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Credo in un solo Signore Gesù Cristo
Sac. Angelo Spilla
«È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale ci ha scelti in lui prima della fondazione del mondo e ci ha predestinati ad essere adottati in figli, perché in lui volle accentrare tutte le cose (cfr. Ef 1,4-5 e 10). Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ci ha rivelato il mistero di lui, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione. La Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo. Questo inizio e questa crescita sono significati dal sangue e dall’acqua, che uscirono dal costato aperto di Gesù crocifisso (cfr. Gv 19,34), e sono preannunziati dalle parole del Signore circa la sua morte in croce: «Ed io, quando sarò levato in alto da terra, tutti attirerò a me» (Gv 12,32). Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato (cfr. 1 Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si rinnova l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr. 1 Cor 10,17). Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui siamo diretti». (Lumen Gentium, 3)
Signore Gesù, facci conoscere il Padre
In un momento della vita pubblica di Gesù, l’apostolo Filippo chiese al Signore: "Mostraci il Padre". La tal cosa equivale all’espressione: facci conoscere qualcosa di Te, del Tuo essere Figlio di Dio, della realtà di Dio.
Come a Filippo, anche a noi Gesù, risponde: "Chi ha visto me, ha visto il Padre…Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere."1.
Sono le parole e le opere stesse di Cristo che ci suggeriscono una conoscenza nuova del volto del Padre. Il Signore Gesù dice di sé che Egli è nel Padre. Cristo ci può, dunque, rivelare il vero volto del Padre, ci può condurre a una nuova conoscenza che non si fonda sul "sentito dire", ma che è un "vedere" il Padre proprio perché è in Lui. E’ così unito a Lui da farsi voce del Padre e da compiere soltanto le opere del Padre: "Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse"2 .
Gesù indica, poi, il modo per vedere Dio: bisogna guardare a lui. Gesù diventa, insomma, il volto umano che Dio ha assunto per manifestarsi, per stabilire con noi la sua amicizia, per instaurare la piena comunione di vita con lui.
Dobbiamo mettere da parte la nostra idea di Dio per accogliere il volto che Gesù ci rivela. Solo Gesù ci rivela il Padre in pienezza, è Lui la porta che apre alla realtà del Padre affinché possiamo renderci consapevoli della nostra identità di figli di Dio.
È ascoltando e guardando Gesù che possiamo riuscire a comprendere l’infinito amore e la sorprendente misericordia di questo nostro Padre.
S. Cirillo di Alessandria ci dice : "Padre è il nome più vero di Dio, il Suo nome proprio per eccellenza". Proprio grazie a Gesù noi abbiamo il privilegio di rivolgerci a Dio chiamandolo Padre.
Madre Speranza nella novena all’Amore Misericordioso così ci fa pregare:"Padre. E’ il titolo che conviene a Dio, perché a lui dobbiamo quanto è in noi nell’ordine della natura e in quello soprannaturale della grazia che ci fa suoi figli adottivi. Vuole che lo chiamiamo Padre perché, come figli, lo amiamo, gli obbediamo e lo onoriamo, e per ravvivare in noi l’amore e la fiducia di ottenere quanto gli domandiamo".
Gesù stesso, poi, si presenta a noi come l’inviato dal Padre: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito"3. Siamo chiamati a vedere in Gesù questo Padre che ci ama, ci accompagna e ci perdona. Mediante Gesù siamo diventati "figli nel Figlio" e, nell’unico Figlio, tutti i fratelli in quanto chiamiamo "Padre" la stessa Persona.
Con l’apostolo Filippo chiediamo anche noi di riuscire a scoprire il vero volto del Padre, ossia "la pura gioia del donare senza riserve, il principio senza principio delle altre persone divine e poi di tutta la realtà, verso il quale tutto deve ritornare nella gratitudine, nella lode e nell’obbedienza"4.
Ricordiamoci anche che c’è un momento in cui questo nostro Padre manifesta pienamente il suo volto: è sulla croce. Lì c’è la rivelazione più alta del suo amore per ognuno di noi; lì appare in tutto il suo splendore la sua gloria, così come ce lo ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei quando dice di Gesù:"Egli è l’irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza"5 .
"Chi ha visto me, ha visto il Padre… Non credi?". Questo vedere equivale a credere. Solo la fede, infatti, discerne la presenza del Figlio nel Padre e del Padre nel Figlio.
Ripartire da Cristo
A conclusione dell’Anno Santo Giovanni Paolo II, sentinella vigile e pastore sollecito, invitando noi cristiani a non indugiare in atteggiamenti di autoesaltazione dopo le varie celebrazioni giubilari, ha affermato:"Ora è il tempo di andare avanti". Ed ha anche consegnato alla Chiesa una lettera apostolica, Novo Millennio Ineunte (All’Inizio del Nuovo Millennio), con motivazioni, indicazioni, modalità circa "l’andare avanti". Il tutto con determinazione e chiarezza.
Tra le linee programmatiche, il Papa sottolinea una priorità:"In primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità".
La santità consiste nel "ripartire da Cristo" che significa incontrarlo, aprirsi al suo amore, lasciarsi attraversare dallo Spirito che trasforma e santifica. Ripartire da Cristo e camminare. Il camminare indica l’impegno dell’azione, l’andare avanti, il progredire, il coraggio della fatica.
È il Signore Gesù a mostrarci la strada della vita, la strada alla felicità, anzi è Lui questa strada.
Quante volte noi avvertiamo l’incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria. Questo oggi è molto diffuso. L’incapacità di gioia suppone e produce l’incapacità di amare, produce l’invidia, l’avarizia.
Il vero problema del nostro tempo è la "crisi di Dio", l’assenza di Dio, camuffata da una religiosità vuota.
La nostra vita deve tornare a parlare di Dio e con Dio. "L’unum necessarium" per l’uomo è Dio. Purtroppo anche noi cristiani viviamo spesso come se Dio non esistesse. La sequela di Cristo ci permette di comprendere questo bisogno di Dio. La santità, quindi, continua ad essere per noi credenti la sfida più grande.
Non abbiamo paura di accettare questa sfida: essere uomini e donne santi! Siamo dunque segno della presenza di Gesù nel mondo.
La santità consiste nel portare a maturazione e a completo sviluppo il germe di vita divina che è in noi. Significa vivere sempre più perfettamente da figli di Dio quali siamo, seguendo l’esempio e l’insegnamento di Gesù.
Sempre nella Novo Millennio Ineunte Giovanni Paolo II ci ha fornito la definizione della santità quale "misura alta della vita cristiana ordinaria"6. Santità è scoprire quanto Dio ci ama e decidere di amarlo.
Come Maria che si dona, fin dal primo istante della sua vita; si dona a suo Figlio, Dio fatto uomo: ella è tutta per lui. Anzi, Maria si dona interamente alla missione del Figlio.
C’è bisogno di cuori disponibili ed appassionati che accolgano questa chiamata e rendano possibile il miracolo della santità nel tempo.
Tutti siamo chiamati alla santità.
Nove più uno: sappiamo ringraziare Dio?
L’evangelista Luca ci presenta il racconto della guarigione di dieci lebbrosi da parte di Gesù7.
Erano dieci, uniti - al di là della diversità - dalla stessa sofferenza, quella della lebbra e quindi dalla stessa esclusione e dalla stessa speranza. Dopo essere andati da Gesù, si ritrovano tutti guariti. Nove compiono le pratiche necessarie per essere reintegrati nella comunità d’origine. Ritrovano la vita di sempre poiché diventano di nuovo puri.
Solo il samaritano, invece, torna indietro con il cuore colmo di riconoscenza verso Gesù e canta la bontà di Dio. Solo lui, infatti, è entrato nel mondo della tenerezza di Dio, che si è rivelata in Gesù Cristo. Tutti sono stati guariti ma solo lui, il samaritano, viene salvato.
È l’uomo che ha riconosciuto non solo il bene ricevuto, ma anche l’intermediario scelto da Dio per comunicare i suoi doni. È l’unico che ha capito che la salvezza di Dio giunge agli uomini attraverso Gesù. E lo va a ringraziare.
Il samaritano è stato l’unico che ha dato gloria a Dio, l’unico che ha capito subito che la salvezza di Dio giunge a noi attraverso Gesù. È stato colui che ha riconosciuto non solo il bene ricevuto ma anche l’intermediario scelto da Dio per comunicare i suoi doni. Ha voluto proclamare per questo davanti a tutti la sua riconoscenza con il ringraziamento.
Nella nostra vita, poi, può accadere che scambiamo la salvezza con il miracolo. Tanti cristiani corrono al Signore per chiedere il miracolo solamente. Ma il miracolo non è mai fine a se stesso. È un segno che deve servire a elevare a un significato.
Intanto si nota che c’è chi ricerca i miracoli a tutti i costi e si ferma ad essi e alla loro utilità immediata. Proprio come i nove lebbrosi guariti. In questi, che non tornano indietro, si legge l’atteggiamento utilitaristico di chi cerca il miracolo per il miracolo. Ma nel samaritano, che è tornato a ringraziare, vediamo l’atteggiamento giusto di chi non cerca solo i miracoli di Dio, ma prima ancora il Dio dei miracoli. Il samaritano non ha ottenuto solo la salute, ma anche la salvezza. Ha saputo tornare e ringraziare. Ha saputo soprattutto professare solennemente la propria fede nel Cristo Salvatore.
Il tema della gratitudine non riguarda i soli lebbrosi, ma anche noi. E non si tratta solo di un eventuale passaggio dalla malattia alla salute, o qualcos’altro di simile ma, prima ancora, del passaggio dal nulla all’esistenza, cioè del dono della vita.
Sappiamo riconoscere anche noi il dono ricevuto, sappiamo aprirci alla fede, cioè alla comprensione che quanto ci è accaduto non è stato un dovuto ma un dono di Dio. Tocca a noi comprendere il dono di amore di Dio nei nostri confronti, accettarlo, e per tutto dire grazie.
Viviamo in atteggiamento di ringraziamento e di lode a Dio da cui tutto viene in dono.
Tutta la Sacra Scrittura è pervasa da sentimenti ed espressioni gioiose di benedizione, lode e ringraziamenti a Dio. Gesù stesso, con il suo esempio, ci insegna ripetutamente a ringraziare e a rendere lode al Padre8. Anche l’apostolo San Paolo nelle sue Lettere, come un ritornello, scrive: "Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi"9 e a noi, poi, raccomanda di "abbondare nell’azione di grazia"10.
Il gusto della riconoscenza è una fondamentale virtù cristiana. È un aprire gli occhi con verità sul reale, è il saper dire grazie con spontaneità sincera, il provare una gratitudine che sia scelta libera, compiuta da chi capisce il senso della sua esistenza e perciò lascia parlare il cuore.
Il ringraziamento, dunque, è nelle nostre mani.
1 Gv 14, 9-10.
2 Gv 14, 11.
3 Gv 3,16.
4 Catechismo degli adulti, n. 333.
5 Eb 1,3.
6 Novo Millennio Ineunte,31.
7 Lc 17,11-l9.
8 Gv 11,41; Lc 10,21; Mc 14,23; Mt 15,36.
9 1 Cor 1,4; Fil 1,3; 1 Ts 2,1.
10 Col 2,7.
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ultimo aggiornamento
13 luglio, 2011