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Paolo Risso |
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Era in fiamme l’Europa in quegli anni per la "grande guerra". Ad Alba (Cuneo), tra vicolo Rossetti e la piazza dallo stesso nome, c’era spesso un gruppo di ragazzi che giovavano rumorosi. Uno di loro – quello che sembrava il loro leader – si chiamava Giuseppe Girotti. Gli amici lo chiamavano "Beppe", in dialetto. Giocavano "da matti", ma di tanto in tanto, Giuseppe alzava gli occhi a guardare la croce svettante sul campanile romanico del duomo vicino: là dentro, la presenza di Gesù lo attirava come una calamita.
"Beppe, il capo"
Presso l’altare del duomo, Beppe andava ogni giorno a servire la S. Messa al suo parroco, buono e austero, e ai sacerdoti che passavano a celebrare, anche prestissimo, quando su Alba non spuntava ancora il giorno. A servire la Messa, portava anche i suoi amici, coetanei o più piccoli, insegnava loro le cerimonie, come un piccolo apostolo della Liturgia.
Gli altri lo stimavano e gli volevano bene, perché aveva cuore buono e largo come un mare. Lui da parte sua amava tutti, ma quando c’era da difendere i più deboli, come i suoi fratellini Giovanni e Michele, sapeva "cazzottare" a dovere i compagni che facevano "i furbi". Lo chiamavano Beppe il capo.
Serviva anche il Vescovo, quando attorniato dai canonici, "pontificava" in duomo: il Vescovo allora si chiamava Mons. Francesco Re e dall’alto della sua statura si chinava a volte a dare una carezza a quel bambino dagli occhi intelligenti e dal ciuffo sbarazzino sulla fronte.
Un po’ alla volta, gli nacque in cuore un grande desiderio: "Voglio farmi prete". Lo disse al parroco, il quale gli promise un posto in Seminario, ma il posto non c’era mai. Beppe era solito frequentare anche la cappella delle Monache Domenicane di Alba e lì, da loro aveva sentito parlare con devozione di san Domenico di Guzman, "il dolce Spagnolo nostro" che aveva percorso l’Europa a predicare Gesù Cristo-Verità.
Giuseppe Girotti era nato il 19 luglio 1905 da umili genitori e ora, a 13 anni, voleva realizzare la sua vocazione. Un giorno, capitò a Alba un Padre Domenicano a predicare in duomo. Beppe ascoltò il bianco frate e volle parlargli. Gli aprì il cuore e gli disse il suo desiderio di diventare sacerdote. Il frate gli parlò chiaro: "Ma perché non vieni da noi?". Beppe rispose: "Ma io vengo subito, basta che mi lasci andare a dirlo alla mamma". (Tra parentesi: un suo compagno di giochi e di servizio all’altare, circa 70 anni dopo, mi raccontò che a volte dopo la Messa servita insieme, lui e Beppe salivano sul campanile e lassù "davanti a tutta Alba sotto il nostro sguardo, imparammo a fumare insieme una sigaretta!").
Il 5 gennaio 1919, Beppe entrò felice nel Collegio domenicano di Chieri (Torino) per iniziare gli studi. Il 30 settembre 1922, vestiva il bianco abito di san Domenico, diventando fra Giuseppe Girotti. Dopo il noviziato a "La Quercia" (Viterbo), professava i voti la prima volta il 15 ottobre 1923. Seguirono gli studi filosofici e teologici nello Studentato di Chieri. Era intelligentissimo, sempre buono come un fratello, pronto a dare una mano a tutti, son estrema generosità, lieto della gioia dei figli di Dio.
Il 3 agosto 1930, vigilia di san Domenico, Padre Giuseppe Girotti era ordinato sacerdote a Chieri da Mons. Giacinto Scapardini, domenicano, Vescovo di Vigevano: sacerdote di Cristo per sempre.
Professore
I superiori lo mandarono a Roma a seguire corsi di teologia all’Angelicum. Aveva già conseguito a S. Maria delle Rose, in Torino, il titolo di "Lettore" che lo abilitava a insegnare nelle scuole dell’Ordine. Quindi, il suo provinciale, P. Ibertis, soprannominato "Napoleone" per il suo stile "decisionista" e la piccola statura, lo inviò a Gerusalemme, a frequentare l’Ecole Biblique, fondata e diretta ancora da P. Joseph Lagrange, biblista, maestro domenicano coltissimo e esemplare.
Allievo prediletto dell’insigne studiosi, P. Girotti visse anni felici, pieni di studi intensi e di preghiera estatica nei luoghi di Gesù e di Maria. Nel 1934, era "prolita", dottore in Scienze Bibliche. Immediatamente fu destinato a insegnare Sacra Scrittura nello "Studium" domenicano di S. Maria delle Rose a Torino. I suoi 40 allievi lo amavano subito come un fratello maggiore che – come ricorda il P. Giacinto Bosco, suo allievo di quei tempo – "non si dava mai pace finché non avesse fatto tutto il possibile per aiutare chi lo cercava".
Seguirono, nel 1936, la pubblicazione de I libri sapienziali da lui commentati, e nel 1942, Isaia commentato da P. G. Girotti, dedicato alla Madonna il 20 giugno, festa a Torino della Consolata. Due poderosi volumi che dimostrano l’enorme cultura biblica, storica, teologica del giovane esegeta. Risalta, in particolare, nel primo volume, il luminoso ritratto di Gesù, il Verbo di Dio, somma Sapienza del Padre, come viene profetizzato proprio dai Sapienziali, di Gesù, l’Amato cercato dall’amata, nel Cantico dei Cantici. Nel secondo volume – "Isaia" – è splendida la figura del Servo di Jahvé, Gesù appassionato, e crocifisso e morte sulla croce, che emerge nella contemplazione di P. Girotti, al momento dei Canti del Servo sofferente in particolare Is. 53. Molto intelligente la risposta che P. Girotti dà a coloro che parlano, senza fondamento, di "tre profeti diversi" raccolti sotto lo stesso nome di Isaia, solo per la differenza di stile: in realtà, c’è un solo Isaia, come insegna la Tradizione giudaica e cristiana, come c’è un solo Dante Alighieri, se pure con tre stili diversi, come appare nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, le tre "cantiche" dell’unica Divina Commedia, opera dello stesso sommo Poeta! E poi, spiega sempre il prof. Girotti, "occorre credere al soprannaturale, al miracolo, alla profezia e come interventi di Dio, e non negarlo, come fanno i modernisti!".
In una parola: due grossi volumi – un vero tesoro possederli – che erano il primo saggio del grande biblista che sarebbe diventato, se la sua vita fosse stata un po’ più lunga, come Lagrange, Sales, Vaccari Spadafora… per citare solo alcuni nomi illustri.
In quel periodo ebbe molto da soffrire. Nel 1938, fu allontanato dall’insegnamento e mandato nel convento di S. Domenico a Torino. P. Giuseppe, non aprì bocca, simile al "Servo di Jahvé" del cap. 53 di Isaia, che lui spiegava sempre con accenti commossi. Quando P. Cordovani, Da Roma, conobbe il torto che gli era stato fatto, commentò: "Queste sono le prove che formano i santi".
Dottissimo e poliglotta, con il cuore semplice come un bambino, andava ogni giorno a esercitare il suo ministero sacerdotale tra i poveri e i vecchi dell’Ospizio davanti al suo convento, parlando e confessando in piemontese. Ciò che per lui contava al di sopra di tutto era amare Gesù, in se stesso, nell’Eucaristia, e poi nei poveri e nei sofferenti. Al "San Domenico", si accingeva a commentare Geremia e a pubblicare studi sul monachesimo.
Ma non rimase a lungo senza cattedra. Lo chiamarono a insegnare Sacra Scrittura all’Istituto dei Missionari della Consolata: tanta gioia nel cuore tra i suoi chierici, futuri annunciatori del Vangelo ai popoli pagani, in Africa. Ora, P. Giuseppe aveva provato sulla sua pelle e sul suo cuore che cos’è il "Getsemani" che prepara a salire il Calvario.
Fratello
Era scoppiata la 2ª guerra mondiale. I sacerdoti cattolici, mobilitati dal Santo padre, il Venerabile Pio XII, si fecero missionari di amore fino all’eroismo, sulle orme del Pontefice di Roma. Hitler puntava alla soppressione degli Ebrei e di coloro che riteneva nemici del "Reich", nei suoi lager orrendi. P. Giuseppe Girotti, come moltissimi preti, si buttò nella carità al servizio dei fratelli più abbandonati e in pericolo. "Tutto quello che faccio – si scusò con il suo Priore, perché non riusciva più a seguire gli orari della sua Comunità – è solo per la carità. Che cosa fece o tentò di fare in difesa degli Ebrei e di quanti erano perseguitati, solo Dio lo sa.
La sua azione "clandestina" venne scoperta e il 29 agosto 1944 venne arrestato dai tedeschi e rinchiuso alle "Nuove" di Torino, a S. Vittore a Milano, quindi in campo di concentramento a Bolzano. Poi sul carro bestiame: destinazione Dachau. Al giovane sacerdote, don Dalmasso, suo compagno di prigionia, disse: "Oggi è il 7 ottobre, festa della Madonna del Rosario… e diremo tanti rosari. Io da buon domenicano devo rosariare con una certa solennità".
Il 9 ottobre 1944, sera, pioveva fine e gelido a Dachau. P. Girotti e molti altri preti deportati iniziavano le ultime stazioni della loro Via Crucis. Unica certezza: condividere nel dolore e nella pace il mistero della Crocifissione e della morte di Cristo, sotto lo sguardo dolce e consolante di Maria SS.ma la Mater dolorosa del Calvario. Nell’ambiente orribile, dove il camino fumava per i cadaveri cremati, si doveva solo lavorare in modo disumano e subire le umiliazioni più atroci. P. Giuseppe, dimentico di se stesso, testimoniava l’amore di Gesù e lo donava a piene mani. Sempre disponibile ad ascoltare, a assolvere, si privava della sua piccola porzione di cibo per soccorrere i più giovani.
Da qualche tempo i preti prigionieri (Dachau era il campo di concentramento dei preti!), alle 4 del mattino, a piedi scalzi, si radunavano in uno stanzone che serviva da cappella. Uno di loro celebrava la S. Messa per tutti, gli altri ricevevano la Comunione. P. Giuseppe, fortificato da Gesù eucaristico, sapeva di andare incontro alla morte, ma sorrideva mestamente e pregava di continuo per resistere e infondere fiducia. Tra i preti che diventarono suoi amici a Dachau vi erano P. Manziana (diventerà Vescovo di Crema), Mons. Beran (diventerà Vescovo di Praga e i comunisti lo faranno prigioniero, un’altra volta), il domenicano Padre Roth e molti altri.
L’inverno era gelido a Dachau. P. Giuseppe in quel gelo mortale, diceva: "Dobbiamo prepararci a morire, ma serenamente, con le lampade accese e la letizia dei santi. Anche sotto le sferzate degli aguzzini, pregava e pregava: il suo cuore, in quell’orgia dell’odio e della morte, si dilatava in un rapporto sempre intenso con Gesù. Il Natale 1944, fu quasi sereno. P. Girotti tenne due conferenze sulle virtù teologali e un mese dopo, nel gennaio 1945, tenne un discorso in latino, durate l’ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani: Un invito forte ai dissidenti a ritornare all’ovile della Chiesa Cattolica, unica Chiesa di Cristo; ai cattolici, a vivere in eroismo la Verità che affermano di possedere e possiedono.
Martire
Nel campo infuriava il tifo. Pulci, pidocchi, sporcizia e crudeltà. Ridotto a scheletro vivente, o si vedeva con il rosario ino, in preghiera ala Maona. Il 19 marzo 1945, celebrò l’ultima volta la festa del Sano c tan amava, come suo patrono: S. Giuseppe, di cui si proponeva, se fosse tornato a casa, di scrivere "una vita popolare".
Lo trasportarono in infermeria. Là si andava per morire. Qualcuno riuscì a portargli spesso la Comunione. Era "un cadavere" che sapeva ancora consolare e assolvere chi gli si avvicinava. Un compagno di lager – Edmond Michelet, futuro ministro di Charles De Gaulle in Francia – un giorno scriverà di lui: "Un giovane domenicano dalla figura angelica che con i suoi grandi occhi neri invocava Gesù-Viatico per la Vita eterna".
Il 1° aprile 1945, era Pasqua di risurrezione. Si sparse la voce nel lager che P. Giuseppe era morto. Si disse che era stato finito con una iniezione di benzina: una morte simile a quella di S. Massimiliano Kolbe e del beato Tito Bransdma. Aveva 39 anni. Lo seppellirono con un mucchio di duecento cadaveri, perché il forno non funzionava più. Al fondo del suo giaciglio rimasto vuoto, una mano amica scrisse:
"San Giuseppe Girotti".
La sua causa di beatificazione-canonizzazione è in corso alla Congregazione della Cause dei Santi a Roma. Biblista e dottore: ardens in studio Verbi divini. Fratello degli ultimi e martire per la carità, perché innamoratissimo di Cristo, il Servo sofferente di Jahvé, l’Agnus Dei che toglie il peccato del mondo.
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ultimo aggiornamento
17 luglio, 2012