studi  
 

Don Ruggero Ramella, sdfam

 

 

Madre Speranza ... e i Sacerdoti

Si scrive misericordia, ma si dice preti;

si parla dei poveri, ma si pensa ai preti;

 

(seguito)

La genesi dell’amore al clero

Da quanto visto finora sembra che Madre Speranza, pur avendo altre idee e altre mire pensando alla fondazione delle Ancelle, si ritrovi suo malgrado a pensare ai Figli e prima ancora al clero, senza una sua volontà originaria, ma costrettavi direttamente dal buon Gesù, a partire dal voto del 18 dicembre del 1927, quasi come un fulmine a ciel sereno, obbedendo a qualcosa che la sovrasta e la cattura nello stesso tempo, al punto di portarla a votare la sua vita al clero in modo particolare. D’altra parte intorno ai 6-7 anni di età la Madre fu portata a servizio dal parroco del suo paese, presso cui avrebbe trovato un luogo più indicato della casa paterna, in mezzo a tanta povertà, abbandono e miseria, per trovare rispetto, aiuto e un orientamento cristiano e morale. Fu così che la Madre ancora bambina si ritrovò in casa del parroco, del quale poi la Madre ne ha parlato sempre con un gratissimo ricordo, e vi rimase fino al 15 ottobre 1914 quando partì per farsi religiosa, cioè fino ai 21 anni. Questi anni della sua infanzia e la benevolenza del parroco, nonché delle sue sorelle che vivevano con lui, devono essere restati molto impressi nel cuore della Madre (cfr. Gialletti, Madre Speranza, ed. L’Amore Misericordioso, pp.22-23). In quella casa ebbe modo di conoscere, almeno in parte, l’ambiente clericale nelle sue virtù e nei suoi difetti. Don Manuel, così si chiamava il parroco, era un bravo sacerdote, fervoroso e zelante, ma aveva un debole per la corrida, cosa poco conveniente per un sacerdote in quei tempi. E questo alla piccola Josefa, nome di battesimo della Madre, non andava proprio giù, soprattutto perché si doveva vestire da civile e uscire di nascosto dalla porta dell’orto. Comunque l’esperienza in casa di D. Manuel fu molto importante per l’educazione della futura Madre Speranza ed è all’origine della sua sensibilità per i problemi dell’ambiente sacerdotale. Un’altra figura che influenzò a tale proposito la sua spiritualità fu il "Cura Valera", un sacerdote suo parente per parte di madre, ritenuto un santo (cfr. Ferrotti, Madre Speranza… pane e sorriso di Dio, ed. L’Amore Misericordioso, pp. 29-30).

 

S. Teresa di Gesù Bambino

È proprio nella casa del parroco che la Madre si ritrovò a che fare con S. Teresa di Gesù Bambino. Intorno ai 12 anni la Madre stessa racconta che un giorno sentì suonare il campanello della porta e, aprendola, vide una Suora tanto bella che mai aveva visto. Questa suora le disse che era venuta da parte di Dio per dirle che doveva cominciare un’opera da dove lei l’aveva finita, intendendo la devozione all’Amore Misericordioso da diffondere in tutto il mondo. Dopo anni la Madre riconobbe in quella misteriosa suora S. Teresa di Gesù Bambino, che al momento dell’apparizione era già morta da 8 anni (cfr. Gialletti, idem, pp. 24-25). Ora, la Santa Carmelitana di Lisieux nella sua breve vita, tra le altre cose, ebbe sempre una spiccata sensibilità per i sacerdoti, tenendo con numerosi di essi contatti epistolari fino alla fine della sua vita. Un particolare questo da non trascurare nel legame spirituale tra la Madre e la giovane Carmelitana. Insomma, questa attenzione di Madre Speranza al clero ha le sue origini lontane, fin dall’infanzia della Madre stessa, con il suo vissuto che in qualche modo l’ha formata nel suo mondo interiore, prima che questo pensiero prendesse corpo vivo nella sua coscienza riflessa anni dopo, e questo di pari passo con il richiamo all’Amore Misericordioso, legando indissolubilmente queste due realtà, così fondanti e costitutive del Carisma e della Missione della Madre.

La genesi remota dei Figli dell’Amore Misericordioso

L’amore ai sacerdoti e la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso da un certo punto in poi si fanno sempre più una cosa sola. Scrive la Madre nel Diario il 28 gennaio 1942, ancora una volta a letto in pericolo di vita per una polmonite e una peritonite: non si poteva pensare che sarei morta, non essendo ancora stati fondati i Figli dell’Amore Misericordioso (18, 713). Nel contempo però aggiunge: Mi tormentava anche l’idea che il buon Gesù mi portasse con sé prima di realizzare la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, perché non aveva trovato in me la generosità che desiderava. Che pena, Gesù mio! (18, 716). E ancora: Quanto ho sofferto in quei momenti! Solo Gesù sa con quale fervore gli ho promesso di essere più generosa e di affrontare con lui la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, costi quel che costi (18, 717). Lo stesso cardinale Ottaviani, per mandato del papa Pio XII, la rassicura che se fosse morta avrebbe pensato lui alla Congregazione delle Ancelle, come a quella dei Figli che ancora doveva nascere (cfr, D 719). Ma la Madre ritorna a tormentarsi: Soffro molto anche pensando che il buon Gesù mi porta con sé senza farmi fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso; certamente per la mia vigliaccheria nella sofferenza che questa fondazione avrebbe potuto procurarmi. Ho chiesto perdono al buon Gesù e gli ho promesso, col suo aiuto, di impegnarmi al più presto unicamente a fare la sua divina volontà (18, 731).

Non c’è amore senza dolore

Tutto questo tormento, non è la morte infatti che la spaventa, ma di non fare così la volontà di Dio a riguardo dei Figli e del clero, e per questo Gesù, pensa lei, le sta togliendo il compito per il clero, sicuramente la Madre lo trasforma in offerta sempre per l’amato clero, e infatti la Madre continua a scrivere ripetendo il suo leit motiv, il Giovedì Santo, 2 aprile 1942: ti prego, Gesù mio, non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero, per i quali desidero vivere come vittima… Concedimi, Gesù mio, di vivere amandoti in un continuo dolore, per poter espiare in qualche modo, le offese dei tuoi sacerdoti e, dopo una lunga vita di lavoro e sofferenze, veda il mio corpo disfatto nella putrefazione, ma sempre in riparazione dei peccati di concupiscenza della carne, commessi dai sacerdoti. Ti chiedo anche Gesù mio, una e mille volte, che le mie sofferenze non servano a riparare le molte offese che disgraziatamente ti ho arrecato; questa espiazione ti chiedo di riservarmela per il purgatorio, mai per l’inferno, Dio mio, perché laggiù non potrei amarti (18, 756-758). Qui Madre Speranza non solo rinnova il suo voto di vittima, ma, per così dire, lo arricchisce di particolari ulteriori, come identificare il suo amore per Gesù con il dolore continuo, sicché l’amore ed il dolore diventino la medesima cosa, come se il dolore d’ora in poi fosse il suo amore per Lui, ed il suo amore sempre per Lui fosse il Suo amore, quasi per essere sicura di avere sempre un amore qualitativamente alto, alla stregua dell’amore di Gesù sulla Croce, sempre in favore del suo amato clero, consapevole che l’amore più alto è stato quello della Croce, e a questo amore lei vuole partecipare, e tutto questo per espiare le offese e i peccati dei sacerdoti. C’è poi un secondo particolare, nell’offrire la dissoluzione del suo corpo, dopo il merito di una lunga vita di lavoro e di sofferenze, e precisamente per riparare i peccati della carne dei sacerdoti, quasi che questo tipo di peccato richiedesse una offerta, e quindi un amore, ancora più particolare, arricchito da elementi raccapriccianti, come per far sentire lo stesso raccapriccio di fronte a peccati di tal genere da parte dei sacerdoti, di fronte al peccato di tal genere considerato già in sé stesso, a maggior ragione commesso da un sacerdote.

Un terzo elemento porta la Madre oltre la scena di questo mondo, oltre l’amore e la sofferenza che ella può vivere in questo mondo. Infatti chiede al buon Gesù che gli eventuali meriti acquisiti nella sua vita potessero essere tutti ascritti a favore dei sacerdoti, lasciandola invece con tutte le sue pene che dovrà scontare in purgatorio, non avendo più meriti per ripararle in questa vita perché tali meriti li ha girati in favore dei sacerdoti, in riparazione delle loro colpe e a favore della loro santificazione. Che cosa potrebbe dare e fare di più per i sacerdoti? Ha dato veramente tutto, investendo pure quello che non ha in mano, i meriti, le sofferenze, la morte e la putrefazione del suo corpo, insomma tutto l’amore che le sarebbe possibile su questa terra ed oltre per il suo amato clero. Questo ardore le cresce sempre più dentro di sé anche perché, scrive la Madre il 16 giugno 1942: Gesù mio, fissa lo sguardo soltanto sul fatto che i poveri sacerdoti che ti offendono, deboli nello spirito e nell’amore per te, sono molti e che io desidero soffrire costantemente in riparazione delle offese di questi tuoi poveri ministri (18, 794). I sacerdoti in peccato sono molti, dal tono sembra piuttosto anzi che sono tantissimi, troppi, e per questo sono necessari un dolore ed una offerta di esso costanti, senza sosta, fino all’impossibile, all’inverosimile, fino allo stesso amore che ha avuto Gesù sulla Croce, particolarmente per i sacerdoti, come nella preghiera sacerdotale nel Getsemani (cfr. Gv 17).

È spaventata la Madre di fronte a così tanto dolore necessario, ma ogni volta finisce sempre per dire, come il 16 agosto 1942: Perdonami ancora una volta, Gesù mio, e punisci la mia vigliaccheria con ogni sofferenza, angustia e dolore e fammi vivere in riparazione delle offese che ricevi dai tuoi sacerdoti. Non permettere che io pensi a me stessa, ma solo a te (18, 823). Se ha paura, Gesù non ci deve badare e, anzi, aumenti la dose del dolore, la punisca aumentandole la sofferenza. E Gesù non la risparmia di certo con tutti i problemi che sta vivendo con le Ancelle e i pericoli di scissione in Spagna, nonché le sue paure per la fondazione dei Figli, le sue paure anche per le chiacchiere per il fatto che una suora fondi una Congregazione maschile, e il timore che proprio per queste sue paure e le sue preoccupazioni eccessive, per la sua poca fede, Gesù non le farà fondare i Figli dell’Amore Misericordioso, e le ripetute sue richieste di perdono al buon Gesù per questo sua atteggiamento ondivago, di ripensamenti continui, con le sue paure di essere presa per pazza imbarcandosi in una impresa così originale e fuori del consueto, e soprattutto di non procedere in quest’opera con gioia (cfr. D 774; 777; 935-936).

L’amore di Gesù

Madre Speranza protesta continuamente questa sua paura direttamente legata al clero e alla fondazione dei Figli; per molti versi la fondazione delle Ancelle l’ha terrorizzata di meno, anzi i dolori che le sono pervenuti per questo li ha potuti utilizzare in offerta per riparare i peccati dei sacerdoti, ma questa sua cura per i preti e la conseguente fondazione dei Figli proprio a questo scopo la sta pagando ad un prezzo per lei inimmaginabile fino ad allora. Tutto ciò indica ancora più fortemente la centralità di quest’opera per il clero nel cuore e nell’anima della Madre. Veramente si avverte il sottofondo granitico dell’amore per il clero in tutto ciò che ha fatto la Madre in tutta la sua vita. Il clero, e di conseguenza i Figli, sono stati la grande preoccupazione, il grande dolore, il grande amore della Madre. Non per mortificare ovviamente il resto, le Ancelle, la cura ai poveri, ma nella sua anima c’è evidente una predilezione: il clero e i Figli a loro servizio. Scrive la Madre, il 9 settembre 1942, a Roma: Gesù mio, conoscerti è gran cosa, come pure vivere insieme a te; ma ho paura, molta paura, di conoscere le tue grandezze e praticarle poco per tuo amore e per le anime dei sacerdoti (18, 827). Il centro è l’amore a Gesù, la gran cosa; la conoscenza di Gesù è l’amore a Lui, e l’amore è la conoscenza più profonda che si possa avere dell’altro, e per Gesù, visto l’abissalità del suo segreto, ci vuole una conoscenza abissale, e quindi un amore sublime, appunto una gran cosa, o meglio, la cosa più grande.

Per non parlare del vivere insieme a Lui, vivere quello che vive Lui, provare i suoi stessi sentimenti, respirare il suo respiro, sentire battere dentro di sé i battiti del suo cuore, vivere insomma la sua vita, il suo mondo, avere il suo universo interiore come il proprio universo più intimo, quasi confondersi con Lui, fondersi in una unica cosa con Lui, vivere la sua vita, vedere con i suoi occhi, sentire con le sue orecchie, gustare con i suoi gusti, toccare con il suo tatto, penetrare il segreto di ogni persona, raggiungerla nel segreto più profondo della sua anima e lì amarla con la punta estrema del proprio spirito, lo spirito di Gesù, la sua anima divina in questa nostra carne umana. È questo che vuol dire la Madre col conoscere le grandezze del buon Gesù; il cardinale Pierre de Berulle, mistico del ‘600 francese, parla di queste grandezze, ossia degli stati di vita di Gesù, come il Natale, la Pasqua, la Morte, la Passione, l’Ascensione, la sua vita su questa terra in tutte le sue espressioni: il tutto da rivivere con Lui, in tutta la loro sublimità, senza tener conto della fragilità della nostra carne, non solo della sua fragilità morale, ma anche di quella fisica per la pressione fortissima e quasi insostenibile umanamente, se non intervenisse la grazia di Dio a sostenerci. Questa pressione spiega molto bene il mistero delle numerose malattie della Madre: il nostro corpo è troppo fragile per sostenere le grandezze di Gesù, il suo Cuore, il suo Spirito, la sua Passione d’Amore, il suo rapporto intimo e umanamente irraggiungibile con il Padre; tutto questo fu all’origine anche delle misteriose malattie di Padre Pio, delle sue febbri inverosimili, come dell’ardore che bruciava letteralmente S. Filippo Neri, sempre in preda al calore più esagerato anche in pieno inverno.

(segue)

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ultimo aggiornamento 13 febbraio, 2014