La lettera
Collevalenza come speranza
Carissimo,
dire Collevalenza è dire misericordia, tenerezza, amore sconfinato di perdono. Un Dio eccessivo di misericordia, il Dio di Madre Speranza, come se non possa essere felice senza l’uomo.
Un Dio che ama, in anticipo, in gratuità, con compassione infinita. Che ha fatto un sogno sui figli, da millenni di anni luce, dall’eternità.
Che non si stanca di amarmi, che incomincia sempre daccapo ad amarmi. Che non si rassegna a perdermi, che mi cerca tra "i rovi", tra le "fenditure della roccia", tra le macerie di oggi.
Un Dio "dipendente" dall’amore, che ama il figlio perduto, il figlio che gli si avventa contro. Un Dio che prega Dio perché perdoni i fratelli.
È paradossale. È Cristo che, per primo, si sottopone alla regola: "Che merito avete se amate quelli che vi amano? Amate i vostri nemici..." (Lc 6,27-35).
Sì, verranno i tempi dello Spirito. Sarà l’ultimo giorno: "Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari... come aquila che veglia la sua nidiata, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali" (Dt 32,10-11).
È la conclusione cosmica, universale, la conclusione che non potrà non celebrare l’amore, la festa, la danza, la riuscita definitiva della creazione.
È il Dio di Collevalenza, il Dio in cui credo, nella sua Parola, nella testimonianza dei martiri, nella comunione della Chiesa.
Nino Barraco
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ultimo aggiornamento
16 ottobre, 2014