Carissimo,
"entrare
nella città", fu l’invito di Gesù all’uomo guarito. È il mandato per
ciascuno di noi. Uscire da noi stessi, entrare nel "cortile dei
gentili", nella storia di ogni giorno, che è sempre storia sacra,
della speranza, del futuro.
1. Siamo ancora sull’onda del grande evento, la
beatificazione di Giovanni Paolo II.
Un Papa che si è ritrovato nel solco dell’uomo, nelle ferite dei
popoli, nel segno della libertà. Un Papa che ha travolto i muri, che
ha contrastato le ideologie, che ha accusato le colpe della Chiesa,
che ha fortemente rivendicato le radici di un’Europa cristiana.
Giovanni Paolo II, il passaggio al terzo millennio, il vento dello
Spirito, eppure icona povera, sofferta, di Cristo nella profezia di
Isaia.
2.
Ci troviamo a
ridosso di un avvenimento, di una memoria, di cui, come cattolici,
ci sentiamo significatamente partecipi. Mi riferisco ai 150 anni
dell’Unità d’Italia. Una unità avvenuta in palese, forte ostilità ai
valori della fede; con una conseguente legislazione punitiva,
sospinta da fonti e prevaricazioni anticlericali.
Eppure, una unità dentro la quale le testimonianze e gli impegni dei
cattolici, la profezia, la santità, la creatività nel sociale, ci
fanno dire, a tutto titolo, che i 150 anni appartengono anche a noi,
cattolici.
3.
Tra le
macerie dell’informazione, la testimonianza degli isolani di
Lampedusa, degli uomini di mare, di terra, dei volontari, che si
sono caricati della tragedia di questo tempo, l’esodo infinito dei
popoli che sbarcano sulle nostre coste a mendicare pane e libertà.
Un particolare di significato altissimo, l’amore di qualcuno che ha
realizzato con il legno delle imbarcazioni naufragate una Croce,
simbolicamente esposta nella Chiesa agrigentina come grido di
solidarietà, come vendetta al cospetto di Dio.
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