soffrire è un’altra cosa, molto diversa dalle nostre presunzioni,
dalle nostre parole, dalla nostra attività consolatoria.
Ricordo sempre un amico infermo, al quale per tanto tempo ero stato
vicino. Un giorno mi disse: "Nino, non puoi capire". Mi sentii
mortificato, ma aveva ragione. Sì, aveva ragione.
Il dolore è enigma, è ripugnanza. È la più vera, l’assoluta povertà
di tutto. Povertà di distacco, povertà di dipendenza, povertà di
fede. È mistero, inconcepibilità del mistero.
La ragione è "capace" di Dio, ma non è capace di ammettere il dolore.
Per disegnare un albero bisogna diventare un albero, è la grande
verità. Ed allora, ecco la notizia "impossibile", un Dio che si fa
compagno dell’uomo, che si carica del dolore dell’uomo, che soffre
il dolore come mistero. Nello strazio "inconcepibile", allucinante,
dell’Orto, nell’urlo della Croce.
"Questo è il mio Figliolo diletto..." è la voce del Padre sulle rive
del Giordano, ma che avremmo preferito si riversasse in
quell’immensa solitudine di sangue del Calvario, il Figlio ucciso.
Mi dispiace per te, o Gesù, ma non avrei saputo credere se Tu non
avessi sofferto tanto. Non avrei saputo "sopportare" un Dio che non
avesse, giorno per giorno, compassione per l’uomo.
Tu, quando dici "Non piangere", restituisci il figlio alla vedova di
Naim, risusciti Lazzaro, ricolmi di rivincita il paralitico alla
piscina.
Nel cuore di questo mistero condiviso con Cristo, la storia di
quanti riescono a stare in croce cantando.
No, non chiedermi come facciano, non lo so. È un mistero, questo,
più grande del dolore stesso. Tanti, molti, nella potenza dello
Spirito, che vivono, che soffrono, che risorgono, ogni giorno, in
mezzo a noi.