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Sac. Angelo Spilla |
Credo in un solo Signore Gesù Cristo
Le beatitudini
(seguito)
Col cuore alle beatitudini:
Beati gli afflitti, saranno consolati
Prendiamo in considerazione la seconda beatitudine. Gesù dice:"Beati gli afflitti, perché saranno consolati"6. Prima di sviluppare l’idea della consolazione, dobbiamo chiarire il concetto di "afflizione", cioè che cosa si intende per "afflizione", chi sono gli "afflitti".
La traduzione della Bibbia interconfessionale dice:"Beati quelli che sono nella tristezza perché Dio li consolerà". Il termine originale "èpenthoûntes" che significa tanto afflizione che tristezza, più direttamente richiama il lutto per una persona cara scomparsa, tanto che la versione latina dice: "qui lugent" (= quelli che piangono).
Qualche esempio lo troviamo nel Nuovo Testamento. Lo si dice dei discepoli che sono afflitti per la morte di Gesù: il mattino di Pasqua vengono trovati in una situazione di afflizione7. Sono nello stato d’animo degli afflitti perché hanno perso una persona cara, perché il loro attaccamento a Gesù li ha portati a una delusione, all’amarezza, al dolore della perdita. In un altro passo, poi, Gesù dice: "Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?"8. Il verbo "essere in lutto", in greco, è lo stesso con cui traduciamo "gli afflitti".
Il senso del vocabolo "afflitti", allora, si allarga ad ogni realtà che, di fatto, procura dolore, sia a livello personale che sociale.
Nel Nuovo Testamento cogliamo questa realtà di dolore anzitutto nella persona di Gesù. Egli piange su Gerusalemme che non ha conosciuto il tempo della visita di Dio, quindi della Sua pace9 e scoppia in lacrime presso la tomba dell’amico Lazzaro10.
Sono sufficienti questi riferimenti per comprendere che l’afflizione viene collegata alla perdita di una persona cara, oppure alla situazione di peccato; è l’afflizione per una situazione negativa, di male, è il dolore che si prova nel vedere un comportamento negativo o nel riconoscere il proprio comportamento negativo.
Quando Gesù, allora, proclama beati gli afflitti, beati coloro che piangono, a chi si riferisce? Si riferisce a quella condizione della vita terrena che non manca a nessuno. C’è chi è afflitto perché non ha la salute, perché è povero, perché è solo, perché è incompreso o sovraccarico di lavoro, perché non è assecondato nelle sue aspirazioni e nelle sue capacità.
I motivi di sofferenza, insomma, sono molteplici. Ma l’elemento importante è la seconda parte della beatitudine pronunciata da Gesù: "perché saranno consolati". Gli afflitti saranno consolati, cioè Dio li consolerà.
Il verbo greco "consolare" è il verbo del Paraclito, è il verbo dello Spirito Santo, il consolatore. La consolazione è la presenza di Dio che riempie la vita, è quell’elemento affettivo forte che offre la capacità di resistere, di sopportare anche il male. È lui il fondamento; è il Signore la nostra consolazione. Nell’Antico Testamento leggiamo: "Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –"11; oppure: "Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò"12. E Gesù fa propria, all’inizio del suo ministero, l’affermazione del profeta Isaia: "Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, … per consolare tutti gli afflitti"13.
La commozione di Dio arriva fino a chinarsi su ogni condizione dell’uomo, si dona fino all’incarnazione, fino a condividere la sorte umana in tutto. È la rivelazione della vera paternità divina; si comprende che cosa significa amare davvero, donare la propria vita.
"Perché saranno consolati", cioè "Dio li consolerà". Ed è proprio dal mistero del suo essere Amore e Misericordia che saremo consolati. La consolazione è questa onda della vitalità e dell’amore e della purezza di gioia che è l’essere stesso di Dio. Si riesce a travolgere questa onda dell’afflizione se viene investita dall’onda viva di Dio che è il mistero del Crocifisso – Risorto. Lì si trasfigura e solo lì diventa un bene e quindi una grande gioia.
"Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi"14. Ma non è solo una realtà escatologica in quanto già qui e ora si può entrare nel conforto e quindi anche nella gioia di sapere che quello che soffriamo ha un senso, unito alla divina forza redentrice di Gesù. Addirittura acquista valore di purificazione e salvezza per me e per gli altri.
Beati i miti, erediteranno la terra
La nostra riflessione si volge ancora alle beatitudini.
Gesù dalla montagna proclama quest’altra beatitudine: "Beati i miti, perché avranno in eredità la terra"15. Sembra ripetere la prima che proclama beati i poveri di spirito. Eppure c’è una sfumatura: essere poveri di spirito è un atteggiamento di fronte a Dio; essere miti è un comportamento verso il prossimo. Spesso nel linguaggio odierno facilmente la mitezza acquista un senso dispregiativo perchè si confonde con "debolezza", mancanza di vigore, soggiacendo a ciò che gli altri impongono anche in modo del tutto ingiusto. La Bibbia interconfessionale così traduce: "Beati quelli che non sono violenti perchè Dio darà loro la terra promessa".
I miti di cui parla Gesù si identificano con i poveri e con gli afflitti che egli ha già proclamato beati perchè nelle loro angustie non si ribellano, non reagiscono con violenza, ma si sottomettono con cuore mite e umile.
Per capire meglio chi sono i miti, visitiamo anzitutto alcuni brani della Sacra Scrittura. Nel salmo 37 leggiamo : "Ancora un poco e il malvagio scompare. Cerchi il suo posto, ma lui non c’è più: i miti (poveri) invece avranno in ereditàla terra e godranno di una grande pace"16. È illuminante la contrapposizione: empietà-mitezza.
Ma anche Gesù fa riferimento alla mitezza: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi eoppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparata da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita"17. E poi, quando entra a Gerusalemme per l’ultima volta cavalcando un’asina, l’evangelista Matteo, sottolineando la mitezza, riprende le parole del profeta Zaccaria: "Ecco, a te viene il tuo Re, mite"18.
Gesù, dunque, che è stato unto dallo Spirito Santo per compiere nel mondo una missione di mitezza e di bontà, si è presentato agli uomini come modello di mansuetudine ed ha tutto il diritto di chiedere ai suoi discepoli di imparare da lui e di seguire il suo esempio.
Per comprendere meglio la parola "miti" (praeis) bisogna accostare da un lato il concetto di mitezza con umiltà e dall’altro quello di mitezza con pazienza. La prima mette in luce le disposizioni interiori da cui scaturisce la mitezza, la seconda gli atteggiamenti che spinge ad avere nei confronti del prossimo: affabilità, dolcezza, gentilezza. Insomma la persona mite è l’umile e il paziente insieme.
Molto bene ha dato la definizione di mitezza il cardinale Martini quando dice: "Mitezza è la capacità di cogliere che, nelle relazioni personali che costituiscono il livello propriamente umano dell’esistenza, non ha luogo la costrizione e la prepotenza, ma la passione persuasiva, la forza e il calore dell’amore".
In base a quanto precisato possiamo comprendere il senso di quel "perché avranno in eredità la terra". La terra qui promessa è la terra della vita con Dio nella Pasqua eterna; è anche la presenza di Gesù in noi, è la vita vissuta con Gesù crocifisso e risorto che illumina e sfida ancora la nostra storia.
Lasciandoci vincere dalla mitezza di Cristo, apriamo spazi al Regno di Dio in noi e nei fratelli che incarnano questa beatitudine.
Quanta violenza c’è oggi nel mondo! Quanta violenza, anche di tipo psicologico, viene perpetrata nella nostra società! Non si reprime l’odio o comunque il male, lasciando insorgere in noi delle aggressività. A volte anche in nome della verità e della giustizia. Ma ricordiamoci che ogni forma di violenza è sempre controproducente. Urge per tutti riprendere il vigore della mitezza, non rispondere al male con il male. Bisogna esercitare e ricevere i tratti impregnati di mitezza .
La mitezza oltre ad essere il ritratto di Gesù e l’invito a praticarla, è frutto dello Spirito Santo:"Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé"19.
Coltivando lo spirito di mitezza nella mente e nel cuore controlleremo i nostri pensieri e la nostra lingua; impareremo a vedere le ragioni dell’altro e a perdonare; troveremo il coraggio del silenzio nel lasciar cadere ciò che ci ferisce e nel non volere ferire l’altro; conosceremo il vocabolario della gentilezza e della promozione dell’altro.
La mitezza conferisce a noi cristiani una particolare capacità di dominio e di conquista. Anzitutto in noi stessi, padroneggiando tutti i moti dell’ira e conservando la calma anche nelle contraddizioni, e poi degli altri perché la mitezza attira e conquista i cuori.
Gesù vuole che i suoi discepoli siano questi miti. Proprio in questo senso San Paolo scrive a Timoteo: "Ma tu, uomo di Dio, …tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza"20. Persone che amano senza stancarsi mai, che diffondono serenità e calma attorno a sé, che rispettano il cammino dei fratelli con i loro ritmi e loro caratteristiche; capaci di tenerezza, di ascolto, di tolleranza, di non violenza, di compassione. Erediteranno la terra, cioè il cuore di Dio e degli uomini.
(segue)
6 Mt 5,4.
7 Cf. Mc 16,10.
8 Mt 9,15.
9 Cf. Lc 19,41.
10 Cf. Gv 31,35.
11 Is 40,1.
12 Is 66,13.
13 Is 61, 1-2.
14 Ap 7,17.
15 Mt 5,5.
16 Sl 37,10.17 Mt 11,28-29.
18 Mt 21,5 e Zc 9,9.
19 Gl 5,22.
20 1Tm 6,11.
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ultimo aggiornamento
11 aprile, 2012