esperienze  
 

Paolo Risso

A 65 anni dalla fine della 2ª guerra mondiale

«L’EMMANUELE»
A DACHAU

Mauthausen, campo di concentramento tra Linz e Vienna. Nell’ottobre 1944, arriva l’ordine: tutti i preti a Dachau! A metà novembre, anche don Roberto Angeli, colà prigioniero, trasloca nel lager presso Monaco, a Dachau appunto. In due baracche, la 26 e la 28, erano stati concentrati 1500 sacerdoti, ammassati come sardine in una scatola, in situazioni bestiali. Anche lì, imperversava la spietata egemonia delle SS, mentre il gelo e la neve ghiacciate mordevano le povere membra di persone sempre più scarne.

Una piccola Ostia bianca

La mattina dell’8 dicembre 1944, festa di Maria SS.ma Immacolata, si accese nei preti deportati e in molti altri, una grande Luce. Nessuno la vide all’esterno, ma illuminò loro il cuore e li rifece sentire uomini, anzi molto più che uomini: sacerdoti quali essi erano.

In una di quelle baracche, la 26, c’era la cappella e vi si poteva celebrare la Messa. Sfidando le severe proibizioni, con rischio grave, uno dei preti della baracca 26 si portò al blocco di "quarantena", dove c’erano quelli giunti da poco tempo. Portava alcuni pacchetti di sigarette… Ma a ognuno diede l’Ostia consacrata.

Ecco: l’Ostia santa: era il dono più grande e più bello, infinito come Dio, Gesù Eucaristico, il Figlio di Dio. Così, molti di quei preti, dopo diversi mesi poterono ricevere la seconda prima Comunione, passeggiando al buio nel cortile di un lager.

Nessuno potrà descrivere ciò che essi provarono allora. Nel cielo tersissimo, c’era una seminata di stelle. In loro, una grande luce, la più grande che ci sia su questa terra: c’era Dio-con-noi, l’Emmanuele, il Signore Gesù, il "pio Pellicano", che nutre i suoi delle sue carni divine.

Quella mattino era anche la festa di Maria Immacolata, Madre di Dio e nostra Corredentrice.

Preti e anche numerosi laici nel lager di Dachau. Proprio la piccola SS.ma Ostia, Gesù Eucaristico, Sacerdote e Vittima, Pane di vita eterna, fece di loro dei capolavori di Dio.

Il 9 ottobre 1944, era giunto da Torino, deportato a Dachau, P. Giuseppe Girotti, domenicano, nato a Alba (CN) nel 1905, "colpevole" di aver aiutato e nascosto ebrei perseguitati, ispirandosi alle direttive del Venerabile Santo Padre Pio XII, come facevano, si può dire, tutti i confratelli sacerdoti. Allievo del grande P. Joseph Lagrange, alla Scuola Biblica di Gerusalemme, da cui era uscito del 1934 "prolita in Sacra Scrittura", tra i preti e i religiosi di Dachau, si distinse per la sua scienza biblica e teologica, la carità e la mitezza, la continua preghiera eucaristica e mariana.

Anche a lui, in misero stato di detenuto e messo in "quarantena", per imparare la terribile vita del lager, qualcuno portò spesso la Comunione eucaristica, affinché in Gesù trovasse luce e energia di cui aveva bisogno. Si spense il 1° aprile 1945, giorno di Pasqua, forse ucciso da un’iniezione di benzina. Sul suo giaciglio rimasto vuoto, un compagno che lo aveva conosciuto, scrisse: "S. Giuseppe Girotti". Di lui, è in corso la causa di beatificazione.

È già commovente quanto fin qui narrato, ma stupisce sapere che proprio a Dachau, in quei mesi terribili dall’autunno 1944 alla primavera 1945 – dunque 65 anni orsono – si realizzò quasi un convento di santi radunati casualmente (o provvidenzialmente?) insieme e diventati intensamente amici tra loro, in un campo di sterminio.

Nello stanzone-cappella era stata posta una statuetta lignea della Madonna con il Bambino Gesù in braccio. Ai suoi piedi, invocata come Nostra Signora di Dachau, si raccoglievano da soli o insieme, i detenuti, preti e laici, a invocarla "sorgente della nostra gioia" e "speranza dei disperati", nelle ore più cupe. Ed ella sorrideva a quei martiri.

Il primo di costoro era Mons. Giuseppe Beran, allora rettore del Seminario di Praga, poi Arcivescovo della stessa nobile città, quando sarà di nuovo imprigionato, dai comunisti, per lunghi anni. Un sacerdote forte, sereno, affabile e dolce come una madre.

Liberato dalla prigionia dei senza-Dio "falce e martello", per intervento di Papa Paolo VI, era solito dire: "Il mio nome, nella mia lingua significa "montone" e, voi lo sapete, è difficile vincere un montone". E aggiungeva: "Io sono prete, sono Vescovo, io amo tanto quei figlioli e prego per loro". I "figlioli", per la cui conversione a Cristo, egli pregava e offriva il Santo Sacrificio della Messa, erano i suoi aguzzini, nazisti o comunisti che fossero. Solo la Chiesa Cattolica ha uomini e preti così. Solo Gesù, l’Uomo-Dio, produce amici cos’: segno chiarissimo della divinità del Cattolicesimo e del Sacerdozio cattolico.

Papa Paolo VI lo fece Cardinale nel 1965, un vero martire come i suoi confratelli, il Beato Card. Stepinac, di Zagabria, e il Servo di Dio Card. Mindzenty, di Budapest. Morto a Roma nel 1967, oggi è in corso la causa di beatificazione.

Ordinazione clandestina

Un altro martire è Mons. Gabriel Piguet, Vescovo di Clermond-Ferrand, in Francia: coraggioso, sfidava con la vita e con la parola le SS, pur di essere sempre portatore di Cristo. Appena arrivato nel lager, lo privarono dell’Abito episcopale e lo ricoprirono con una tuta stracciata, così da farlo apparire un Cristo flagellato.

Tuttavia, colmo di Dio, anche nello sguardo dolce e fiero, incuteva soggezione ai suoi stessi aguzzini. Un giorno, qualcuno delle SS lo prese a schiaffi. Lui, senza scomporsi, rispose: "Che grande onore, oggi! Anche Gesù è stato schiaffeggiato e io come Lui. Non c’è discepolo più grande del suo Maestro". Le SS non ci capivano più, disorientati da un uomo così diverso da loro.

Il 18 dicembre 1944, Mons. Piguet ne fece "una grossa", senza che le SS se ne accorgessero. Circondato da decine di preti, ordinò sacerdote, un giovane diacono della diocesi di Munster, don Karl Leisner.

Questi, arrestato nel 1939 e, pieno di fede, in mezzo a sofferenze inaudite, teneva allegri i detenuti con la sua chitarra e distribuiva agli altri quanto riceveva da casa. Una giovanissima postulante delle Suore Scolastiche di Nostra Signora, a Monaco, Maria Imma Mack, 20 anni appena, che si recava spesso a comprare i fiori coltivati presso il campo di concentramento e intanto portava ogni settimana migliaia di ostie e il vino affinché i sacerdoti colà detenuti, potessero celebrare la S. Messa, ebbe l’incarico di recarsi dal Card. Michele Faulhaber, Arcivescovo di Monaco, a chiedergli l’autorizzazione per l’ordinazione di Karl Leirner il quale, bruciato dalla febbre, celebrò la sua 1ª Messo dopo l’ordinazione, il 26 dicembre 1944. Liberato all’arrivo degli americani, morirà il 12 agosto 1945, tra le braccia della mamma. E’ stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita in Germania, nel 1996.

C’era pure un’altra stella: il polacco don Stefano Frelichowski. Anch’egli era stato arrestato nel 1939, due anni dopo la sua ordinazione perché fiero oppositore del nazismo. Nel lager di Dachau, aveva moltiplicato le sue energie per i più sofferenti. Nel febbraio 1945, contratto il tifo, morì a 32 anni, come un vero angelo in carne.

Le SS permisero che la sua salma, prima di essere buttata nel forno crematorio, fosse esposta alla venerazione dei compagni di prigionia che sfilarono a migliaia per dargli l’ultimo saluto tra lo sconcerto degli aguzzini. Oggi, da alcuni anni, lo veneriamo come il Beato Stefano Frelichowski"

Anche in quei medesimi giorni, era giunto a Dachau don Antonio Seghezzi, di Bergamo. Nell’Azione Cattolica, negli oratori, nelle parrocchie era stato uno stupendo educatore di giovani, alla luce di Gesù. Li aveva seguiti anche in montagna, dopo l’8 settembre 1943, senza far politica, ricco soltanto del suo ministero sacerdotale.

Ma accusato di essere "partigiano" e deportato a Dachau, testimoniò, in mezzo al lavoro bestiale cui era stato condannato, la sua sconfinata carità per i sofferenti, carità soprattutto di illuminazione di fede, di conforto evangelico, di ascolto di confessioni, con il perdono di Dio.

Si spense consumato dalla TBC il 21 maggio 1945, a Dachau, ormai libero, a soli 39 anni. Il suo Vescovo Mons. Bernareggi, lo definì "sacerdote splendente". Anche di lui, è in corso la causa di beatificazione.

La fila dei "santi all’inferno" di Dachau non è ancora finita. Ancora in quei giorni, c’era il salesiano cecoslovacco don Stefano Trochta; nato nel 1905 in Moravia, laureatosi all’Ateneo Salesiano di Roma, era un esemplare apostolo della gioventù, per cui era finito nell’elenco delle persone che i nazisti dovevano eliminare. Ma a Dachau, sebbene dovesse morire, non morì e, ritornato a casa, fu nominato dal venerabile Santo Padre Pio XII, Vescovo di Litomerice, quando la sua patria passò sotto la dittatura dei comunisti.

Mons. Trochta fu imprigionato un’altra volta. Liberato, per la fedeltà a Cristo, Papa Paolo VI lo elevò alla porpora cardinalizia nel 1973. Un anno dopo, il 6 aprile 1974, anche quest’altro martire andò incontro al premio. Non merita anche lui di essere elevato alla gloria degli altari?

La Messa, ogni giorno

C’erano pure dei laici tra questi amici di Gesù a Dachau: pensiamo a Edmond Michelet, uomo dal cuore di padre e madre, sempre vicino a ogni sofferente, anche per portar loro Gesù Eucaristico, quando il sacerdote non poteva arrivare, come ai tempi di S. Tarcisio e delle persecuzioni contro la Chiesa.

Sarà ministro nel governo di Chaban-Delmas, ai tempi di Charles De Gaulle, presidente della "grandeur" della Francia. Ma prima sposo e padre di famiglia. Si spegnerà ancora giovane il 10 ottobre 1970.

Questa "storia" singolare, se non fosse documentata, sarebbe incredibile: come è mai possibile questo miracolo di santità, in un campo di sterminio dove tutto deve servire a degradare, a imbestialire e a schiacciare l’uomo?

Lo spiega, don R. Angeli, uno dei preti là detenuti:

"Ci si riuniva nella baracca, adibita a cappella, quasi 800 sacerdoti. Un sacerdote iniziava la celebrazione della S. Messa e gli altri confratelli lo seguivano in silenzio, in preghiera. Facevano la S. Comunione, tutti. Pochi minuti dopo, affrontavano la solita vita di stenti, di lavoro sfibrante, di insulti, di percosse e delle più degradanti umiliazioni. Nel cuore però, custodivano una fiamma che nessuno poteva estinguere. Avevano la certezza che Gesù, l’Uomo-Dio, il Cristo vivo abitava nelle loro anime e nei loro cuori. La fede è davvero la più grande forza e Gesù Eucaristico è la Sorgente più alta della vita. Noi lo abbiamo sperimentato".

Sta qui, nella presenza meravigliosa e letificante dell’«Emmanuele», Gesù, Sacrificio e Pane di vita, il segreto della santità luminosa e eroica fiorita anche a Dachau. Conosciamo ancora altri "santi" di questa "fossa di leoni", di questo "inferno", ma ci fermiamo qui. È un raduno commovente di santi non in una chiesa o attorno a un Pontefice, come avviene spesso nella storia della Chiesa (la storia gloriosa della Chiesa, ricordate!), ma in un campo di sterminio. Ed è proprio per questo che rimane una cosa grande, eccezionale, da dire.

Quel lager grazie, al Santo Sacrificio della Messa, a Gesù il Vivente, non fu soltanto luogo di degradazione e di morte, ma si trasformò in un’oasi di santità, che è la più alta celebrazione della gloria di Dio e pure della gloria dell’uomo. Grazie alla S. Messa, anche un lager è diventato prova convincente e documento inoppugnabile che Gesù è il Figlio di Dio, il Crocifisso e il Vivente nella storia, e segno che il Cattolicesimo è la Verità assoluta ed eterna, feconda di vita come nessun altro può esserlo, la Verità, l’unica Verità cui deve aderire ogni uomo, oggi, per essere salvato e redento.

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ultimo aggiornamento 11 febbraio, 2012