esperienze  
 

Paolo Risso

Testimone di Gesù dal "Gulag":
Josyf Slipyi

Nacque il 17 febbraio 1892 a Zadrist, in Ucraina, ricca di campi fertili, di fiumi e di storia illustre. Josyf era forte di costituzione, nobile e bello di aspetto. Amava lo studio e le Realtà divine. La sua famiglia era profondamente cattolica.

Presto gli nacque in cuore un grande sogno: essere sacerdote, colto e santo. A 19 anni, conseguita la maturità a Ternopil, entrò nel Seminario diocesano e iniziò gli studi filosofici presso l’Università di Lviv (Leopoli). Il Metropolita di Lviv lo mandò a continuare gli studi a Innsbruck. All’altare dove giungere coltissimo e innamorato di Gesù, come un antico Padre della Chiesa.

Nel settembre 1914, le truppe zariste occuparono l’Ucraina occidentale e arrestarono il Metropolita Szeptyckyi, perché aveva esortato il suo popolo a rimanere fedele al Papa; rimase in prigione fino al marzo 1917, quando il governo dello zar fu rovesciato. Da sempre il regime zarista e gli ortodossi russi avevano fatto far vita grama alla Chiesa Cattolica unita al Papa di Roma.

Il 30 settembre 1917, Josyf Slipyi fu ordinato sacerdote. Nel 1918, si laureò in Innsbruck, quindi si recò a Roma per ulteriori studi. Tornò in patria nel 1922, come professore di Teologia dogmatica presso il Seminario di Lviv e fondò la rivista teologica Bohoslovia. Nel 1925 fu nominato rettore del Seminario, e quattro anni dopo, dell’Accademia Teologica di Lviv, dove rimarrà fino al 1944.

Aveva una mente lucidissima, una cultura meravigliosa, una fede grandissima, uno stile di vita appassionante. Fu un periodo che lo appagò a fondo come sacerdote e come studioso.

 

Vescovo e martire

L’Ucraina attraversava un periodo turbolento. Nella scia della rivoluzione del 1917, per breve tempo sembrò riacquistare l’indipendenza (1918-1922). Ma all’inizio degli anni ’20, i comunisti di Lenin assunsero il controllo dell’Ucraina, la quale, abbandonata dalle potenze vincitrici della 1ª guerra mondiale divenne repubblica socialista sovietica. La Chiesa Cattolica Ucraina sopravvisse in Galizia sotto la giurisdizione del metropolita Szeptyckyi.

Nel novembre 1939, questi chiese al Papa Pio XII di nominare don Josyf Spipyi, suo Vescovo coadiutore con diritto di successione. Il Papa accettò e il 22 dicembre 1939, festa dell’Immacolata Concezione di Maria, secondo il calendario giuliano, don Josyf venne consacrato Vescovo dall’anziano Metropolita di Lviv. Sullo stemma vescovile, l’icona della Madre di Dio e il motto "Per aspera ad astra" (ai cieli attraverso le prove). Da poche settimane, la Polonia non esisteva più e l’Ucraina occidentale era stata annessa all’Unione Sovietica. Ebbe così inizio la persecuzione contro la Chiesa.

Nel giugno 1941, la persecuzione dei comunisti contro la Chiesa Cattolica fu interrotta dall’invasione delle truppe tedesche. A quella data, i comunisti avevano già deportato 250 mila persone dalla sola diocesi di Lviv e, dall’intera Ucraina, il doppio. Erano stati imprigionati, deportati e uccisi molti sacerdoti. I comunisti ritornarono nel luglio 1944. Il 1° novembre morì il Metropolita Szeptyckyi: il suo successore era ormai alle soglie del martirio.

L’11 aprile 1945, Mons. Slypyi fu arrestato dai comunisti, insieme ad altri Vescovi e a molti sacerdoti. A colmare la misura, il patriarca ortodosso di Mosca, Alessio, scrisse ai cattolici ucraini che i loro pastori li avevano abbandonati. Trecento preti cattolici protestarono presso il ministro Molotov, chiedendo libertà per i loro Vescovi. Come risposta, Mons. Slipyi fu condannato ai lavori forzati. All’esilio, si aggiunse il dolore di saper distrutta la sua Chiesa. Gli ortodossi si impadronirono con la forza delle parrocchie cattoliche. Essere cattolico era considerato un crimine. Diocesi, istituti religiosi, scuole furono soppresse, metà del Clero imprigionato e un quinto esiliato.

Il Ven. Pio XII intervenne ripetutamente in favore degli Ucraini e del loro Arcivescovo, accusando il patriarca Alessio di essere complice della persecuzione. "Ho dovuto soffrire – scriverà Mons. Slipyi – di essere arrestato di notte, tribunali segreti, interrogatori interminabili, maltrattamenti morali e fisici, umiliazioni, torture e fame. Mi sono trovato davanti a inquisitori e giudici perfidi, prigioniero inerme, silenzioso testimone che, fisicamente e psicologicamente esausto, difendeva la sua Chiesa, essa stessa ridotta al silenzio e condannata a morte. Prigioniero per causa di Cristo, trovavo la forza sapendo che il mio popolo, tutti i Vescovi, sacerdoti e fedeli, padri e madri, bambini, gioventù militante come vecchi inermi, camminavano al mio fianco. Non ero solo.

Due volte in punto di morte, fu salvato da altri prigionieri… Scontata la prima condanna, nel 1953, fu ricondotto a Mosca, ma ben presto fu condannato ad altri cinque anni in Siberia. Nel 1958, subì la terza condanna e nel 1962, l’ultima: venne deportato nel durissimo campo di Mordovia, "da dove non si esce vivi", ma muore di "morte naturale".

Le più dolorose descrizioni della sua vita di condannato innocente – di martire – sono quelle di coloro che videro l’Arcivescovo Slipyi a Inta in Komi, vicino al Circolo polare artico: vestito di stracci, tenuti insieme da fasce intorno alle caviglie e alle ginocchia, i piedi coperti di fango, indifeso contro il freddo di 45° gradi sotto zero. Tuttavia appariva forte e persino sereno, generoso verso i suoi aguzzini in quel luogo di tremende sofferenze.

In quella solitudine tremenda, in quella continua agonia, Josyf Slipyi aveva una sola certezza: "Gesù mi ama ed è con me". Dal suo cuore saliva l’offerta con Gesù Crocifisso per la Chiesa e per la sua patria oppressa.

 

Esule e profeta

Nel 1962, la polizia segreta comunista, per corromperlo, gli offrì il patriarcato ortodosso di tutta la Russia. Monsignore rifiutò: come poteva tradire Gesù, la Chiesa, il Papa?

Intanto da Roma, Papa Giovanni XXIII ottenne la sua liberazione. Mons. Slipyi giunse a Roma, il 9 febbraio 1963. Iniziava così l’ultimo periodo della sua vita, lontano dalla sua patria, ma sempre ardente di zelo per la Chiesa e per i suoi compatrioti sparsi nel mondo.

Aveva ormai 71 anni, ma il suo ministero in esilio apparve subito forte e luminoso come quello di un grande apostolo, di un profeta eroico. Cominciò a parlare ai chierici del Collegio Pontificio Greco: "Potreste trovarvi facilmente nei nostri tempi in un ambiente completamente ateo in cui la stragrande maggioranza combatte l’esistenza di Dio … Chiunque non avrà acquistato una granitica formazione teologica può facilmente perdere la testa ed essere vittima del pensiero ateo".

Questo ammonimento vale anche per noi, oggi: non abbiamo i "gulag", ma spesso noi cattolici, nelle scuole, nelle fabbriche, negli uffici, dovunque viviamo in mezzo a atei che pretendono di toglierci la fede e di metterci a tacere: per tutti c’è libertà, anche di insultare Dio e Gesù Cristo, meno che per i cattolici, per professare e difendere apertamente la propria fede. Dunque dobbiamo avere una granitica formazione per resistere fedeli e combattere la buona battaglia. Slipyi ce lo ricorda.

L’8 dicembre 1963, fondò a Roma l’Università cattolica ucraina. L’anno seguente trovò una casa per i Monaci Studiti presso il lago di Albano. Il 25 gennaio 1965, Papa Paolo VI lo creò Cardinale, insieme a Giuseppe Beran, Arcivescovo di Praga, un altro grande martire del nazismo e poi del comunismo. Tra il 1967 e il 1969, costruì a Roma la cattedrale di S. Sofia, come centro spirituale del Cattolicesimo ucraino in esilio.

Impossibilitato a tornare nella sua terra, visitò le comunità cattoliche ucraine in esilio con una serie di viaggi pastorali: nel ’68 gli Ucraini delle Americhe, dell’Australia e della Nuova Zelanda. Nei due anni seguenti fu in Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia e Austria. A Lourdes commosse gli ascoltatori ricordando con emozione le ultime parole dei morenti nel "gulag" sovietici: "Mamma, mi ascolti?". Nel 1976, aveva 84 anni, l’ultimo grande viaggio lo portò in Canada, Stati Uniti, Olanda e Germania. A annunciare Gesù, a rianimare i credenti in Lui, a denunciare l’oppressione da parte dei comunisti sugli innocenti.

Il suo cuore di padre era particolarmente ferito dalle sofferenze dei credenti in Ucraina e di tutti quelli perseguitati dal comunismo in qualsiasi paese. Drammatico il suo intervento nel 1977 al Tribunale Sakharov: "Sono qui per due motivi: oggi si testimonia sulla persecuzione religiosa nell’URSS e nella mia Ucraina. La Chiesa della quale io sono capo e padre, è vittima di questa persecuzione e là dove si parla della mia Chiesa, io devo essere presente per difenderla. Il secondo motivo è che io sono "il condannato": sono il testimone di questo "Arcipelago", come un altro condannato, A. Solgenitsin, lo ha definito. Ne porto le cicatrici sul mio corpo".

Purtroppo in Occidente, ieri, ma anche oggi, le voci di tali testimoni vengono soffocate o dimenticate subito, da uomini, che continuano a pensare che i comunisti, anche con nome mutato, possano rispettare tutti, anche la Chiesa. Ma non è così: la persecuzione, quando non è aperta o dichiarata, è suddola e ancora più invasiva. Occorre custodire la mente e la vita nella Verità, il cuore nell’ardore per Gesù, che è pur sempre l’unico Salvatore.

Sempre per il bene del suo popolo, nel 1980, il Card. Josyf Slipyi presiedette ancora a Roma il Sinodo dei Vescovi ucraini, pensando al futuro della sua gente, così sofferente eppure così fedele.

Il 7 settembre 1984, a 92 anni si spense forte e sereno, con lo sguardo rivolto a Oriente, al fiume Dniepr, dove un millennio prima era iniziata l’evangelizzazione della Russia, alla sua cattedrale di Lviv, che attendeva il suo eroico Pastore, come i grandi Vescovi e Confessori delle prime generazioni cristiane. Aveva annotato nel suo testamento: "Durante tutta la mia vita, sono stato un prigioniero per la causa di Gesù Cristo tale rimango lasciando questo mondo … In cammino per il lungo viaggio, io prego la nostra Celeste Protettrice e Signora, la sempre Vergine Madre di Dio, Maria: prendi sotto la tua protezione la nostra Chiesa e il popolo ucraino".

Aveva trascorso 18 anni nelle carceri e nei "gulag" sovietici per difendere l’unità della sua Chiesa con Gesù Cristo e il suo Vicario il Papa di Roma, e a Roma, per altri 21 anni sostenne ancora la sua Chiesa in questa indispensabile unità.

Ci servono Pastori della sua razza.

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ultimo aggiornamento 11 giugno, 2013