studi Don Ruggero Ramella, sdfam
Madre Speranza ... e i Sacerdoti
Si scrive misericordia, ma si dice preti;
si parla dei poveri, ma si pensa ai preti;
si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti
(seguito)
Il Getsemani della Madre
La Madre vive tutto questo, e quindi sa ciò che sta dicendo, sia pure racchiuso in poche parole, e ne ha a volte una gran paura. Paura anche di non riuscire a praticarlo con suo sommo rammarico, che continuamente ritorna in maniera ossessiva nei suoi scritti, sentendosene colpevole mille e mille volte, soprattutto perché così non riesce ad amare come vorrebbe, come sente che dovrebbe essere, il suo buon Gesù, e questo la getta in un grande dolore. E parimenti questo stesso dolore lo sente, con la stessa forza e intensità, per la paura di non riuscire ad amare abbastanza gli stessi sacerdoti, e di conseguenza di non riuscire a fare abbastanza per riparare i loro peccati e di operare tutto il possibile per la loro santificazione, fino a sentirsi responsabilmente colpevole per la loro eventuale perdizione, e per i danni da essi arrecati al popolo di Dio. Se poco poco uno entra un pochino dentro questo universo interiore della Madre verrebbe sicuramente schiacciato dall’oppressione che se ne respira al solo affacciarcisi. È un martirio paragonabile solo al Getsemani, dove il dolore di Gesù diventa parossistico, sudando sangue per lo stress a cui il suo fisico è sottoposto, non tanto per la morte imminente, che tantissimi uomini hanno provato prima di lui e dopo di lui, e che tantissimi uomini proveranno fino alla fine del mondo, quanto piuttosto per la consapevolezza viva che per qualcuno il suo sacrificio d’amore sarà vano, particolarmente per dei sacerdoti, i suoi sacerdoti, i suoi apostoli, il suo continuo pensiero nella Preghiera sacerdotale di Gv, 17. La Madre vive questo martirio, al modo di Gesù; Gesù almeno aveva la consolazione di essere innocente, mentre Madre Speranza se ne fa una colpa per la coscienza viva della sua fragilità, nonché del suo stesso peccato, della sua vigliaccheria, delle sue paure, come lei stessa dice senza alcuna esagerazione ai suoi occhi; i nostri occhi forse non se ne accorgono perché non sono entrati in questo mondo interiore della Madre, e di Gesù.
Dopo Gesù, il clero
Guardando a quanto detto finora, volendo per un momento precorrere i tempi, alla fine sembra veramente che tutto il percorso vocazionale della Madre, fin dalla sua infanzia, gli eventi, le Ancelle, il Carisma stesso dell’Amore Misericordioso, tutte le opere, i poveri ed infine gli stessi Figli dell’Amore Misericordioso, e le annesse sofferenze, tutto abbia un solo fine nella vita della Madre: il clero. Lo stesso P. Domenico Cancian, in un suo intervento al Convegno di Collevalenza del 5-8 febbraio 1993, sul "Ruolo profetico di Madre Speranza", afferma: Forse fu l’attività (con i sacerdoti) che più la coinvolse e più le costò (Atti del Convegno, ed. L’Amore Misericordioso p.217). Non solo, ma la sua stessa vita spirituale e mistica, in tutte le sue fasi, e specialmente nel suo giungere alle vette di questa unione mistica e trasformante con Gesù, questa si accompagna sempre soprattutto con la sua preoccupazione per il clero, e il tutto dettato sempre da Gesù, quasi come se la Madre, suo malgrado, subisse, sia pure volentieri, questa sua spinta verso la cura del clero, quasi che in lei non fosse spontanea, ma liberamente accolta da un altro, Gesù stesso appunto. È Gesù stesso che la porta fino in fondo a questa strada sacerdotale della sua vocazione considerata nel suo complesso, come se la Madre fosse stata suscitata quasi esclusivamente per questo, e tutto il resto, proprio tutto, come dicevo pocanzi, servisse a portarla infine a questo.
Dice ancora, infatti, P. Cancian: In un momento di grande sofferenza, il 29 febbraio 1952, quando temeva il fallimento della neonata Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, si sentì dire che era arrivato il momento di scrivere ciò che riguardava il Clero in comunità (i Diocesani con Voti), una cosa tanto grande e di tanto bene spirituale per i sacerdoti; non doveva farsi nessuna illusione, doveva semplicemente scrivere quel che Egli le dettava senza preoccuparsi del risultato, disporsi a soffrire, essere affamata di appartenergli in modo che Lui potesse riempirla dei suoi beni (idem, p. 218); e cita il Diario della Madre, sempre al 29 febbraio 1952: Mentre ascoltavo il mio cuore s’incendiava sempre più nell’amore del nostro Dio e, sembrandomi di non riuscire a sopportare la violenza di questo fuoco, mi vidi obbligata a dirgli: "Basta, Gesù mio, guarda che il mio cuore oppresso non resiste più alla forza dell’amore del mio Dio e Padre, che è per me tutto (Diario 18, 1129). E il 1° marzo dello stesso anno la Madre aggiunge: Gesù mi ripete ciò che mi ha detto sempre: che mi ama tanto, tanto e che desidera che resti unita a Lui. Gesù ci cerca con amore instancabile come se non potesse esser felice senza di noi e io mi sento ferita del suo amore, tanto che il mio povero cuore non può resistere alle sue dolci e soavi carezze, e le fiamme del suo amore mi bruciano al punto di credere che non ne posso più (Diario 18, 1156). Veramente si può con cognizione di causa dire, e senza esagerazione: si scrive Misericordia, ma si dice preti; si parla dei poveri, ma si pensa ai preti; si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti.
Guardando a lei, la Madre ti spinge ad amare i sacerdoti per se stessi, prima ancora di tutte le conseguenze pratiche per venire a loro in aiuto, che vengono e verranno spontanee con la forza di questo amore, la cui fantasia si mostrerà strabordante. Proprio perché non è un progetto a tavolino, ma che si costruisce man mano con la sorpresa che viene dall’amore che la unisce a Gesù, facendola una scolara attenta al desiderio del suo amato, la Madre stessa non vedrà mai sufficientemente completa quest’opera a favore del clero, perché mai l’amore trova applicazioni adeguate ed è sempre bisognoso di trovare nuove applicazioni per soddisfare il fuoco che esso si porta dentro e con cui si identifica; proprio per tutto questo si potrebbe dire che lei ha dato l’input, ma nello stesso tempo ha dato ai Figli la missione di approfondire e sempre più chiarire cosa Gesù le chiedeva veramente per il suo amato clero, evitando di cadere nella peste di un vaga e generica missione, approfondendo così la profonda vocazione sacerdotale di Madre Speranza e dei suoi Figli medesimi, nonché di tutta la Famiglia dell’Amore Misericordioso.
La profezia della Madre per il clero
È stata una vera e propria profezia, che si staglia quasi da sola nel deserto, a mo’ di Giovanni Battista con la sua voce che grida nel nulla (cfr. Mt 3, 1), in quanto il presente, specialmente da dopo il Concilio in poi, nel cantiere di una ricomprensione della Chiesa e della fede in un mondo contemporaneo tormentato e confuso, vede anche la confusione dei sacerdoti, specialmente in relazione alla loro autocoscienza e alla faticosa ricerca di una identità, a fronte di un laicato che sembra quasi aver bisogno di una diminutio del sacerdozio ministeriale per poter affermare il suo ruolo, presuntemente mortificato nel passato. È qui che i Figli dell’Amore Misericordioso potranno trovare un compito magnifico vivendolo anzitutto sulla stessa pelle del proprio sacerdozio per poter essere di aiuto, con questa forte autocoscienza ritrovata, anche agli altri, e questo con tutta la forza dell’esperienza spirituale della Madre, che essi per primi sono chiamati obbligatoriamente a fare propria e a prolungarla nel tempo, perché Gesù continui a dettare, come alla Madre, man mano la sua volontà su quanto sia necessario fare per il suo clero, per i suoi sacerdoti. I Figli sono chiamati ad incarnare lo stesso spirito sacerdotale della Madre e a vivere nelle loro singole persone e nel loro insieme la stessa esperienza di unione a Gesù, da cui scaturisce la stessa unione al clero, andando di pari passo per l’influenza determinante che l’una esercita sull’altra, come dire che non ci sarebbe lo stesso amore della Madre al clero, e che i Figli sono invece tenuti ad avere per vocazione, senza la stessa unione spirituale e mistica della Madre a Gesù.
Le offese dei sacerdoti a Gesù
Continuando ad arricchire il nostro discorso, seguendone lo sviluppo nella coscienza e nell’esperienza di Madre Speranza, la Madre parla sempre di offese, parlando dei peccati dei preti, che i sacerdoti arrecano a Gesù. Ne scrive anche il 9 novembre 1942: Sostieni, Dio mio, la debolezza del mio cuore sofferente dicendomi che non lascerai di amarmi un solo momento e che tutte le sofferenze di questo tempo di prova le userai a beneficio dei poveri sacerdoti che hanno avuto la disgrazia di offenderti e di quelli che ti stanno ancora offendendo (Diario 18, 835). Bisogna richiamarci all’esperienza umana di tutti, per capire cosa veramente sono queste offese per Gesù; spesso abbiamo un po’ tutti una visione troppo ieratica ed impassibile di Gesù, che non è del Vangelo, e questo ci impedisce di capire che il suo amore e l’amore stesso che ci richiede sono realtà che coinvolgono la carne di un uomo, il suo cuore di carne, la sua mente che si confonde di fronte agli smacchi della vita, degli eventi, delle persone, proprio come avviene per ognuno di noi nella realtà spicciola e quotidiana delle nostre vite; pensiamo che Gesù non c’entra con tutto questo, con queste nostre debolezze e fragilità, poiché nell’immaginario collettivo egli abita piuttosto in una specie di limbo più che paradiso, senza vivere e capire fino in fondo il nostro interiore, perché lui è in definitiva Dio, e perciò superiore a tutte queste emozioni umane, ma ovviamente non è così. Se fosse così allora le offese sarebbero rapportabili solo alla giustizia, sarebbero delle violazioni al codice divino, alla sua Legge, ma così non ci sarebbe neanche più posto per la Misericordia, che invece nasce da un amore che sente e soffre e respira tutte le emozioni che vive anche un uomo, e prima ancora Dio stesso, alla di cui immagine siamo stati fatti, come ci viene detto nella Genesi (cfr. Gen 1, 27).
Quel povero amore che sentiamo come umani è quello che resta dopo la grande offesa del peccato originale; l’immagine divina in noi è stata deturpata, ferita, ma non distrutta; è per questo che il Figlio di Dio dal cuore della Trinità viene a noi e può parlarci perché ancora l’amore è la base comune, la lingua comune con cui ancora possiamo interloquire tra noi e Dio, tra Dio e noi; è ancora viva la radice di questo amore, che è il medesimo, ma in noi è gravemente ferito, come gravemente ferito è il cuore di Lui, come quando siamo feriti da chi amiamo particolarmente. È in questo male che ci siamo fatti che si capisce il senso di queste offese a Lui, si capisce il male che gli abbiamo fatto e che continuiamo a fargli, buttandogli continuamente in faccia che non sappiamo che farcene del suo amore, proprio come faremmo con chi ci ama disperatamente. E i sacerdoti sono da Lui particolarmente amati, e perciò sono proprio quelli che più hanno potere di ferirlo, proprio come succede a noi, perché ognuno di noi ha sempre qualcuno che più di tutti è capace di ferirci, di farci del male, proprio per l’amore speciale ed irripetibile che ci lega a qualcuno in particolare. Si sentono così tutto il dispiacere, le lacrime, il gemere di Dio stesso: nell’Antico Testamento spesso Dio viene ritratto con questi sentimenti, che non sono una metafora, un’immagine per farci capire qualcosa a noi, parlando un linguaggio molto umano, ma sono invece la descrizione esatta del cuore di Dio, del suo dolore per un amore rifiutato, disprezzato, deriso. Da qui le sofferenze da offrire per consolare il cuore di Gesù, il cuore di Dio, come quando noi sentiamo il bisogno di soffrire con la persona amata perché ci sembra l’unico modo di consolarla per il suo dolore, anzi, se potessimo prenderemmo tutta la sua sofferenza per liberarla totalmente da essa, preferiremmo soffrire noi piuttosto che vederla soffrire. È questo che spinge la Madre all’offerta in riparazione delle offese dei sacerdoti.
La riparazione di Gesù e della Madre
Ma il discorso non finisce qui. Dice infatti la Madre, sempre il 9 novembre 1942: Copri e perdona, Gesù mio, tutti i loro peccati con la tua inestinguibile carità, fa’ che le loro anime diventino gradite ai tuoi occhi. Tu, Dio mio, che togli i peccati del mondo, nella tua grande misericordia, cancella quelli dei poveri sacerdoti (18, 836). Lo feriscono particolarmente le offese dei preti, ma non possono uccidere il suo amore per loro; è questa sua carità, l’amore esponenziale di cui è capace Dio, che sopperirà al loro amore fragile, li raggiungerà nel loro abisso e là parlerà invincibilmente al loro cuore, li condurrà nel deserto, e una volta faccia a faccia loro soli parlerà finalmente al loro cuore e li ferirà mortalmente con il suo amore, a cui non potranno più opporre resistenza alcuna (cfr. Os 2, 16). Il suo amore è più grande, è un amore che ama per tutti e due, e tutta la loro libertà sarà "costretta" a cedergli per la dolce violenza dell’amore. Madre Speranza è vivamente cosciente di questo, e vuole contribuire, a mo’ di Gesù, con la Croce delle sue sofferenze, sofferenze per amore, quell’amore che Gesù le immette continuamente dentro il suo cuore, fino a sentire come Lui, fino a vivere il dramma che Lui vive, fino a tutta l’angoscia dell’amore rifiutato. A volte si guarda, oggettivando quello che vive, e se ne spaventa, come la Madre stessa scrive il 25 marzo 1944: Quanto poco ti ho imitato, Gesù mio, anche se affermo di volerti amare tanto, tanto! Dov’è il mio amore? eppure tante volte ti dico di voler soffrire in riparazione delle offese che ricevi dai poveri sacerdoti del mondo intero, quando invece non sono capace di accettare con gioia le sofferenze che tu mi mandi! (18, 918).
(segue)
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ultimo aggiornamento
14 marzo, 2014