza di
uccidere i "mostri", che risultano poi innocenti, dissacrazione dei
valori della famiglia, volgarità sempre più crescente nel
linguaggio, nello stile.
Sì, l’informazione è sotto processo. Una informazione che ha la
Carta di Roma a tutela dal razzismo, la Carta di Treviso
a protezione dei minori, la Carta dei doveri, la presunzione
di innocenza, il protocollo ex art. 25 della legge sulla
privacy... come contarli tutti? Codici deontologici firmati
regolarmente da noi giornalisti, ma spesso - lo ammettiamo -
calpestati.
Così, il recettore si domanda, sempre più, dove sia la verità dei
fatti (l’obiettività, la completezza, il pluralismo); dove sia
l’utilità sociale dell’informazione (il rispetto
dell’essenzialità dei fatti, il divieto dei dettagli di violenza, di
crudeltà); dove sia la dignità di stile (l’informazione che
grida sempre più forsennatamente, sempre più militante).
Che cosa in definitiva? Abbiamo il bisogno di una notizia "risorta".
Una notizia, cito quel grande poeta che è stato Mario Luzi, capace
di "dare un senso alla speranza nella inquieta aspettativa del
mondo".