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Paolo Risso |
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Aveva una statura piccola, un fisico magrolino, quasi riflesso della sua umiltà, della sua indole semplice e serena, capace di comunicare e di semplificare anche le questioni più difficili. Non gli mancava un dolce sorriso in volto. Ma dentro era fiamma e luce.
Un giorno, ad Asti, il solenne canonico Cerruti, rettore della chiesa "del Gesù", aveva invitato a tenere una predicazione il can. Roetti di Torino e l’aveva annunciato come predicatore eloquentissimo: "Venite tutti a sentirlo. Una rara avis!". Ma all’ultimo momento, al posto del celebre oratore, si presentò un pretino "alto come un soldo di cacio. Il canonico lo guardò dall’alto in basso ed esclamò: "Lei viene a sostituire Roetti? Oh, povero me"!. Brontolando: "Oh povero me!", uscì in presbiterio e annunciò: "Vi avevo detto, invece capita qui, un pretino… ahimè… sentiremo che cosa saprà dirci". Con questa "incoraggiante" presentazione, il piccolo "don" salì sul pulpito, mentre il Cerruti andò a piantarglisi davanti, tricorno in testa, pettoruto e corrucciato. Man mano che il piccoletto parlava, l’altro prese a commuoversi, a approvare, a esaltarsi. Alla fine della predica, arringò il suo popolo: "Ma avete sentito? Quello promette bene. A Gesù Cristo, ci crede davvero. E quanto lo ama e vuole farlo amare!". Ripetendo le stesse parole, rientrò in sacristia, sorridente e gli disse: "Ma che bravo ragazzo! Le bacio le mani". Il pretino si schermì: "Guai a lei, signor canonico. I nostri baci solo a Gesù Crocifisso!".
Una vita laboriosa
"Il ragazzo" era nato a Pogliano Milanese (MI) il 22 ottobre 1863, figlio di Angelo Paleari e di Serafina Oldani, penultimo di otto figli. Al battesimo, l’indomani, fu chiamato Francesco. Ecco, da quel giorno, la Chiesa ebbe un grande dono: Francesco Paleari. Famiglia modesta, ricca solo di fede e di lavoro. "Franceschino" crebbe sereno e gioioso, con una fede semplice e forte. Fin dall’infanzia, aveva un grande amore: Gesù.
Il suo parroco – il quale credeva in Dio e anche in Gesù Cristo – vide in lui i segni evidenti della vocazione al sacerdozio e lo indirizzò alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, chiedendo che fosse accolto nel Seminario dei "Tommasini", voluto dal fondatore S. Giuseppe Cottolengo. Sulla porta dell’Istituto, a riceverlo c’era il successore il Cottolengo, P. Luigi Anglesio, e lì Franceschino si trovò a suo agio, tra studio, preghiera e lavoro, in un ambiente esigente ma sereno.
Filosofia, Teologia, formazione al buono spirito sacerdotale, a immagine di Gesù, nella Torino del suo tempo piena di santi, tutti ancora viventi e operosi, quali don Bosco, don Faà di Bruno, i due fratelli Canonici don Giovanni e don Luigi Boccardo, don Allamano e quanti altri. Il 18 settembre 1886, Francesco Paleari, a soli 23 anni, era ordinato sacerdote dal Card. Gaetano Alimonda, Arcivescovo di Torino.
Come gli era stato insegnato, pensava di dedicarsi tutto ai poveri, ai malati, ai disabili, ai bambini in difficoltà, nella "Piccola Casa", in silenzio e nascondimento. Un sacerdote tutto carità, senza grilli per la testa, come già ce n’era qualcuno, con idee storte di stampo liberal-moderno e sofismi vari. Ma lui era piuttosto colto e subito fu chiamato a insegnare latino, poi filosofia nel Seminario dei "Tommasini" (così chiamati in onore di S. Tommaso d’Aquino, il massimo filosofo e teologo della Chiesa), poi anche nel Seminario dei Missionari della Consolata del Can. Allamano. Sorrideva di sé: "Don Franceschino filosofo? Ma chi l’avrebbe detto? Sapete che il mio nome – Paleari – deriva dal ‘palea’, cioè paglia. Ecco, io sono niente come la paglia!".
Però con la paglia si accende un gran falò che attira tutti nella notte. Così man mano che "il pretino" rivelava le sue doti, la sua fede e la sua passione per Gesù ("Gesù, che io ti ami e ti faccia amare", ripeteva spesso e insegnava a ripetere), gli venivano proposti nuovi incarichi, da parte della Curia di Torino, con i suoi illustri Arcivescovi rivestiti di porpora, quali il Card. Richelmy, Gamba, Fossati. Così, visto che gli piaceva assai stare in confessionale e a lui accorrevano da ogni dove e lui era dotto, pio, mite ed esemplare, per 40 anni, sarà confessore e direttore spirituale del Seminario diocesano, quindi predicatore di esercizi spirituali al Clero, ai religiosi/e e a ogni ceto di persone. Nel 1922, fu nominato canonico della Collegiata della SS.ma Trinità, al posto dove era stato il suo Fondatore, il Can. Cottolengo.
Nel 1931, stupitevi tutti, "il piccoletto" diventò Pro-Vicario generale della diocesi (un religioso in un posto di guida al Clero diocesano, è cosa rara) e Vicario per la vita consacrata. Davvero, una mole incredibile di lavoro gli era caduta addosso, ma, niente paura, in lui Gesù stesso viveva e irradiava.
"Voglio farmi santo"
In ogni cosa che compie vuole configurarsi a Gesù totalmente. Dai suoi appunti spirituali: "Voglio tendere unicamente a salvare la mia anima". "Voglio essere conforme in tutto alla mia Fede. Voglio amarlo, il mio Dio, perché infinitamente amabile". "Voglio farmi santo e cominciò subito". Alle anime che avvicinava: "Tendiamo alla santità, con umiltà e pazienza". Il suo servizio più grande alla Chiesa è il suo impegno di santità, che presto, lui vivente, diventa "fama di santità". Chiunque lo può notare negli uffici cui è via via chiamato.
Innanzitutto per Torino e diocesi, don Paleari è confessore e direttore spirituale, stimato e ricercatissimo da persone di ogni ceto sociale. E’ prediletto dai preti per essere loro guida verso la santità. Lui compie questo preziosissimo ministero dovunque: in confessionale, nelle infermerie del Cottolengo, per strada, nelle diverse chiese dove è chiamato dai parroci.
È accogliente, affabile, immagine viva della misericordia di Dio, ma sempre nella Verità della Legge divina. Nella sua camera in Seminario, salgono preti e Vescovi anche di altre diocesi e tutti ne escono rinnovati nell’anima, più conformi a Gesù.
Un esempio mirabile il suo, che lo avvicina al S. Curato d’Ars, a don Bosco, a s. Padre Pio da Pietralcina, a S. Leopoldo Mandic, a P. Felice Cappello, apostoli (e martiri) del confessionale, esempio attualissimo oggi, nei nostri terribili tempi in cui trovare un confessore e un padre spirituale è impresa difficilissima.
In primo luogo nei Seminari diocesani, don Paleari è padre e guida dei chierici e dei sacerdoti. Il Card. Giuseppe Gamba gli chiede di lasciare la "Piccola Casa" e di stabilirsi in Seminario (di via XX settembre) per essere ancora più disponibile: così la sua stanzetta all’ultimo piano, diventa luogo dove il piccolo prete intesse mirabili storie d’amore con Gesù.
Per l’appunto, tutto incentrato in Gesù in una stupenda unità di vita e di insegnamento (vedi Imitazione di Cristo, I, 3,1) ha il dono di semplificare tutto e di rendere, in Lui, bella e forte ogni virtù cristiana e sacerdotale. Alla luce di Gesù – che è tutto – risolve anche i problemi più spinosi e trasmette serenità, sicurezza e pace. Ai chierici sa indicare con certezza la via da seguire: li conduce al sacerdozio santo con una gioia sconfinata, ma sa anche dire a qualcuno: "questa non è la tua strada". "Al centro di tutti – insegna il Padre (così è chiamato), il Sacrificio di Gesù nella S. Messa, nostra passione e amore di sacerdoti".
Luminoso maestro
E’ un prete dotto don Franceschino, ed è chiamato a insegnare: comincia con il latino tra i più piccoli, ma presto insegnerà per anni filosofia ai liceali, nel Seminario della "Piccola Casa", poi ai Missionari della Consolata, infine anche al Seminario diocesano di Chieri. Preparatissimo, chiaro, semplice, ha il dono di far cogliere le realtà essenziali, "i preambula fidei", per fondare la Teologia. E’ profondamente tomista e combatte le idee stolte dei modernisti condannati da S. Pio X, ma mai debellati, sempre pronti a dilagare e a seminare zizzania, come ognun vede anche oggi. A costoro offre due risposte che li confutano sino in fondo: la filosofia di S. Tommaso d’Aquino e la santità della vita sacerdotale.
Così ricco di luce, "il piccoletto" già tanto occupato, si occupa ancora nella predicazione: Gesù ha comandato: "Andate e predicate il mio Vangelo" (Mc 16,15) e lui come potrebbe rifiutarsi? Sarebbe negare la luce ai fratelli che ne hanno assoluto bisogno. Predica in stile semplice e luminoso e si fa ascoltare. Non è mai "giove tonante" nell’aspetto e nella dizione, ma attrae e conquista: non alla sua persona che giudica insignificante, ma a Gesù, unico Salvatore. Il "pretino" così viene ricercato da molti, in diocesi e fuori diocesi, in tutto il Piemonte e oltre, in primis per predicare esercizi spirituali al Clero e ai Seminaristi. Con la sua arguzia, spiega: "Mai superare un quarto d’ora: i primi cinque minuti sono del predicatore per attrarre l’uditorio, i secondi 5 minuti sono degli uditori che ne devono far tesoro, gli ultimi 5 minuti, se si insiste, sono del diavolo che si porta via tutto".
Alla luce del Magistero di Leone XIII e di S. Pio X, si occupa pure di problemi sociali così impellenti a Torino. Offre il suo appoggio come guida spirituale alla Società Nazionale di Patronato e Mutuo soccorso per le giovani operaie. E’ animatore e sostegno sicuro nell’opera detta "il Pozzo di Sichar", per le ragazze "in pericolo", mosso da un solo amore: salvare le anime, come ha fatto Gesù con la Maddalena e con la samaritana e simili.
Nel 1931, il Card. Fossati, appena giunto a Torino, lo nomina Pro-Vicario della diocesi e Vicario Moniale. Nella curia torinese porta uno stile di tutta paternità, di carità, di disponibilità a ascoltare e risolvere, una per una qualsiasi difficoltà dei preti singole e delle parrocchie. Presto circola la voce: "Se nei guai, va’ da don Franceschino". Il Cardinale, quando lo vede, dice di lui: Ecco il difensore de miei preti, ecco la loro buona mamma". Religiosi e suore trovano in lui "il Padre", in corde Jesu. Che cosa si può cercare di più?
"Tutto in Cristo"
In ogni posto che occupa, è rimasto "un prete del Cottolengo", di immensa carità nella Verità, che predilige i poveri, i malati, i più umili, in cui vede Gesù. La sua sapienza del cuore la condensa in "massime" ancora vive e ricordate oggi: "Non per forza, ma per amore a Gesù". "Prontezza nel cominciare, pazienza nel continuare, perseveranza nel terminare". "Facciamoci furbi: utilizziamo il tempo, il Paradiso è eterno". "Il Paradiso paga tutto".
Una vita sacerdotale intensa, ardente e splendida, anche quando nel 1936, il suo cuore comincia a cedere un po’ per volta e lo costringe all’inattività quasi totale. Tre anni di patire con Gesù Crocifisso: "Sto nelle mani di Gesù, come una pallina in mano a un bambino che gioca. Più forte viene sbattuta a terra, tanto più rimbalza in alto". Il 7 maggio 1939, va incontro a Dio circondato da larga fama di santità. Il 17 settembre 2011, a 125 anni dalla sua ordinazione sacerdotale, nella bella chiesa del Cottolengo, dove è sepolto accanto al Padre Fondatore, don Franceschino Paleari, per volontà di Papa Benedetto XVI viene elevato alla gloria degli altari con la solenne beatificazione. La sua memoria liturgica è fissata il 18 settembre.
Non è un prete d’altri tempi – ha spiegato il Postulatore della sua Causa, padre G.G. Califano – perché la santità non ha tempo ed è valida per ogni tempo. In lui, «il quotidiano divinizzato da Cristo, la vita di ogni giorno vissuta nell’orizzonte di Dio e nella certezza del Paradiso, il servizio al prossimo fino all’annullamento di sé, l’adesione della mente e del cuore alla Verità della Fede, sono le linee del suo ritratto».
Un piccolo grande "pretino", intus ardens, extra lucens, alla statura di Gesù. "Tu che sai e puoi, Gesù buono, donaci anche oggi tanti preti così".
(da: E. Bechis, Il canonico Francesco Paleari, Pinerolo-Torino).
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ultimo aggiornamento
08 marzo, 2012