studi Don Ruggero Ramella, sdfam
Madre Speranza ... e i Sacerdoti
Si scrive misericordia, ma si dice preti;
si parla dei poveri, ma si pensa ai preti;
si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti
(seguito)
Il compiacimento di Gesù la spinge
La gioia e la consolazione che le vengono dall’intravedere finalmente una compiutezza nella sua missione sacerdotale, Gesù stesso gliela conferma il 21 dicembre 1953: Mi ha detto (Gesù) che si rallegra e si rallegrerà insieme ai primi figli e ancelle dell’amore Misericordioso e a questa povera creatura che Egli ha chiamato ad essere loro Madre. Io, facendo leva sulla gioia del buon Padre (Gesù), gli ho chiesto e credo di averlo ottenuto, che sia sempre Lui a reggere il timone di queste due navi o Congregazioni, che benedica tutti i miei figli e figlie e mi conceda la grazia di ricrearsi sempre con loro (Diario 18, 1379). A sigillo di queste parole Gesù le fa trascorrere una notte intera di estasi: nella quale ho goduto tanto, tanto, senza giungere a saziarmi. Egli si è mortificato colmando di carezze questa povera creatura, e il mio cuore esultava di gioia e ho creduto di perdere la testa (18, 1380). Fra le delizie di questo loro incontro, Gesù rassicura più volte la Madre di essere: contento del comportamento e dello stato d’animo dei miei figli e figlie. Che cosa ho provato ascoltando da Lui queste parole, poiché il mio unico desiderio è di dar gloria a Dio e che i figli e le figlie vivano sempre uniti a Lui con un grande amore, dandogli sempre quello che chiede loro, lavorando senza sosta per la sua gloria e per la santificazione delle anime (Diario 18, 1381).
Queste consolazioni, oltre che confermarla nella strada intrapresa, ancora di più la spingono ad essere generosa nell’offerta di sé e delle sue sofferenze per l’amato clero, e perciò si lamenta di essere invece trattata da malata e da bambina, non venendo soddisfatta a suo dire nel suo desiderio di dolore da offrire in riparazione dei peccati dei sacerdoti e per la loro santificazione. Il 2 giugno 1952 scrive: Tu mi neghi le sofferenze che mi davi ogni giovedì (la Madre in quel giorno spesso ha rivissuto la passione di Cristo), sicuramente per la mia vigliaccheria nel dolore. Non fare così, Padre mio (così a volte chiama Gesù), smetti di trattarmi come una malata; concedimi di più e aumenta le mie sofferenze, angosce e dolori per poter riparare in qualche modo le mancanze dei sacerdoti del mondo intero ed ottenere la perseveranza per quelli che vivono come buoni sacerdoti. Gesù mio, perdona la mia vigliaccheria; non trattarmi come una debole bambina e fa’ che io viva sempre immersa nel dolore, per riparare in qualche modo le offese che il peccato (dei sacerdoti) ha inflitto al mio Dio; per me, ti prego, finché duri il mio pellegrinaggio terreno, di lasciarmi la pena e la vergogna di averti offeso, finché la morte non mi porti in purgatorio dove potrò soffrire per espiare le mie colpe senza più paura di offenderti… Perdonami, Gesù mio, ancora una volta e purifica la mia povera anima, perché possa unirsi per sempre a te (Diario 18, 1352-1353). Ancora per l’ennesima volta i suoi meriti li dona ai sacerdoti in riparazione dei loro peccati, mentre per sé si riserva la sofferenza del purgatorio, che se potesse vivrebbe al posto di tutti i sacerdoti, in loro vece, e in qualche modo lo vive anche qui in terra, almeno nelle sue intenzioni che si fanno preghiera con Gesù, soffrendo per tutta la vita la pena e la vergogna per averlo offeso in qualsiasi modo, specialmente con la paura che la paralizza nel fare la volontà di Lui, specialmente per quel che riguarda l’opera sacerdotale che Gesù le ha affidato. Ha provato il dolore di Gesù durante la sua passione che ella rivive, e quindi sa quale dolore è stato e continua in qualche modo ad essere: è da lì che scaturisce ancora di più in lei il bisogno e il desiderio di soffrire, malgrado le sue paure ed il suo terrore a volte, col fine di alleviare in qualche modo Gesù, di restituirgli in qualche modo una adeguata risposta al suo dolore amoroso, soprattutto per i poveri sacerdoti, che in qualche modo nella loro miseria vede più poveri di tutti i poveri, portando su di sé tutto il peso, se solo lo potesse, della riparazione sacerdotale. Sente fino a sentirsene male l’amore di Gesù, e parimenti sente il dolore di Gesù per l’amore disprezzato, specialmente da chi invece più dovrebbe apprezzarlo, i preti.
L’assenza di Gesù
Non le basta mai quindi la sofferenza, né il dolore da offrire sempre per l’amato clero, anche quando ormai è entrata nell’unione trasformante, fin dal 1954: la Madre infatti in questa fase della sua vita interiore, come già detto, prova continuamente una grande pace. Non ha altri desideri che la gloria di Dio; si mostra indifferente di fronte alla morte (cfr. Gialletti, idem, p.59). Scrive l’11 febbraio 1954: Da tempo avevo il desiderio di soffrire, oppure morire, per unirmi al mio Dio; ma oggi è per me la stessa cosa vivere o soffrire, purché Lui sia contento e glorificato; penso solo a contemplarlo e desidero ardentemente che mi chieda qualcosa per accontentarlo (Diario 18, 1468). Ma visto che Gesù non le chiede più nulla in questa fase dell’unione trasformante, ecco che cosa si inventa la Madre il 5 gennaio 1954: Vorrei offrire al buon Gesù qualcosa che gli piaccia e che a me costi; e credo che ciò che più gli piace e che a me costa, è supplicarlo di privarmi della sua dolce presenza, di quella immensa felicità che produce nella mia anima e che il tempo di vita che ancora mi resta me lo faccia trascorrere nel buio, senza altre consolazioni spirituali; ossia che non Lo veda, né lo senta finchè la mia povera anima non lascerà il carcere del mio corpo. Il buon Gesù mi conceda quanto gli ho chiesto, che credo sia quello che più possa farmi soffrire; che mi aiuti a soffrire questo martirio della sua assenza, senza lacrime, tristezza o lamenti e tutto per la sua gloria e in riparazione delle offese che commettono i suoi poveri sacerdoti (Diario 18, 1399-1400). Vive immersa nella presenza di Gesù, mentre si distacca sempre più da tutto, pur presente lucidamente ad ogni cosa; sente di allontanarsi sempre più da tutto, come se in qualche modo non la riguardasse più, immersa com’è, suo malgrado, in una pace e in una consolazione senza fine; eppure sente che qualcosa deve ancora fare per Lui, e guardandosi intorno nella sua anima non trova di meglio che fare ancora qualcosa per il suo amato clero, la sua idea fissa, che non tramonta neanche nell’oceano di pace in cui è bagnata continuamente fin nel profondo del suo spirito, fino alla punta della sua anima; sembra che il clero sia l’unica cosa che ancora la tiene su questa terra. E che cosa potrebbe ancora dare per questo amato clero? Ma proprio ciò che più la lega, che l’ha sempre dolcemente legata, e che ora la avvolge senza sosta, facendola sensibilmente entrare in quello che dovrebbe essere un assaggio del paradiso di Dio, la continua presenza di Gesù, che la ricolma di dolcezza e consolazione, in una sorta di estasi interiore e diuturna, respiro delle sue notti e delle sue giornate. Vederlo, sentirlo, toccarlo con i sensi spirituali più vivi di quelli della carne: rinuncia a tutto per riparare i peccati dei sacerdoti, e per fargli il dono più grande che le sia possibile per Lui; per Lui e per i preti rinuncia a Lui. Immagina già quanto le costerà, e per questo accetta questo martirio, tutto per Lui e per i sacerdoti.
Il martirio richiesto comincia però prima ancora dell’assenza di Gesù. La Madre entra in un vortice di dubbi e ripensamenti, di tormenti e ribadimenti dell’offerta, sentendosi colpevole di aver fatto l’offerta di questo sacrificio sperando che Gesù non l’avrebbe accettata, vedendo così vanificata, pensa lei, l’offerta stessa, ed offendendo nel contempo Gesù per la sua falsità e segreta ingenerosità (Diario 18, 1402-1404). Gli chiede allora (8 gennaio 1954): di perdonarla ancora una volta e di non far caso ai suoi sentimenti. Sia duro e non mi premi più con la sua presenza e le sue dolci carezze, però che non si allontani troppo da me e non permetta che l’offenda ancora, ma che l’abbia sempre presente e la mia mente e il mio cuore siano fissi in Lui (18, 1405). La Madre precisa i termini di questo martirio, ossia fa salvo ciò che dipende da lei e dalla sua volontà, da cui dipende per la sua parte il suo pensiero fisso in Lui, rinunciando al suo farglisi presente sensibilmente e con la sua consolazione per quello che riescono a percepire i suoi sensi spirituali, e fisici contemporaneamente, per pura grazia di Lui. In questo suo tormento di innamorata, dove la fantasia galoppa all’ennesima potenza, tanto che a noi esterni ci potrebbe far sorridere, finalmente Gesù scompare, gettandola ancora di più nel dolore e nello sconforto. Scrive la Madre il 12 gennaio 1954: Quanto soffro! Sono già quattro giorni che non vedo, né sento, né trovo il mio Amato! è vero che gli offro questo sacrificio in riparazione delle offese che commettono i sacerdoti del mondo intero, ma è anche vero che… ho tanta paura che il buon Gesù si sia allontanato da me, non tanto per rallegrarsi col mio sacrificio, ma per punire la mia vigliaccheria e la mia poca generosità… Sembra che mi manchi la vita e piango, non perché mi vedo privata della presenza del buon Gesù, ma perché credo che sia molto offeso (aveva desiderato, sia pure per un momento che Gesù non l’esaudisse) e così non posso vivere (e per la sua assenza e il perché di questa per sua colpa) (Diario 18, 1406-1407). Va avanti a lungo a scrivere di questo (cfr. Diario 18, 1408-1417); aveva chiesto il sacrificio dell’assenza di Gesù, ma Lui non solo l’ha esaudita, anche se per pochi giorni, ma rincara la dose togliendole la consolazione della certezza che questo suo sacrificio fosse gradito a Lui e potesse così produrre gli effetti desiderati con la riparazione dei peccati dei sacerdoti del mondo intero.
È troppo insopportabile il martirio a cui viene sottoposta, pensando di aver combinato un grosso pasticcio, e non era certo questo quello che avrebbe voluto; soprattutto è addolorata per il dolore arrecato a Gesù con questa sua offerta maldestra. Scrive il 14 gennaio 1954: Sono terrorizzata al pensiero di vivere senza più vedere il buon Gesù e senza sapere da Lui cosa gli succede e cosa lo fa soffrire di più, se restare nascosto o mortificarsi con questa povera creatura. Il mio egoismo mi ha portato a desiderare di vederlo anche solo per una volta ancora, per domandargli se c’è qualche altra prova che gradisce al posto di questa, aggiungendo che non posso vivere senza di Lui e senza che Lui continuamente mi dica cosa debbo fare per le due Congregazioni, perché diversamente combinerò solo guai (Diario 18, 1414). La Madre è disperata, abbandonata per sua colpa, almeno così crede lei, allora si propone per un’altra offerta, in cui spera di riuscire meglio, ma ha accettato l’assenza del suo amato comunque. Sembra di assistere ad un litigio tra innamorati, dove il loro amore si caratterizza e si tormenta in mille sfumature, incomprensibili a chi li guarda dall’esterno del loro amore appassionato.
Si ripete in qualche modo quanto viene narrato nel Cantico dei cantici: L’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa; l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città; mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! (Ct 5, 6-8). Resta il fatto che per il clero la Madre rinuncia in qualche modo al suo amato, dopo aver perso per Lui già tutto il resto, indifferente com’è ad ogni cosa, vivendo solo di Lui e per Lui. La Madre giunge in qualche modo a congelare il suo progresso spirituale, la stessa unione trasformante, in favore dei sacerdoti. Per loro, in questa vita, rinuncia in qualche modo al buon Gesù, paradossalmente, alle dolcezze della sua presenza, per essere più precisi, e non solo in questa vita, visto che ripetutamente rimanda la riparazione dei suoi peccati al purgatorio, dove ancora dovrà rinunciare alle dolcezze del suo Gesù, e che dovrà scontare a causa di questi, avendo dato i suoi meriti riparatori per sé proprio ai sacerdoti, in riparazione dei loro peccati e per la loro santificazione.
(segue)
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ultimo aggiornamento
11 luglio, 2014