pastorale familiare Marina Berardi
L’Amore
“più autentico”
Nel precedente articolo scritto a più mani, o forse, visto l’argomento, sarebbe più giusto dire, a più cuori, riproponevo la significativa esperienza di alcune coppie di fidanzati che, preparandosi al matrimonio, si sono lasciate conquistare da Cristo e dalla sua totalizzante proposta di una amore fedele, per sempre.
È stato bello condividere con loro l’entusiasmo di chi ha nel cuore un grande progetto e un ideale percepito come invincibile, che non può morire perché fatto per la vita, per la felicità, per l’Eternità… É stato bello accompagnarli a guardare con realismo al loro amore fatto anche di fragilità, di limite, di timori, di contraddizione, di peccato... per scoprire che solo chi "ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt 7,24) resiste al soffiare dei venti, allo straripare dei fiumi e alle forti piogge che, inevitabilmente, arriveranno con tutta la loro forza, ma che non potranno mai spegnere l’amore (cf. Ct 8,7).
Una simile saggezza, come ha detto lo stesso Gesù, nasce dall’ascolto e dal far vita la sua Parola; si alimenta e cresce seguendo l’invito rivolto, da Maria, ai servi: "Qualsiasi cosa [Gesù] vi dica, fatela" (Gv 2,5).
Si tratta di scegliere se stare tra "i saggi" o tra "gli stolti", tra coloro che vivono in attitudine di apertura, di ascolto, di dono riconoscente o tra coloro che si barricano nelle proprie posizioni, in silenzi, chiusure, in rigide pretese.
Vi ripropongo una pagina degli scritti di Madre Speranza in cui commenta il passo di Matteo 7, nella convinzione che queste riflessioni possono aiutare anche ogni famiglia a far luce nella propria casa, a far verità nella propria vita, a riconoscere su quali fondamenta sta proprio costruendo il rapporto e se sia necessario "distruggere" la propria casa e riedificarla su Cristo, unica roccia salda:
"Il saggio che costruisce sulla roccia la sua casa, che né i venti né le piogge fanno crollare, è l’uomo buono che edifica la casa dell’anima sulla roccia forte della fede, unita alle opere della carità, e non è vinto dalle tentazioni delle passioni terrene.
Lo stolto che edifica sulla sabbia la sua casa, che perciò viene distrutta dalle piogge e dai venti, è l’uomo che ascolta la parola di Dio, ma non la custodisce; o quello che ha fede, ma non ha le opere della carità; o che ha una fede mischiata alla terra sabbiosa degli affetti per le cose della terra: beni, onori, comodità, incarichi elevati, la propria volontà. Costoro quando sopraggiungono i venti delle tentazioni cadono facilmente nel peccato.
Dove abbiamo costruito noi la casa della nostra anima? Se l’abbiamo costruita come l’uomo stolto, distruggiamola immediatamente e riedifichiamola sopra la roccia stabile della fede e della carità, e riempiamola di amor di Dio e di opere buone. Combattiamo, la superbia della vita con l’umiltà; l’ambizione dei piaceri, del benessere e delle comodità con la mortificazione, la pazienza e l’astinenza; la cupidigia degli occhi con la carità e la giustizia. Non dimentichiamo che la fede senza la carità e le buone opere è morta" (El Pan 8, 691-693).
Distruggere e riedificare, se ce ne fosse bisogno, pur di salvare l’amore, pur di evitare di essere "sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore" (Ef 4,14).
Oggi appare difficile identificare il "saggio" e lo "stolto", in una cultura che tenta di rimuovere i punti fermi, i termini di confronto, i riferimenti valoriali, che pretende, in una parola, di eliminare "la Verità", per sancire la supremazia delle mille verità soggettive che aprono le porte a una totale anarchia.
A proposito di "dottrine" ingannevoli, non posso non condividere l’impressione provata nel leggere un trafiletto pubblicato a fine giugno dal settimanale OGGI, a firma di un notissimo professore. Questi tenta, su basi scientifiche, di sovvertire totalmente il concetto di famiglia fondata sulla diversità di genere, ipotizzando "una nuova etica dell’amore. E con essa una nuova coscienza civile", in riferimento a un’umanità sempre più bisex e ad una specie umana che "si va evolvendo verso un ‘modello unico’, dove le differenze tra uomo e donna continuano ad attenuarsi".
L’autore continua: "Comprendo ma non condivido la preoccupazione della Chiesa contro ogni forma di matrimonio che non sia quella tra maschio e femmina, perché il fine primario del matrimonio, secondo il diritto canonico, è la procreazione e l’educazione della prole. Ma l’amore omosessuale non ha secondi fini, è fine a se stesso, e quindi è più autentico e più vero".
Solo una semplice riflessione, su un tema che meriterebbe attenzione e cura, uniti a tanta chiarezza.
Anche io prendo atto ma non condivido la pressante preoccupazione di quella parte di cultura che pretende di affermare la propria "laicità" eliminando le differenze, sovvertendo le leggi della natura, denigrando la tradizione, aborrendo quanto sa di rinuncia, di mortificazione, di astinenza, di dolore o di superamento di sé, per esaltare l’io e la propria volontà, a discapito della verità. Una verità che va cercata nella carità (cf. Ef 4,15), nel rispetto dell’altro, attingendo al valore ontologico della persona e all’essenza dell’amore umano.
Il mio riferimento non è scientifico ma biblico perché, come dice la Gaudium et Spes al n. 22, è Cristo che "rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa notare la sua altissima vocazione".
Per farlo, Dio sceglie una coppia, il loro amore, per manifestare il suo e svelare se stesso: "Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gen 1,25).
La vocazione dell’uomo e della donna è l’amore, perché Dio è Amore. L’autentica saggezza nasce da un amore che sa farsi dono, partecipazione, offerta di sé.
"Non è vero forse quanto vi ho detto mille volte che l’amore si alimenta col sacrificio e che con l’amore diventa dolce anche il soffrire? Si, Gesù è amore , e l’amore è come il fuoco che consuma; l’amore è attivo e come il fuoco non è tale se non riscalda e brucia così l’amore se non agisce, se non soffre e non si sacrifica non è amore" (M. Speranza, El pan 5, 44).
Un amore "fine a se stesso", anche in una coppia eterosessuale, non lo si chiamerebbe amore e tanto meno lo si definirebbe "più autentico". L’amore fine a se stesso è destinato a spegnersi, perché l’amore autentico "è pronto al sacrificio. Non si stanca, non viene meno e scoprendo ogni giorno nell’amato nuove bellezze, nuovi incanti, desidera ad ogni istante sacrificarsi e morire per lui" (M. Speranza, El pan 5, 45).
Amare è dare la vita, come legna che alimenta il fuoco, ma è anche dare alla vita.
"La procreazione e l’educazione della prole" non rispondono, dunque, ad una esigenza egoistica e tanto meno sono da intendere come una condanna o una sventura, ma come la logica conseguenza di un amore che, quando è veramente autentico, - come diceva M. Speranza - desidera comunicarsi, espandersi, partecipare all’altro il valore più grande che ciascuno ha ricevuto in dono: la propria vita, perché l’altro l’abbia in abbondanza (cfr. Gv 10,10).
Amare "da Dio" è un dono che va domandato, da qui l’invito di M. Speranza: "Chiediamo a Gesù che nei nostri cuori arda il fuoco divino della carità reciproca, che non risparmia sacrifici, anche a prezzo della propria vita" (M. Speranza, El pan 5, 71).
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ultimo aggiornamento
08 settembre, 2011